
Differenze fra «guerra» e «conflitto armato:» non sono sinonimi, nel linguaggio tecnico. Le parole della guerra diventano di triste attualità anche per i traduttori, in una situazione di crisi. Vi sono termini che sembrano equivalenti, ma ciascuno ha un diverso contenuto politico-giuridico. Le conseguenze sull’applicazione del diritto internazionale e delle tutele umanitarie in caso di guerra.
La guerra presenta una componente terminologica: le parole concernenti gli scontri armati diventano di triste attualità anche per i traduttori, allo scoppio di un conflitto. Fra le tragedie causate da una guerra, gli aspetti linguistici possono sembrare un dettaglio accademico. Come in ogni branca del diritto, però, anche nelle questioni belliche il linguaggio è costitutivo, non si limita a descrivere una situazione di fatto.
Vi sono parole che in questi giorni ricorrono in documenti, articoli di giornale, provvedimenti legislativi: guerra, conflitto, conflitto armato. Le consideriamo sinonimi: in realtà, ciascuna ha un proprio significato, ai fini dell’applicazione del diritto internazionale e delle tutele umanitarie che possono alleviare le sofferenze delle persone coinvolte, per quanto possibile.
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Vi sono termini sempre più usati, spesso mancanti di una traduzione esatta in italiano, che identificano condotte di guerra particolari. Oggi, espressioni come guerra ibrida, guerra non lineare, war by proxy e altri si ritrovano in molti testi, anche rivolti a un pubblico non tecnico. In questo articolo spiego perché questi termini non sono semplici modi di dire e non sempre possono essere usati in modo indifferenziato.
Differenze: guerra e conflitto, armato o non armato?
Nel linguaggio delle relazioni internazionali, il termine conflitto non si riferisce sempre a una guerra. Indica qualunque forma di contrasto fra due o più parti, anche non armato e non in grado di mettere in pericolo la pace. Il conflitto è diverso dalla competizione: quando competono, due o più parti si scontrano per conseguire un obiettivo; un conflitto, invece, può nascere da divergenze di vedute o di condotta, non mirate a una volontà di prevalenza.
Un conflitto si compone di due elementi: l’oggetto della controversia e un’azione concreta per risolverla. Tuttavia, un conflitto può essere accantonato anche con metodi pacifici, che non minano il mantenimento della pace. Per questo motivo è interessante notare che la Carta delle Nazioni unite non usa mai il termine conflitto: parla di minacce alla pace, di violazione della pace, di uso della forza, di violazione dell’integrità territoriale, etc. Per costituire giuridicamente la fattispecie, nel diritto internazionale, è necessario indicare con concretezza cosa stia minando le relazioni pacifiche tra gli Stati (v. Quincy Wright, >International Conflicts and United Nations, World Politics, Vol. 10, N. 1, ottobre 1957, pag. 24-48, Cambridge University Press, 1957).
Guerra, conflitto o conflitto armato: differenze e criticità
L’uso della parola guerra è molto diffuso nel linguaggio comune, ma presenta criticità nel linguaggio politico e giuridico. Nelle costituzioni e nelle leggi degli Stati si usano i termini guerra e stato di guerra. Previsioni specifiche definiscono quale autorità ha il potere di deliberare e dichiarare lo stato guerra. Ad esempio, nella Repubblica italiana:
«Le Camere deliberano lo stato di guerra e conferiscono al Governo i poteri necessari.»
(Art. 78 Cost.) «Il Presidente della Repubblica […] dichiara lo stato di guerra deliberato dalle Camere.» (Art. 87 Cost.)
La Costituzione svizzera non contiene una norma analoga, ma la Confederazione e i singoli Cantoni conoscono un diritto di necessità extracostituzionale con cui il Consiglio federale (governo centrale), ma anche i Consigli di Stato dei Cantoni, possono acquisire pieni poteri e deliberare con larga autonomia rispetto alle Camere, in caso di emergenza. L’espressione pieni poteri entrò nell’uso in Svizzera durante la Seconda guerra mondiale, ultima circostanza in ordine di tempo in cui la Svizzera applicò il diritto di necessità.
