Le candidature alla presidenza e vicepresidenza degli Stati uniti mettono l’Europa e le relazioni transatlantiche dinanzi a un bivio. Brevi considerazioni, prima della pausa estiva, sugli scenari che si aprono fra Donald Trump, Kamala Harris e JD Vance: Europa, Ucraina e Russia, questione NATO. Le impressioni suscitate dai loro interventi. La situazione della guerra e le responsabilità dei nuovi dirigenti.
La vicenda del ritiro di Joe Biden dalla veste di candidato alle prossime elezioni presidenziali negli Stati uniti suggerisce diverse analogie, in chi conosce la storia dell’Unione sovietica e dei Paesi dell’Est Europa. A capo di quei regimi venivano posti dirigenti che vi restavano vita natural durante, anche quando l’età li riduceva all’incapacità o quasi.
Chi incontrò il leader comunista romeno Nicolae Ceaușescu negli ultimi anni ricorda la costante presenza al suo fianco della moglie Elena, che sembrava quasi farne le veci a capo dello Stato e del Partito.
In Unione Sovietica, Boris Eltsin, in quel momento dinamico dirigente della provincia di Sverdlovsk, chiese udienza al capo dello Stato, allora Leonid Brežnev, per ottenere l’approvazione necessaria a costruire la metropolitana della sua città. Correva la fine degli anni Settanta, Brežnev era già molto anziano e aveva subìto più di un ictus. Racconta Eltsin che dovette dettare lui all’anziano leader, parola per parola, ciò che doveva scrivere sul documento richiesto e dirgli di firmarlo.
Sarà poi Eltsin stesso, dalla metà degli anni Novanta, come presidente della Russia, a suscitare dubbi sulla sua capacità di sopportare la fatiche dell’incarico, dopo aver superato crisi cardiache, due infarti e un intervento al cuore.
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Chi comanda davvero, se manca la lucidità del leader?
In questi casi, ci si chiede chi governa davvero un Paese, se i massimi dirigenti perdono la lucidità. La stessa domanda si sarebbe posta se Joe Biden avesse continuato la corsa al secondo mandato. Sulla sua salute sono circolate molte tesi complottiste. Prima del subentro di Kamala Harris, Donald Trump, JD Vance e la propaganda russa in Europa – e non solo quella – hanno sfruttato a più non posso la sua debolezza. Informazioni più o meno contraffatte sulle sue condizioni si sono diffuse a tappeto, per sminuirne la figura.
Tralasciamo i complotti: Joe Biden è davvero in difficoltà. Il dibattito televisivo di giugno contro Donald Trump ha rivelato in lui una debolezza reale, accresciutasi negli ultimi mesi e difficile da recuperare, pensando a un nuovo incarico a capo dello Stato.
In sostituzione di Joe Biden sembra certa la candidatura dell’attuale vicepresidente, Kamala Harris. Ho avuto alcune opportunità di ascoltare interventi di Kamala Harris nei quali dapprima leggeva il discorso dal podio, poi rispondeva alle domande dei presenti. Ogni volta mi ha colpito la forte differenza qualitativa tra i due momenti: efficace e convincente finché leggeva l’intervento preparato; fragile e spesso rifugiata in frasi fatte, quando doveva improvvisare le risposte alla sala.
La candidatura di Kamala Harris entusiasma perché donna, di colore e con retroterra migratorio. Essere presidenti, a maggior ragione presidenti esecutivi, come negli Stati uniti, richiede una combinazione di carisma, fermezza e competenza tecnica che non dipendono dal genere e dall’origine della persona. Kamala Harris dovrà dimostrare di possedere queste doti ora, in campagna elettorale, e ancor più se sarà eletta. Si vedrà, se il suo passato di procuratrice la aiuterà: non resta che attendere.
