
Ucraina e USA: l’accordo sulle terre rare è firmato, dopo lunghi negoziati. I dettagli non sono noti, ma dagli elementi resi pubblici emerge che l’intesa è più equilibrata di quella che si prospettava. L’accordo ha ricadute che devono rendere attenti anche noi europei. L’attesa di investimenti sull’industria mineraria ucraina. I rischi connessi al controllo privato straniero su patrimonio strategico pubblico.
Ucraina e Stati uniti hanno concluso l’accordo cosiddetto «delle terre rare.» Gli USA hanno rinunciato alle richieste più assurde, in particolare alla pretesa di coprire con l’accordo anche forniture militari già prestate (in base, poi, a un calcolo assai grossolano), oltre che quelle future. Gli ucraini mostrano di essere stati buoni negoziatori: non sono caduti nella trappola della renna, della quale ho parlato in una >precedente analisi, a proposito di questo negoziato. Non si sono lasciati attrarre nella spirale delle concessioni infinite, davanti allo spauracchio della cessazione del supporto militare statunitense.
Da parte loro, gli USA hanno capito che la minaccia di sospendere il supporto militare è un’arma negoziale spuntata. Ciò si deve anche alla coesione mostrata dall’Europa a sostegno dell’Ucraina, in particolare dopo il vergognoso trattamento inflitto da Trump a Zelensky alla Casa Bianca a febbraio. Ne deriva, sul piano politico, che abbandonare l’Ucraina isolerebbe più gli USA che l’Ucraina stessa. Sul piano militare, significa che l’aiuto degli Stati uniti è sì insostituibile in alcune parti, ma la sua cessazione non causerebbe la sconfitta automatica dell’Ucraina.
Legga anche: >Scontro Zelensky-Trump: analisi e conseguenze |
Ucraina e USA: accordo sulle terre rare, il merito dell’Europa (non tutta)
In ciò bisogna riconoscere il merito di Emmanuel Macron e Keir Starmer. La posizione ambigua o filorussa di un arco di Paesi da Roma a Bratislava, passando per Budapest, rischia di condannare queste capitali all’irrilevanza. Sembra non si accorgano che la guerra sta ritracciando scenari destinati a mutare l’assetto del nostro Continente. La Germania resta defilata, in attesa del nuovo governo. Alcuni giorni fa, però, il cancelliere designato, Friedrich Merz, durante il discorso per l’approvazione del contratto di coalizione, ha mostrato di aver capito che la questione ucraina è vitale per la sicurezza dell’intera Europa. Ha detto a chiare parole quale sarà il posto della Germania, in questo giro di giostra.
Nel contesto dell’accordo appena firmato negli USA non si fa alcun riferimento a garanzie di sicurezza per l’Ucraina o a un cessate il fuoco nella guerra causata dalla Russia. Non è questo l’oggetto dell’accordo. D’altra parte, la relazione tra l’accordo sulle terre rare e una tregua nei combattimenti, se mai ci sarà, non è mai stata chiara.
L’attività estrattiva è costitutiva di un’identità sociale, oltre che di un valore economico. Il macchinario delle miniere ucraine è fermo all’epoca sovietica, le potenzialità restano inespresse. Nel Donbas, la mancanza di investimenti nel settore fu una delle cause di scontento e frattura sociale, nell’Ucraina appena uscita dall’Unione sovietica – ne parlo anche nel mio libro >Gli imperi non vogliono morire; ne riferisce Kateryna Zarembo nel suo saggio >Il Donbas è Ucraina, tradotto in italiano da Yaryna Grusha per Linkiesta Books. Se gli statunitensi investiranno nelle regioni minerarie ucraine, il contributo andrà alla ricostruzione economica, ma anche al recupero di identità sociale dei territori, pur se, per il momento, gli interventi dovranno limitarsi alle zone non occupate dai russi.
Le incognite dell’accordo: società private e patrimoni di Stato
Sull’accordo grava un’incognita. Quando società private straniere, vieppiù se motivate dalla politica, mettono mano su patrimoni strategici di uno Stato, nascono relazioni pericolose nelle quali non sempre i governi restano pienamente sovrani sulle opere interessate. In un quadro diverso, si vedono le conseguenze degli investimenti della Cina in Africa: depauperano Stati già deboli e si trasformano in arma d’influenza politica.
Legga anche: >L’accordo USA-Ucraina per il cessate il fuoco |
La Cina non è paragonabile agli Stati uniti, ma l’amministrazione Trump si discosta sempre meno dalle pratiche dei regimi autoritari, nelle relazioni economiche internazionali. Proposte squinternate, come trasformare la Striscia di Gaza in una località turistica o assumere il controllo della centrale nucleare di Zaporižžja, denotano negli uomini di Trump una confusione non rassicurante tra proprietà privata, sovranità politica e istituti del diritto internazionale.
Il significato per noi dell’accordo tra USA e Ucraina sulle terre rare
L’altro ammonimento riguarda noi europei. Il fatto che gli Stati uniti abbiano preteso questo accordo, in cambio della prosecuzione dell’aiuto militare all’Ucraina, non è, per sé, privo di logica. E’, però, un’ulteriore prova del nuovo orientamento degli Stati uniti sullo scenario internazionale. Il supporto militare e politico agli alleati non è più visto come investimento, ma come contratto sinallagmatico: do ut des, ti aiuto se mi dai qualcosa in cambio.
