Il riconoscimento dello Stato arabo di Palestina

Francia, Regno unito e Canada riconoscono lo Stato arabo di Palestina
Gerico, Cisgiordania | © David McLenachan

Palestina: riconoscimento dello Stato arabo e conseguenze sul conflitto. L’effetto concreto sulla condizione dei territori arabo-palestinesi e dell’intera Palestina. Il quadro giuridico incerto e la relazione con gli atti di Hamas. Cosa significa oggi riconoscere uno Stato arabo in Palestina. La posizione dell’Europa e le ragioni per le quali i governi di Parigi e Londra compiono questo passo. La situazione a Gaza.


Il presidente Emmanuel Macron ha annunciato che la Francia riconoscerà la Palestina come Stato. Il suo annuncio è stato seguito da uno analogo da parte del Canada e del Regno unito. Il riconoscimento si riferisce allo Stato arabo di Palestina: uno Stato palestinese esiste già, Israele. Usare il termine palestinese per indicare solo gli arabi, facendo passare tutti gli altri come intrusi, è uno dei maggiori successi mediatici degli arabo-palestinesi. Ebrei, drusi e altre comunità esistono in Palestina con eguale legittimità storica, culturale e giuridica. In questa analisi partiamo dalla >situazione nella striscia di Gaza, per poi guardare alle >modalità e >conseguenze del riconoscimento dello Stato arabo di Palestina. Analizziamo infine le >motivazioni e le conseguenze per >noi in Europa.

Prima di affrontare l’argomento, poniamo una questione preliminare: le condizioni presenti nella Striscia di Gaza, in prima pagina su tutti i giornali. Pur dinanzi alle immagini di dolore e distruzione, bisogna riconoscere una realtà scomoda: noi non sappiamo ciò che sta succedendo a Gaza. Sembra una contraddizione, nella società dell’informazione globale, ma dobbiamo prenderne atto.

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PALESTINA: LA SITUAZIONE A GAZA

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Non passa settimana che non emergano prove di falsi nelle immagini e nei filmati diffusi da Hamas, l’unica fonte d’informazione da Gaza, insieme ai giornalisti compiacenti. I rari osservatori affidabili riferiscono un quadro molto diverso da quello diffuso dai media, anche sulla questione della distribuzione degli aiuti alimentari. Di rado, però, queste voci contrarie alla propaganda vengono riprese dai media maggiori. E’ difficile non riconoscere che giornalisti e accademici non allineati alla narrazione favorevole ad Hamas non ricevono gli stessi spazi di quelli che invece la sostengono.

Per stabilire delle responsabilità, serve un nesso causale che unisca una condotta a un evento: bisogna stabilire quali cause producono quali effetti. Su 100 morti a Gaza, quanti lo sono per effetto dei bombardamenti israeliani e quanti per l’omessa protezione da parte di Hamas, che non ha tutelato la popolazione, anzi l’ha usata come scudo? Tra i caduti causati dai bombardamenti di Israele, che senz’altro ci sono, quanti sono vittime collaterali e quanti sono dovuti a dolo diretto o eventuale?

Degli edifici distrutti, quali e quanti sono stati bombardati per giusta causa e quale causa? Quanti sono stati abbattuti per conseguenza inevitabile di condotte giustificate e quanti per negligenza o imperizia? C’erano alternative, alle condotte di Israele? Il giudizio sulle azioni di Israele a Gaza dipende dalle risposte a questi e molti altri interrogativi. A oggi, non abbiamo risposte verificabili da fonti competenti e terze rispetto alle parti. Non le ha Emmanuel Macron, non le ha Keir Starmer, non le ha Donald Trump. Il riconoscimento dello Stato arabo di Palestina, pertanto, con le conseguenze che i suoi promotori dichiarano di perseguire sul miglioramento della condizione di Gaza, si fonda su informazioni parziali e incomplete.