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Lo stato di guerra comporta l’applicazione di leggi eccezionali per il tempo di guerra. La parola guerra richiama pertanto precise fattispecie giuridiche. Oggi, lo stato di guerra può solo rispondere a un’aggressione e ha funzione difensiva. Né in Italia né in Svizzera si parla di dichiarazione di guerra verso un altro Stato. Una tale dichiarazione manifesta la volontà politica di uno Stato di muovere allo scontro armato con un altro. In Italia, ciò contraddirebbe l’articolo 11 Cost., che esprime il ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; in Svizzera, una dichiarazione di guerra sarebbe contraria al principio di neutralità.
Guerra: la precisione è fonte di problemi
All’opposto del termine conflitto, per il termine guerra è l’eccessiva precisione, a causare problemi. Se in un trattato internazionale si usa la parola guerra, quel trattato sarà applicabile solo in caso di guerra dichiarata, ossia in presenza di una manifesta volontà politica di belligeranza. Nel concreto, se oggi si pretendesse di imporre alla Russia l’applicazione di qualche trattato internazionale formulato con l’espressione guerra, Mosca potrebbe tentare di sottrarsi affermando candidamente che non ha mai dichiarato guerra all’Ucraina, anzi: le sue attività sono una «operazione militare speciale» di estensione e scopi limitati – così l’hanno definita le autorità russe sin dal principio.
Nella realtà, questo stratagemma dialettico può soccorrere solo nei casi controversi e non aiuterà la Russia per gli eventi bellici in corso. La dimensione dello scontro rende manifesta per fatto concludente la volontà del governo russo di nuocere allo Stato e alla popolazione ucraini. L’espressione «operazione militare speciale» serve a evitare al Cremlino di pronunciare la parola guerra verso la popolazione interna. Per questo motivo, la definizione dovrebbe sempre essere citata fra virgolette, per evidenziarne la non rispondenza alla realtà e la finalità propagandistica.
Guerra e conflitto armato: il diritto internazionale
Sembra contraddittorio, che una guerra sia regolata da norme del diritto internazionale. Eppure, per quanto difficile da applicare, in molti casi il diritto internazionale di guerra (jus in bello) riesce a limitare i danni di uno scontro armato. Fra i documenti fondativi c’è la >Convenzione di Ginevra sul trattamento dei prigionieri di guerra. Vi sono poi trattati internazionali sull’uso degli armamenti, che vietano l’impiego di armi particolarmente distruttive o la mira su obiettivi civili. Altre convenzioni regolano la punizione dei crimini di guerra e tutelano il patrimonio artistico e culturale in caso di scontro.
Le convenzioni internazionali sono firmate e ratificate dagli Stati. Il diritto internazionale di guerra presuppone che a combattere siano i cosiddetti legittimi combattenti, cioè le forze armate statali regolari. Ciò lo rende difficile da applicare quando le azioni violente sono compiute da gruppi terroristici o paramilitari, poiché questi non hanno il profilo riconosciuto di Stati.
Oggi, purtroppo, vi sono organizzazioni criminali e milizie private che hanno potenzialità simili a quelle degli eserciti di Stato. Sono in grado di condurre operazioni che recano distruzioni analoghe a quelle di una guerra: ricordiamo l’attentato dell’11 settembre 2001 alle Torri gemelle di New York, compiuto da un gruppo terroristico internazionale, oppure gli interventi della milizia privata russa Wagner, in varie parti del mondo. Lo stesso deve dirsi per gli scontri interni causati da raggruppamenti criminali, come accade in alcuni Paesi dell’America latina: comportano violenze inaudite, ma non sono compiuti da Stati e da eserciti statali.