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Trump, Harris, Vance: considerazioni su Europa e Russia
Sul campo opposto, ha fatto notizia la nomina di JD Vance a candidato alla vicepresidenza. Non sappiamo ancora se il duo Donald Trump – JD Vance salirà al soglio presidenziale. Se anche sarà, il vicepresidente non ha i poteri d’indirizzo del presidente e le azioni concrete di un governante possono discostarsi molto dalle sue dichiarazioni.
Su Vance vi sono però considerazioni utili da riportare, poiché valgono anche se Trump fosse sconfitto in favore di Kamala Harris. La generazione di Vance guiderà gli Stati uniti nei prossimi decenni, dal governo o dall’opposizione. Le posizioni di Vance vanno consolidandosi nell’opinione pubblica statunitense e lo scarto con la generazione precedente è profondo. Ricordo bene l’intervento di Vance alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza, nel febbraio di quest’anno. Le sue parole suggeriscono tre osservazioni.
La prima: Vance e i politici della sua generazione hanno basi culturali deboli e non guardano ad alti principi. Possono mutare a fondo le loro posizioni a dipendenza delle circostanze. Provengono da università che hanno perso molto del loro antico prestigio e propagano teorie postmoderne, aleatorie e dallo scarso radicamento valoriale.
La seconda osservazione è che Vance non conosce bene la Russia. Ritiene che Mosca non costituisca un pericolo per l’Europa e che gli interessi di Vladimir Putin vadano considerati. Queste affermazioni sono possibili solo se non si conosce ciò che sta accadendo a Mosca ora e ciò che vi è accaduto negli ultimi trent’anni. Questo problema riguarda anche molti dirigenti europei e in certa misura persino l’amministrazione Biden; quest’ultima, però, almeno a parole, si mostra più consapevole dei rischi.
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La difesa continentale: spada di Damocle sull’Europa
Infine, Vance ritiene che l’Europa debba fare di più per la propria difesa. Al momento, l’Europa ha capacità autonome di difesa minimali, se non supportata degli Stati uniti: questo, purtroppo, è un dato oggettivo sul quale bisogna dare ragione a Vance, che su altri punti allinea invece affermazioni che si preferirebbe non sentire, da un candidato alla vicepresidenza degli Stati uniti.
Per decenni l’Europa ha delegato la propria difesa agli USA. Ha evitato così lo scontro con un diffuso dogmatismo secondo cui non armarsi avrebbe significato pace e indipendenza da imposizioni degli Stati uniti. Ha ottenuto il contrario: la dipendenza è cresciuta, poiché l’Europa non ha sufficienti capacità di difesa proprie. Intanto, la debolezza europea stimola la prepotenza russa, anche sotto forma di propaganda e infiltrazione politica.
La prima a essere esposta alle intemperanze della Russia è l’Europa, anche se non tutti, nel vecchio Continente, hanno piena consapevolezza delle minacce esistenti. Comunque andranno le elezioni negli Stati uniti, la questione della difesa continentale e la debolezza della dirigenza statunitense sono un’ipoteca pesante, sul futuro europeo.
Trump, Harris, Vance: Europa e NATO, una posizione da chiarire
Sia la nuova dirigenza dell’Unione europea, uscita dalle elezioni di giugno, sia la presidenza degli Stati uniti che sortirà dalle elezioni di novembre, dovranno chiarire la loro posizione sulla NATO. A 75 anni dalla sua fondazione, la NATO affronta una sfida inedita. Come sappiamo, nacque al termine della Seconda guerra mondiale, con due scopi essenziali: tutelare in caso di attacco il territorio degli Stati membri e salvaguardare con lo strumento militare il sistema di valori che li orienta, fondato sui principi della società aperta e dello Stato di diritto.
Per tutta la Guerra fredda, terminata tra il 1989 e il 1991, il confine formale della NATO corrispose a quello sostanziale. Ciò significa che tutti gli Stati a ovest del confine che divideva l’Europa a metà si riconoscevano nei valori occidentali; tutti gli Stati a est del confine erano governati invece da regimi fondati su società chiuse ispirate al marxismo-leninismo.