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La posizione delle organizzazioni umanitarie

Abbiamo le dichiarazioni delle organizzazioni umanitarie. Le guerre di oggi, tra gli altri danni, ci costringono a prendere atto che le organizzazioni umanitarie hanno perso la superiorità che si attribuiva loro in nome del loro impegno morale. Dopo le figuracce di alcune note e grandi organizzazioni in Ucraina e nella stessa Gaza, credere alla loro terzietà ormai è impossibile. A Gaza, le ONG non operano se non con il consenso di Hamas. Infine, gli enti umanitari non hanno gli strumenti tecnico-giuridici per rispondere alle domande elencate poco sopra. Possono dare valutazioni soggettive su singoli eventi, essere operatori umanitari è cosa onorevole, ma non basta per scrivere sentenze.

All’assenza di dati si può rimediare con una ponderazione di interessi. Israele ha gli occhi del mondo puntati addosso: viviamo su un pianeta all’incontrario in cui chi si difende deve dare conto più di chi aggredisce. Quale interesse ha Israele, a compiere azioni non necessarie, di violenza gratuita? Può commettere errori ed esagerazioni, nell’esercito e nella politica ci sono le teste calde. Eppure, Israele, come linea generale di condotta, non ha alcun interesse a compiere atti volontari che esuberino dal necessario.

Siamo, noi, in grado di stabilire dove finisce il necessario e comincia l’arbitrario, in una guerra come quella di Gaza, contro guerriglieri pronti a mozzare la testa del nemico come la punta di un sigaro? Non lo siamo. Alle condizioni date, il giudizio sulla situazione a Gaza dovrebbe restare sospeso. Vi è una sola certezza: Hamas controlla i media e ha vinto, sinora, la guerra dell’informazione, con la compiacente collaborazione di quasi tutti i media e le accademie occidentali.

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PALESTINA: RICONOSCIMENTO DELLO STATO E CONSEGUENZE

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Veniamo, ora, alla questione del riconoscimento dei territori arabi di Palestina, sollevata da Macron. Quando si parla di riconoscimento di uno Stato arabo in Palestina, pare che si conceda agli arabi un diritto negato. In realtà, nel 1948 gli arabi ebbero piena facoltà di costituire il loro Stato. Il 14 maggio gli ebrei fondarono il proprio Stato (Israele) nei confini assegnati dall’ONU; gli arabi avrebbero dovuto fare altrettanto, ma si rifiutarono. Costituire il loro Stato, infatti, avrebbe significato accettare per fatto concludente l’esistenza di Israele e la spartizione della Palestina. Gli arabi ritenevano, invece, che il loro Stato dovesse includere tutta la Palestina.

La notte stessa del 14 maggio, un congiunto di Paesi e raggruppamenti arabi aggredì Israele, con l’intento dichiarato di distruggerlo. Cominciò così la guerra del 1948/49, spesso taciuta o sminuita dalle narrazioni correnti. Citarla, infatti, costringe ad ammettere la scomoda verità che il conflitto arabo-israeliano fu iniziato dagli arabi, non dagli ebrei. Anche negli anni successivi gli arabi hanno mancato possibili accordi, preferendo la lotta armata, dietro le strette di mano.

Nel frattempo, molti Stati arabi hanno riconosciuto il madornale errore del 1948 e hanno accettato l’esistenza di Israele, firmando trattati di cooperazione. Hamas è l’ultimo fortino nel quale si arroccano coloro che vogliono cancellare Israele dalla mappa della Palestina.

L’equivoco sui «territori occupati»

Quando Macron afferma di voler «riconoscere la Palestina,» intende uno Stato arabo che accetti la presenza di Israele; Hamas, però, capisce che Macron riconosce il diritto degli arabo-palestinesi a governare l’intera Palestina, tanto che Hamas non ha tardato a congratularsi con il presidente francese, distribuendo un comunicato che non lascia dubbi sulla posizione del gruppo terrorista, felice di poter guardare a un futuro in cui controllerà tutti i «territori occupati.»

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Quando noi parliamo di «territori occupati» ci riferiamo ai territori invasi da Israele dopo il 1948, inclusa l’attuale guerra a Gaza; Hamas, invece, si riferisce all’intera Palestina. L’equivoco si gioca su questo sfasamento semantico, ben sfruttato da Hamas e dai suoi sostenitori in Occidente. Bisogna sempre ricordare che l’obiettivo dichiarato di Hamas è una Palestina tutta araba e islamica, dal fiume al mare, ossia senza Israele.