Come la legge supera la difficoltà di formulazione
E’ una difficoltà di formulazione difficile da aggirare. La scrittura di una norma prevede la costituzione di una fattispecie, cioè la combinazione di elementi di fatto e di diritto da cui discendono conseguenze giuridiche. Una convenzione internazionale che sanzioni un atto di guerra richiede che: a) l’autore dell’atto sia uno Stato firmatario della convenzione e b) sia dichiarata una guerra fra tale Stato e un altro, o l’azione sia di tale dimensione da configurare una guerra anche senza dichiarazione esplicita.
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Questi presupposti erano evidenti in passato, quando la belligeranza osservava forme più tradizionali. Oggi, i modi e gli attori possibili di uno scontro si sono moltiplicati al punto da rendere obsolete molte fattispecie belliche definite secondo una terminologia tipica.
Da «guerra» a «conflitto armato:» meno precisione per più applicabilità
Per questi motivi, in molti documenti compare il distico conflitto armato. Nel linguaggio comune i due termini vengono usati come sinonimi, ma nel linguaggio tecnico-giuridico la differenza tra guerra e conflitto armato ha conseguenze. La distinzione è necessaria per consentire l’applicazione dei trattati anche alle azioni non qualificate come guerre. Troviamo la definizione di questi concetti proprio nella Convenzione di Ginevra del 1949, appena citata:
«Article 2 – […] The present Convention shall apply to all cases of declared war or of any other armed conflict which may arise between two or more of the High Contracting Parties, even if the state of war is not recognized by one of them.»
«Articolo 2 – […] La presente Convenzione si applica in caso di guerra dichiarata o di qualsiasi altro conflitto armato che scoppiasse tra due o più delle Alte Parti contraenti, anche se lo stato di guerra non fosse riconosciuto da una di esse.»
(Convenzione di Ginevra relativa al trattamento dei prigionieri di guerra, 1949 – Traduzione ufficiale del >diritto federale svizzero)
Conflitto armato: classificazioni, proxy war
Secondo la Convenzione, un conflitto armato può essere classificato come internazionale, interno o internazionalizzato – quest’ultimo si configura quando due parti istigatrici forniscono strumenti economici, bellici e politici per uno scontro condotto da eserciti di Stati terzi. E’ la cosiddetta proxy war, in italiano spesso designata come guerra per procura.
Casi simili si sono verificati spesso durante la Guerra fredda. Molti conflitti armati fra Stati africani o asiatici scoppiavano come riflesso degli interessi delle due superpotenze emisferiche. Tuttavia, si può avere proxy war anche quando chi istiga al conflitto vi prende parte fisicamente, in modo più o meno scoperto: un esempio tristemente noto è la guerra del Vietnam, conclusasi nel 1975, che vide il coinvolgimento operativo dell’esercito degli Stati uniti, oltre alle forze locali.
Sebbene utilizzi il termine conflitto armato, nel tentativo di aggirare l’ostacolo, la formulazione della Convenzione di Ginevra presuppone comunque la volontà politica di almeno uno degli Stati coinvolti di riconoscere le operazioni come atti di belligeranza. A settant’anni dalla promulgazione di questo testo, le definizioni in esso contenute presentano falle dovute all’evoluzione dei modi di scontro. Poiché le definizioni di guerra e conflitto armato fissate nella Convenzione sono prese a modello per la delimitazione di queste fattispecie, in fatto e in diritto, le conseguenze di questa incertezza si estendono all’applicazione di altre norme.
Quando le azioni sono condotte da gruppi di separatisti, ad esempio, il diritto internazionale bellico diventa difficile o impossibile da applicare. Infatti, se uno Stato esigesse l’applicazione di una convenzione internazionale in cui si parla di Stato e di guerra, riconoscerebbe implicitamente a tali gruppi la dignità di Stati.
Differenza tra guerra e conflitto armato: e i conflitti interni?