In conseguenza, era altrettanto chiaro il quadro di riferimento politico e militare. Chiunque avesse superato quel confine con l’uso della forza, in una direzione o nell’altra, avrebbe scatenato la reazione collettiva della controparte.
Oggi, il confine formale della NATO non corrisponde più a quello sostanziale. Almeno due Paesi europei, Ucraina e Georgia (quest’ultima in attesa di chiarimenti interni), si riconoscono nei principi occidentali, sono aggrediti dalla Russia ma non sono parte della NATO. Si aggiunga che la Russia ha elaborato da tempo la strategia di espansione della propria influenza sull’intera Europa.
Trump, Harris, Vance: Europa e la strategia della Russia
Se la Russia sfonda in Ucraina, è certo già oggi che proseguirà l’aggressione verso Occidente, con strumenti militari e politici combinati. Difendere l’Ucraina oggi significa prevenire un sicuro attacco della Russia a Paesi NATO, nel breve o medio termine, anche oltre la cintura baltica e orientale.
D’altra parte, Paesi NATO come la Turchia e l’Ungheria si muovono in modo sempre più autarchico. Il quadro si è fatto meno chiaro, rispetto al tempo della Guerra fredda. Gli strumenti giuridici e operativi dell’Alleanza sono inadatti al nuovo contesto e la propaganda ha buon gioco a diffondere dubbi sulla necessità di soccorrere l’Ucraina.
La NATO si considera la più potente alleanza militare del mondo. Lo è, in termini generali. In dettaglio, però, l’Alleanza presenta vuoti da non trascurare. Già oggi, i Paesi NATO faticano a fornire all’Ucraina proiettili d’artiglieria: non per mancanza di volontà, ma perché le capacità produttive degli Stati membri non sono sufficienti. Mentre la Russia e altri Stati potenzialmente ostili, negli ultimi decenni, hanno moltiplicato i loro investimenti nell’industria militare, noi, in Occidente, li abbiamo ridotti.
L’altra grave debolezza della NATO è la sua disunità politica. Serve a poco avere le armi più potenti, se ogni azione deve attendere l’approvazione di una trentina di parlamenti. Più in generale, l’Occidente soffre di una profonda debolezza morale. Da tempo Europa e Stati uniti giocano a destrutturare i loro valori fondanti, esponendoli a una critica spesso ridicola e autolesionista, in università ridotte a commerci di dogmi a buon mercato, per tacere dei media e dell’industria culturale. Non deve meravigliare, se oggi è difficile far comprendere che cosa bisognerebbe difendere e perché, in caso di guerra.
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Due anni e mezzo di guerra: la situazione in Ucraina
La guerra in Ucraina è ferma: i russi avanzano in vari punti del Donbas, ma i loro avanzamenti sono minimi. Sebbene i media li annuncino con clamore, non spostano la dinamica del conflitto, almeno per ora. Gli ucraini rispondono con attacchi in profondità in territorio russo e hanno fermato il tentativo di aggressione da Nord-Est, lanciato da Mosca a maggio verso la città di Kharkiv. La mia ultima analisi estesa del conflitto, uscita ad aprile scorso (>qui), resta valida tutt’oggi, nei suoi tratti fondamentali.
Dopo due anni e mezzo di guerra, oltre ai limiti oggettivi nella produzione di armamenti, si svela sempre di più la titubanza politica dell’Occidente, nel fornire all’Ucraina il supporto decisivo per cacciare i russi e bloccare sul nascere i piani di espansione di Mosca sul resto del continente europeo. Alla ripresa della guerra, il 24 febbraio 2022, ci si era chiesti cosa sarebbe accaduto, se in quel momento alla guida degli Stati uniti vi fosse stato Donald Trump, anziché Joe Biden.