STATO ARABO DI PALESTINA: RICONOSCIMENTO, CONSEGUENZE

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Nel merito, la dichiarazione con la quale Macron comunica di riconoscere lo Stato arabo di Palestina allinea condizioni e desiderata non realizzabili in concreto, tra questi il disarmo di Hamas. Non si vede come e quando Macron pensi di realizzarlo. Per giunta, il presidente francese non costituisce un nesso tra l’avveramento di queste condizioni e il riconoscimento dello Stato arabo-palestinese. Il presupposto dovrebbe essere: o cessano le violenze di Hamas, o non si riconosce lo Stato, tertium non datur. La formulazione di Macron, invece, resta incerta e fa presagire che il riconoscimento avverrà comunque, abbandonando l’avverarsi delle condizioni a un futuro indeterminato. La stessa ambiguità, riguardo ad Hamas, si ritrova nella dichiarazione di Keir Starmer.

Non finisce qui. Il riconoscimento di uno Stato arabo in Palestina, alle condizioni odierne, manca di requisiti oggettivi, vista la situazione politico-istituzionale in cui versano i territori interessati. Uno Stato è riconoscibile come tale quando: a) è abitato da una popolazione stanziale; b) si estende su un territorio definito; c) ha un governo e d) è in grado di intrattenere relazioni internazionali. Sono i presupposti fissati all’articolo 1 della >Convenzione di Montevideo sui diritti e doveri degli Stati (1933), firmata tra governi americani e oggi riconosciuta in tutto il mondo come linea guida per la definizione di uno Stato.

Almeno due di questi requisiti – i confini e il governo – non sussistono, nei territori arabo-palestinesi. Talune voci affermano che il riconoscimento dello Stato arabo di Palestina sarebbe limitato alla Cisgiordania, governata dall’Autorità nazionale palestinese. Il territorio dello Stato arabo-palestinese, però, include la Cisgiordania e la Striscia di Gaza: chi fa questa affermazione per solito tace, sul destino di quest’ultima.

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Cosa significa riconoscere oggi uno Stato arabo di Palestina

Al presente, il territorio dello Stato arabo-palestinese ha confini incerti, dopo le guerre subite da Israele dal 1948 a oggi; in Cisgiordania è diviso in tre settori a sovranità mista sin dagli accordi di Oslo (1993/1995); i territori sono amministrati non da uno ma da due governi contrapposti: in Cisgiordania, l’Autorità nazionale palestinese, di fatto incapace di agire; a Gaza, Hamas, che è un gruppo terrorista votato dagli elettori nelle elezioni del 2006. Oggi si potrebbe contestare ad Hamas il diritto di governare Gaza, poiché la legislatura è scaduta senza nuove elezioni, ma nulla si muove.

Infine, che Hamas sia riconosciuto da molti Paesi come gruppo terrorista e che il governo dell’Autorità nazionale palestinese in Cisgiordania sia fermo in un vicolo cieco sono fatti che impediscono ai territori di intrattenere normali relazioni internazionali. Per questi motivi, carenti i requisiti minimi, riconoscere oggi uno Stato arabo di Palestina non ha più nulla a che vedere con i principi di diritto internazionale. Se si riconosce come Stato un territorio indefinito, governato almeno in parte da terroristi e privo dei presupposti per intrattenere normali relazioni con il resto del mondo, cosa resta dell’idea stessa di Stato?

Nel metodo, poi, Macron ha affermato di voler riconoscere lo Stato arabo di Palestina poco dopo che gli Stati uniti avevano annunciato di abbandonare i negoziati con Hamas, dimostratosi disinteressato a un accordo. Sentita la dichiarazione di Macron, non si vede quale motivo abbia ora Hamas di accedere a nuove trattative e concessioni sul cessate il fuoco o sugli ostaggi israeliani che ancora trattiene: ha ottenuto un successo politico formidabile e continuerà come sempre. Per questo motivo, riconoscere oggi uno Stato arabo-palestinese si converte in una tacita approvazione delle condotte di Hamas e della lotta armata.