Un esempio d’attualità: se il governo ucraino esigesse l’applicazione di un trattato internazionale di diritto bellico sugli atti compiuti dalle due repubbliche separatiste autoproclamante di Doneck e Lugansk, ciò facendo dichiarerebbe tacitamente che riconosce a tali entità la forma giuridica di Stati. Non può compiere tale atto, poiché riconoscerebbe allo stesso tempo la fine dell’integrità territoriale dello Stato ucraino. Questa conseguenza è nei fatti: la riserva della Convenzione di Ginevra, espressa all’articolo 3., dove si afferma che l’applicazione della Convenzione stessa non causa una mutazione dello status giuridico delle parti, offre una contromisura molto debole.
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Con tutto ciò, anche la definizione di conflitto armato presenta problemi, ma è più elastica e offre maggiori possibilità di aggirare gli ostacoli dialettici e giuridici connessi alla parola guerra. Eppure, l’applicazione del diritto umanitario può ancora trovare difficoltà, nei casi in cui una o più parti coinvolte non accettano, per ragioni politiche, di trovarsi in una situazione di scontro dichiarato, interno o internazionale. In conseguenza, non consentono l’applicazione delle norme umanitarie, l’accesso di organizzazioni di salvataggio dei profughi e altre azioni a sollievo delle popolazioni colpite, rese possibili dai trattati internazionali rispettivi (cfr. Gertrude C. Chelimo, >Defining Armed Conflict in International Humanitarian Law, in: Enquires, Law and Justice, 2011, Vol. 3 N. 4).
Guerra ibrida, grey zone war, guerra non lineare
Queste definizioni si incontrano sempre più spesso. Indicano, con sfumature diverse, una condotta di guerra che include più componenti, oltre alle classiche operazioni militari. Gli studiosi non sono sempre concordi nel tracciare i confini tra queste definizioni. Tra di esse vi sono sovrapposizioni semantiche che facilitano la confusione. Ha poco senso qui entrare nel dettaglio della distinzione (una definizione sintetica ma efficace in lingua italiana si trova in: Marta Ottaviani, >Brigate russe, Ledizioni, Milano, 2022). Perde di peso, in queste definizioni, la differenza tra guerra e conflitto armato.
Per noi, come traduttori, è importante sapere che termini come hybrid warfare (guerra ibrida), grey zone warfare, oppure guerra non convenzionale o non lineare non sono espressioni descrittive o di fantasia. Si riferiscono a modalità codificate di scontro che includono l’uso della falsa informazione, il coinvolgimento di attori non statali (gruppi terroristici o separatisti), l’esercizio di influenze politiche ed economiche, persino l’organizzazione di false missioni umanitarie, allo scopo di raggiungere obiettivi di dominio. L’uso di mezzi diversi dalle armi convenzionali non è nuovo, nella condotta delle guerre. Oggi, però, il peso degli strumenti atipici è maggiore, tanto che configura tipologie e definizioni specifiche.
In questa sede non è possibile dettagliare altri lemmi. Termini come guerra, conflitto e conflitto armato possono essere usati quasi sempre come sinonimi, nel linguaggio comune. Nel linguaggio del diritto e delle relazioni internazionali, invece, bisogna ricordare che sono costitutivi di fattispecie diverse.
Come abbiamo visto, dall’impiego corretto della terminologia di guerra può dipendere l’applicabilità di un trattato internazionale o la possibilità di compiere una missione umanitaria. Nel tradurre queste parole dalle diverse lingue, nei contesti politici e tecnico-giuridici, è necessario tenere conto del loro retroterra.
4 risposte
Molto chiaro e molto utile anche per non traduttori. Grazie
Grazie.
Mi sembra un contenuto eccellente. Da interprete che si occupa prevalentemente di queste materie, mi complimento per la chiarezza espositiva e il dettaglio della ricerca.
Grazie. Ricordo il Suo intervento del 2017 sulle problematiche di interpretazione sugli scenari di guerra, a Milano (ne ho parlato >qui). LL