Oggi, sul punto s’impongono due osservazioni. La prima, che lo scenario con Donald Trump al potere e la guerra in Ucraina ancora in corso può realizzarsi tra pochi mesi. La seconda, che l’amministrazione Biden – alla quale si accoda come un cagnolino quella tedesca di Olaf Scholz – non è stata la migliore possibile, nell’affrontare la guerra, come si pensava. E’ più prudente affermare che è stata la meno peggio che poteva capitarci, in questa triste congiuntura.
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Occidente, Ucraina e Russia: l’occasione perduta
Un anno fa, dopo il colpo di Stato tentato da Evgenij Prigožin, la Russia aveva quasi toccato il fondo. L’esercito era indebolito; le scorte di missili erano ai minimi; il fallito golpe aveva svelato lo scontento di parti dell’apparato e delle forze armate. Se l’Ucraina avesse avuto gli strumenti per colpire con la forza necessaria in quel momento, vi sarebbe stata la possibilità di imprimere una svolta decisiva alla guerra, forse di vincerla.
Europa e Stati uniti, invece hanno temporeggiato, tra cento ma e mille però. Così, si è dato tempo a Putin di rafforzare la collaborazione con l’Iran per la produzione di droni; di concludere accordi con la Corea del Nord per la fornitura di proiettili e missili; di spingere al massimo la produzione interna di proiettili d’artiglieria. Intanto, dopo aver cancellato con misure draconiane le conseguenze del tentato golpe, Putin ha rinsaldato il suo controllo sulla Russia.
La debolezza occidentale è dovuta a dirigenti che ignorano colposamente la minaccia russa; oppure, pur conoscendola, hanno paura a rappresentarne la vera portata alle opinioni pubbliche. Queste ultime, da parte loro, sono abbandonate a una vergognosa propaganda mediatica favorevole a Mosca, che nessuno sembra voler zittire, in nome di una malintesa libertà di espressione.
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Chi non conosce la Russia, crede alla propaganda, si volta dall’altra parte e spera di svegliarsi una mattina in cui tutto sarà finito, come per miracolo. Chi conosce la Russia e i suoi progetti, però, sa che, se i dirigenti di Europa e Stati uniti non smettono di tentennare e non si assumono le dovute responsabilità, ci sveglieremo una mattina e… «troveremo l’invasor,» come dice una celebre canzone, più attuale che mai.
Mario ha detto:
Salve dott. Lovisolo. Ho letto, anzi ascoltato, con molto interesse la sua chiara analisi. Devo dire che non mi convince l’idea di una marcia inesorabile di Putin verso Lisbona. La Russia, io credo abbia un forte bisogno di avere ottime relazioni con l’Europa, sul piano economico, politico, culturale. È essenziale per il suo sviluppo da paese emergente, ancorché potenza militare, a paese compiutamente moderno. Del resto, la storia recente degli ultimi sessant’anni ha registrato questa collaborazione con reciproco vantaggio, anche con il vecchio regime a Mosca. Ma la conquista militare, l’occupazione di territori e popolazioni che le sarebbero fatalmente ostili, non ne vedo il senso.
La saluto con rispetto e le auguro buone vacanze
Luca Lovisolo ha detto:
Non dubito che la Russia abbia interesse a ottime relazioni con l’Europa. Il problema è che le vuole alle sue condizioni, e quali siano emerge senz’ombra di dubbio dalle dottrine politiche sviluppate a Mosca e, ancor più, dai fatti che ognuno può vedere. Cordiali saluti. LL
Gianpaolo ha detto:
Purtroppo è così, le devo dare ragione. Come consuetudine,analisi impeccabile, lucida e chiara. Vorrei avere governanti del calibro di Churchill, De Gaulle o Roosevelt., che dicano in maniera chiara qual è la posta in gioco. Se non agiamo come fece a suo tempo Winston Churchill, ahimè ci ritroveremo una nuova guerra nel nostro continente dopo ottant’anni…
Buone vacanze.
Luca Lovisolo ha detto:
Grazie per il commento, buona estate anche a Lei.