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Palestina: il diritto nel riconoscimento dello Stato e le sue conseguenze

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Certo, una valutazione giuridica di merito e di metodo può apparire arida, di fronte alle tragedie alle quali assistiamo in Palestina. Dove sono l’umanità, l’empatia oggi tanto di moda, la partecipazione al dolore delle popolazioni coinvolte, soverchiate da una lotta fra torti e ragioni, dalle dissertazioni degli storici e dalle zuffe sulla determinazione dei confini degli Stati?

L’umanità, sia nell’accezione morale sia in quella materiale, si salva e si tutela proprio stabilendo torti e ragioni. Il diritto è stato inventato per distinguere il colpevole dalla vittima e dare «a ciascuno il suo» (espressione di Ulpiano, maestro del diritto romano, poi tradita da Hitler usandola come motto all’ingresso di un campo di concentramento).

Non può esistere «umanità,» nella confusione fra lecito e illecito. Usare gli strumenti del diritto, della storia e della geografia è indispensabile per tutelare l’umanità, che altrimenti si autodistruggerebbe, divorata dalla legge del più forte. Rinunciare a giudicare, in nome dell’umanità, significa sottrarsi al dovere di distinguere Caino da Abele; eppure, questa rinuncia è l’esercizio preferito da molti, anche da un cattolicesimo dogmatico e violento, impersonato al vertice dal penultimo papa, che mescola tutto nello stesso calderone in ossequio a un’usurata retorica dell’eguaglianza fraterna.

PALESTINA, CONSEGUENZE: COSA CAMBIA IL RICONOSCIMENTO DELLO STATO?

Sul piano sostanziale, il riconoscimento dello Stato arabo da parte della Francia, del Regno unito o di altri è destinato a restare senza conseguenze, sul terreno della Palestina. Circa 3/4 degli Stati del mondo riconoscono già i territori arabo-palestinesi come Stato. Ciò non ha cambiato nulla nella sostanza, anzi: Hamas ha visto il suo consenso rafforzarsi, con il conseguente inasprirsi delle violenze sino al culmine del 7 ottobre. E’ la prova più chiara che la confusione sui principi di merito e di metodo ricordati sopra genera solo malanni.

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Se si attende di trovare nella decisione di Macron e di Starmer una logica giuridico-istituzionale vantaggiosa per la Palestina, non la si troverà. L’atto sembra soddisfare, piuttosto, animosità nate da situazioni interne. Macron deve amministrare una Francia che fatica a conservare la propria sovranità sostanziale in aree sulle quali l’ordine pubblico non è più controllabile, se non ingraziandosi le comunità islamiche locali. Lo stesso deve dirsi per il Regno unito e per i Paesi che hanno ammesso sul loro territorio migranti che non accettano lo stile di vita occidentale e condizionano l’azione dei governi. Dietro a questi fenomeni ci sono organizzazioni che hanno nel terrorismo mediorientale la loro fonte d’ispirazione e, spesso, anche di sostegno materiale.

Non si tratta di mere ipotesi: riconoscere lo Stato arabo-palestinese è una misura suggerita dai servizi segreti francesi in un rapporto sull’influenza nel Paese dei Fratelli musulmani, consegnato al Ministero dell’interno a maggio. Il riconoscimento dello Stato arabo di Palestina può avere conseguenze utili, secondo il rapporto, per riequilibrare la posizione della Francia agli occhi della comunità araba, che giudica il governo di Parigi troppo vicino a Israele. Keir Starmer, a Londra, fatica a governare contro le crescenti opposizioni dall’estremità pro-pal del suo stesso partito, già finita sotto i riflettori per le posizioni antisemite di alcuni esponenti.

Perché gli occidentali riconoscono lo Stato arabo-palestinese?

I capi di Stato e di governo che riconoscono lo Stato arabo di Palestina non sono stupidi. Conoscono le circostanze che ho descritto in quest’analisi; sanno che il riconoscimento non avrà conseguenze sulla condizione degli abitanti di Gaza, anche se lo giustificano con questo falso intento umanitario. Riconoscendo lo Stato arabo-palestinese, Macron, Starmer e domani forse altri aggiustano equilibri nei loro partiti e nei loro parlamenti, posizionano il loro Paese sullo scenario internazionale secondo gli orientamenti di maggiore tendenza e guadagnano il consenso di parti ben definite di opinione pubblica.

Poiché il riconoscimento non muta nulla di concreto alle loro politiche, questo consenso costa loro un prezzo sopportabile. Le proteste di Israele e di gruppi sociali dissenzienti si riassorbiranno in fretta e non turberanno mai l’ordine pubblico come possono fare, invece, i vocianti sostenitori della causa arabo-palestinese. Nei parlamenti delle democrazie occidentali diventa sempre più difficile governare, senza cedere alle pretese degli estremisti di una parte, che si fanno portavoce dell’immigrazione islamica, e di quelli della parte opposta, sostenitori del nazionalismo autoritario. Di questa fragilità si rallegrano i gruppi terroristi mediorientali e, non occorrerebbe nemmeno dirlo, la Russia. La propaganda russa non deve più inventarsi nulla, per sostenere che la società aperta e la democrazia occidentale stanno decadendo dai loro principi.

Tra politica e diritto, la situazione resta quella del 1948

Un gruppo di parlamentari inglesi ha chiesto al governo se non ritenga che il riconoscimento dello Stato arabo di Palestina sia contrario al diritto internazionale, per le stesse ragioni che ho elencato qui, poco sopra. La risposta del governo inglese, per voce di Gareth Thomas, è stata che «riconoscere lo Stato arabo-palestinese è una decisione politica:» è una risposta agghiacciante che conferma quanto la politica non esiti a porsi fuori dai principi del diritto, anche i più basilari, se ciò le serve a posizionarsi.

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Sullo scenario palestinese, intanto, il punto resta quello del 1948: lo Stato arabo-palestinese non nasce non perché gli occidentali o Israele lo abbiano impedito, ma perché gli stessi arabi di Palestina, oggi guidati da Hamas, non lo vogliono. In questo modo, oltre alla carenza degli elementi oggettivi indicati più sopra, viene a mancare anche l’elemento soggettivo, cioè la volontà della comunità arabo-palestinese di costituirsi come Stato. Oggi come allora, costituire uno Stato arabo di Palestina accettando la convivenza con Israele significherebbe per gli arabi condividere con altri una terra che essi considerano solo loro.

I riconoscimenti occidentali non mutano nulla a questo quadro, anzi incoraggiano chi condivide questa visione avversa alla storia e al diritto. Si produce lo strano caso di uno Stato che viene riconosciuto da altri, ma esso stesso non vuole costituirsi nei confini e nelle forme in cui viene riconosciuto.

Palestina: riconoscimento dello Stato e conseguenze per noi

Nell’agio delle democrazie occidentali, abbiamo dimenticato troppo in fretta l’undici settembre 2001, quando una masnada di esaltati riuscì in una mattina a mettere a ferro e fuoco gli Stati uniti d’America. Provenivano dallo stesso brodo di coltura contro cui combatte oggi Israele, possono colpire e hanno già colpito anche in Europa, negli attentati del 2015.

Sotto la gittata dei missili dell’Iran ci siamo anche noi europei. Ogni volta che in Siria e Medioriente vola una mosca, partono verso di noi flussi di migranti che non riusciamo più a controllare: dopo aver accolto milioni di fuggiaschi mediorientali, oggi la Germania lotta contro fenomeni di violenza urbana e islamizzazione strisciante sempre meno governabili. Taccio, poi, sugli sviluppi in corso in Libia.

Se, anche grazie a un’informazione più corretta, fossimo più consapevoli delle minacce alle quali è esposta l’Europa intera, forse guarderemmo in modo diverso anche alle azioni di Israele; senza privarci del diritto di critica, ma soprattutto chiedendoci cosa stiamo facendo noi, dai nostri divani, per la nostra sicurezza.

Israele può sbagliare, esagerare, esporsi a critiche, ma agisce. Ciò che fa può non piacerci, ma tutela anche i nostri interessi. Dobbiamo aspettare un undici settembre o un sette ottobre a Milano, Francoforte o Parigi, per riportarci alla realtà dall’alto della nostra presunzione? Ci siamo già andati molto vicini.

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Il mio corso «Capire l'attualità internazionale» accompagna chi desidera comprendere meglio i fatti del mondo. Con il corso «Il diritto per tradurre» comunico le competenze giuridiche necessarie per tradurre testi legali da o verso la lingua italiana.

Commenti

  1. Elena says:

    Sul riconoscimento dello Stato arabo di Palestina sono totalmente d’accordo e pare che lo siano anche l’ANP nella persona del premier Mustafa e la Lega Araba. Loro hanno capito meglio dell’occidente che Hamas e altre milizie sono un enorme impedimento (anche se non l’unico) alla costituzione di uno Stato. Cosa pensi di queste recenti dichiarazioni?

    Aggiungo solo che il diritto internazionale deve fare sì la sua parte, ma non disgiunto da un grosso lavoro culturale e di giustizia riparativa che, per quanto possibile, mitighi la temperatura dell’odio reciproco e educhi almeno le nuove generazioni alla convivenza.

    • Luca Lovisolo says:

      Tra i leader arabi le posizioni sono molto più morbide di quanto lo siano in Occidente, per assurdo che sembri. La posizione dell’ANP in realtà non è del tutto trasparente, sulla questione del riconoscimento di Israele, ad esempio, le formule sono sibilline. Per giunta, oggi l’ANP è isolata, i maggiori consensi li raccoglie Hamas. Aggiungi che Hamas, gli Houthi ed Hezbollah sono tentacoli dell’Iran, percepito da tutto il mondo arabo come minaccia alla sicurezza; considera poi diatriba tra islam sciita (Iran) e sunnita (pressoché tutto il resto del mondo arabo).

      In Europa, l’opinione pubblica è formata dalla propaganda di Hamas, le dimostrazioni davanti alle università, il controllo sui media e tutto ciò che determina la consonanza fra i maître à penser occidentali e gli arabo-palestinesi (che poi si trasforma in atti di scoperto antisemitismo) ha alle spalle organizzazioni facenti capo ad Hamas o a partiti politici europei che ne condividono le posizioni. L’esito è che l’Occidente, sulla Palestina, risulta più filoarabo degli arabi.

      Rieducare alla convivenza sarà difficile, soprattutto sul lato arabo-palestinese. Bisogna riconoscere che da parte israeliana non esiste un odio organizzato verso gli arabi, come invece esiste nel senso opposto: ne sono prova i recenti interventi a favore dei drusi e i buoni rapporti che Israele intrattiene con ormai numerosi Paesi arabi, oltre alla pacifica convivenza di arabi all’interno dello Stato ebraico. Il problema di Israele è la sicurezza, quello degli arabo-palestinesi è l’odio etnico-religioso. Purtroppo, a coltivarlo ha contribuito non poco l’Occidente, finanziando organizzazioni teoricamente dedite all’istruzione, ma nei fatti impegnate a distribuire libri scolastici che incitano all’odio verso gli ebrei. Anche l’Europa ha molte domande da farsi, su questo capitolo.

      Colgo lo spunto per un’altra osservazione: l’odio instillato da Hamas nella popolazione dei territori contro Israele negli ultimi decenni è del tutto analogo a quello che il sistema scolastico della Russia di Putin sta inculcando nelle giovani generazioni russe, sin dai primissimi gradi scolastici, rivolto verso l’Occidente e all’insegna del militarismo più becero. Continuiamo però a ignorare quanti rischi ciò comporti per noi, su entrambi gli scenari.

  2. Elena says:

    Grazie della risposta. Sugli aspetti culturali ed educativi mi sento di insistere a considerarli fondamentali. E’ vero che, in linea di massima, in Israele non c’è una massiccia educazione all’odio etnico, ma permangono sacche di intolleranza e razzismo (soprattutto in alcune comunità) e soprattutto c’è il problema dei coloni, che hanno una visione ideologica e distorta di “Erétz Yisra’él” e che aggrediscono e devastano le proprietà palestinesi, a volte causando vittime. Inoltre da parte del governo israeliano non c’è un adeguato riconoscimento degli abusi perpetrati durante la Nakba, un evento che ha segnato profondamente i palestinesi e che nei primi anni dalla nascita del nuovo stato ancora sollecitava le coscienze degli israeliani.

    Quanto allo Stato di Palestina, mi auguro che l’ANP e la Lega Araba si impegnino seriamente nel disarmo di Hamas e delle altre milizie irregolari e formino un governo come si deve, ivi compresa l’istituzione delle forze armate. Mi sembra l’unica strada per la risoluzione del conflitto.

    • Luca Lovisolo says:

      Non ho scritto che gli aspetti culturali ed educativi non sono importanti, ho osservato che le basi sono molto diverse. Sulla questione della Nakba ci sarebbe molto da dire, considerato che persino lo storico Benny Morris ha rivisto le sue posizioni di condanna assoluta contro Israele sugli eventi, ma non è questo il luogo. L’auspicio che formuli è condivisibile, alle condizioni attuali non se ne vedono possibilità di avveramento. Per l’intanto, l’annuncio di Macron e Starmer ha prodotto un ulteriore indurimento di Hamas rispetto ai negoziati sugli ostaggi, com’era facile prevedere.

      • Elena says:

        Grazie per la risposta, che vedo solo ora. Buona giornata

  3. Raffaele Sandroni says:

    Sempre molto interessante ma trascura il fanatismo religioso ebraico che vuole la grande Israele per il ritorno del messia. Ormai in maggioranza nel governo e con il primo ministro a favore stanno realizzando quanto mi dicevano anni fa durante i miei viaggi di lavoro in Israele. Non hanno mai voluto (o potuto) negoziare seriamente o trovare accordi. Fanatici da entrambi i lati. Gli arabi non accettano Israele. Israele vuole i territori e li sta conquistando con la forza e con azioni sui civili senza giustificazione. Come ha detto una ministra: in Cisgiordania tra poco solo ebrei. Non ha detto israeliani, ha detto solo ebrei. E questi dovrebbero negoziare? Degli arabi lo sapevamo ora lo sappiamo anche per gli ebrei: fanatici senza speranza. È terribile e angoscioso

    • Luca Lovisolo says:

      Non è possibile mettere sullo stesso piano i due fanatismi, che esistono, ma hanno retroterra diversi. Componenti estremiste in Israele sono sempre esistite, sin dai tempi di Irgun. La società israeliana, però, è pluralista e almeno sinora è riuscita a riassorbire gli eccessi. Non dimentichiamo che fu proprio il già leader di Irgun, Begin, a firmare la pacificazione con l’Egitto di Sadat. Non vedo ragione per la quale la società israeliano non possa attutire di nuovo le correnti più estreme, superata questa fase di eccezione seguita al 7 ottobre. Sul lato arabo, al contrario, non vi è possibilità che le posizioni possano temperarsi nel contesto di una società aperta. Non credo, perciò, che la questione sia riducibile a uno scontro fra opposti fanatismi, i due contesti sono ben diversi.

  4. Giuseppe Condello says:

    Lei ha toccato dei punti molto importanti e la ringrazio, perché va al di là della vulgata mass mediatica a cui quotidianamente veniamo abituati. Mi consenta di toccare un argomento molto delicato, ma penso fondamentale per comprendere quello che sta succedendo su Gaza. In realtà v’è un atavico sentimento anti-occidentale e anti-liberaldemocratico dall’interno degli stessi stati occidentali. Le proteste violente di gruppi Pro Pal, che inneggiano ad Hamas fanno rumore, ma trovano un terreno di adesione, diciamoci la verità, sia dall’estrema destra nazionalista, con riverberature antiebraiche, sia dall’estrema sinistra, con un apporto catto-comunista evidente.

    Tocco questo aspetto perché risulta chiaro in ciò che lei dice quanto in Occidente ci si sta facendo del male, sottovalutando o mistificando la causa palestinese, quando invece sappiamo che Hamas è un movimento integralista islamico. Ecco, vi sono sociologi, storici, geografi, evidentemente di tendenza pro pal e terzomondista, che fanno propaganda con attacchi all’Occidente e con un’apertura scriteriata verso l’integralismo islamico, questi sono dimentichi, ahinoi, ma sono in malafede, quanto proprio coloro che difendono, sono i nostri peggiori nemici. E’ una situazione di vero e proprio masochismo e Dio non voglia che appunto le nostre società si trovino a pagare un altro tributo di sangue un domani per degli attacchi scientificamente presupposti da questi folli.

    V’è un’Europa debole, perché le liberaldemocrazie stanno dimenticando la loro essenza e rinunciano alla fermezza nel difendere i loro valori, che poi sono valori di convivenza civile edificati nell’ambito di precise dinamiche storiche. Poi se ci mettiamo il politicamente corretto che alligna nelle nostre università e la cultura antioccidentale e antistorica, di cui vengono imbevuti molti studenti, il dato è tratto e sembra dare conferma alla Cina, alla Russia, alla Corea del Nord e all’integralismo islamico e all’Iran che siam deboli e decadenti come sistema politico. Insomma, grazie perché lei ci chiarisce molti aspetti, con obiettività e trasparenza, ma soprattutto andando controcorrente rispetto a certe versioni manichee.

    • Luca Lovisolo says:

      Grazie per il Suo apprezzamento. Le dinamiche che Lei illustra sono sotto gli occhi di tutti. Cordiali saluti. LL

  5. Giovanna says:

    Concordo in pieno con l’ultimo commentatore. Nonostante le argomentazioni di Luca siano chiarissime, si continua a ignorare i fatti storici alla radice. Esistono analisi molto esaustive, raccolte in questo sito. Pare, però, che nessuno si prenda la briga di leggerle, preferendo i soliti giudizi di parte, conditi da un odio violento e cieco che mi sconcerta. Ultimamente cerco di non leggere più nessun giornale, la stampa è talmente intrisa di energia negativa a senso unico da lasciare senza respiro. Oggi mi trovo ai bagni; ho dovuto cambiare posto due volte per non ascoltarmi tirate deliranti e cariche di rabbioso risentimento a senso unico. Quo vadis, mundus?

    • Luca Lovisolo says:

      Grazie per il Suo apprezzamento. Non sarà il mio blog a cambiare il mondo. Chi potrebbe diffondere un’informazione adeguata su mezzi di maggiore portata, capaci di formare un’opinione pubblica consapevole, purtroppo non lo fa, anzi, spesso rema contro. Per rispondere al Suo interrogativo finale: nescio quo sed scio quomodo it mundus, pessime (non è un dotto brocardo giuridico, l’ho inventata io confidando nei brandelli di latino che mi restano dalle scuole medie. Non serve traduzione, credo…). Cordiali saluti.

  6. Giovanna says:

    Eh già, non si sa dove vada, ma che non stia ansando alla grande non c’è dubbio. Il blog non cambierà il mondo, ma a mio avviso aiuta moltissimo. Grazie.

  7. Bernardo says:

    Buongiorno, trovo che Lei trascuri quanto vari governi israeliani hanno fatto privilegiando Hamas come controparte con cui trattare, preferendo avere un nemico dichiarato all’interno (con ciò aumentando il suo potere di controllo e credibilità nei confronti della popolazione araba) allo scopo di mantenere il Paese in uno stato di emergenza perenne che diminuisse la possibilità di una alternanza dei partiti al governo, che questo comportamento sia simile a quello dei Paesi circostanti che hanno usato Israele come un amuleto di fronte alle loro popolazioni scontente non fa che rendere Israele meno democratico e originale, nel senso di diverso dai paesi circostanti, di quanto vorrebbe apparire. Con simpatia.

    • Luca Lovisolo says:

      Sono d’accordo, le contraddizioni nella condotta di Israele verso Hamas e attori non amichevoli sono ben presenti, con le conseguenze che Lei segnala. Nelle mie analisi cerco concentrarmi più su aspetti che riguardano le relazioni globali e i rapporti giuridici, lasciando ad altri i pur importanti processi di dettaglio. Cordiali saluti.

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Con le mie analisi e i miei corsi accompagno a comprendere l'attualità globale chi vive e lavora in contesti internazionali.

Tengo corsi di traduzione giuridica rivolti a chi traduce, da o verso la lingua italiana, i testi legali utilizzati nelle relazioni internazionali fra persone, imprese e organi di giustizia.

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