La grandezza degli Stati uniti dopo la Seconda guerra mondiale si è costruita sull’intuizione che il sostegno agli alleati, fuori da logiche mercantili, si ripaga con un ritorno di influenza e reputazione nelle relazioni internazionali. Così è stato, finora. Con la seconda amministrazione Trump, questa lungimiranza è perduta del tutto. I segnali, però, si leggevano da più di un decennio, nella politica estera statunitense, anche in amministrazioni di segno opposto.
Il nuovo corso degli Stati uniti non dipende solo dall’originalità di Donald Trump, ma da un mutamento di visuale destinato a durare. E’ bene che in Europa si agisca subito, soprattutto in alcuni Paesi che sembrano vivere ancora nel regno del Bengodi, per garantire una capacità di difesa e sicurezza sempre meno dipendente dalle derive di Washington.
Stefano Leopardi says:
«…Soprattutto in alcuni Paesi che sembrano vivere ancora nel regno del Bengodi…» A tal riguardo ho una mia teoria-ipotesi. Non so quanto comprovata-comprovabile. Le chiedo gentilmente cosa ne pensa.
Ovvero che i governanti (o almeno certe forze politiche) stiano pensando di poter prolungare quel bengodi, semplicemente cambiando cavallo. Cioè cambiando protettore. Anziché combattere la Russia, assecondarla al fine di entrare nella sua sfera di influenza. In sostanza, a dispetto dei loro proclami spesso sovranisti, vorrebbero rinunciare alla conquista di una reale autonomia strategica. Autonomia che potrebbe essere conquistata solo come Ue unita davvero. Nessuno dei singoli Paesi (nemmeno la Germania al massimo del suo splendore economico ed industriale) avrebbe la capacità di avere autonomia strategica. O se l’avesse, la avrebbe ad un costo insostenibile. Costo che invece a livello unitario Ue sarebbe molto più sostenibile per tutti i singoli.
Qui sta però l’inghippo. Come Lei molte volte ha scritto, ma soprattutto come ha scritto Dugin, la sfera di influenza russa sarebbe molto molto diversa da quella che era la sfera USA. Per N motivi. E qui la domanda: agiscono così in buona o cattiva fede? Pensano di poterne avere comunque un tornaconto? Ovvero un benessere migliore, ovviamente non per tutti (come era prima) ma almeno per alcuni. Alcuni non scelti dalla concorrenza e dal merito. Ma dagli «amici tra gli amici.» Aspirano cioè niente più, niente meno, al «modello Bielorussia» per il loro Paese (sia esso Italia, Ungheria, Slovacchia, ecc. ecc.).
Sarebbe un piano abbastanza criminale verso la collettività, ma del tutto ragionevole per coloro i quali facessero parte di tali amicizie che contano. Problema: cosa li rende così sicuri di potersi fidare della Russia? Una volta intrapresa quella strada, non si torna più indietro. O meglio: c’è poi solo un modo (non piacevole) per tornare indietro se si dovesse cambiare idea.
Secondo Lei il supporto di cui godono (ovvero i loro elettori e sostenitori) sono consci di tale disegno sottostante e pensano di poterne trarre beneficio personale? Oppure seguono ciecamente? Anche perché in un modello oligarchico tipo Bielorussia ci sarebbe spazio solo per il benessere di pochi. O forse molto pochi. Sicuramente non per tutti, non per una base ampia come lo è qui ed oggi.
Cordiali saluti.
E’ sempre un piacere leggerla.
Luca Lovisolo says:
Egregio Leopardi,
Vedo che dai politici Lei si aspetta un ragionare in punta di fioretto. Non si faccia illusioni:
– In base alle mie osservazioni, i «sovranisti» che vedo agire in tutta Europa puntano a riportare quote di sovranità nei loro Paesi perché non sono intellettualmente in grado di confrontarsi con realtà di culture diverse. La loro capacità si ferma alle zuffe nazionali, spesso persino regionali o provinciali. Sanno di essere esclusi da una realtà che richiede un confronto continuo fra Stati, culture, lingue diverse e, soprattutto, come nel caso dell’Ucraina, l’assunzione di responsabilità pesanti ma necessarie.
– Gli elettori che sostengono il corso sovranista sono anch’essi simili tra loro, in tutta Europa e persino negli USA. Non si sentono in grado di affrontare un mondo che richiede un confronto globale, perciò ripiegano sulla dimensione nazionale, sperando di conquistarsi quote di potere con le simpatie di partito. Le dittature funzionano tutte così, da Hitler e Mussolini in giù: per questo, al loro tempo furono molto medio odiate di quanto oggi la storiografia ci faccia credere. Vennero detestate e capovolte nel momento in cui trascinarono i popoli in guerra e in miseria, ma ormai era tardi per lamentarsi.
Aggiungo una chiosa: Il successo del sovranismo si costruisce su problemi reali che altre forze hanno dolosamente trascurato, per ragioni del tutto simili a quelle che indica Lei, solo collocate nel campo opposto. Si sono lasciati incancrenire problemi causati dalle migrazioni incontrollate, dalla trascuratezza verso disagi sociali ed economici, da una verbosa protezione delle minoranze trasformatasi a sua volta in abuso. Queste derive, oggi, spingono gli elettori a votare il primo che passa, purché sbraiti più forte, sperando – invano – che rimetta le cose a posto. Che tutto ciò guidi verso regimi che non avrebbero nulla da invidiare né a Hitler né a Stalin alcuni non lo recepiscono neppure, altri se lo augurano addirittura.
Cordiali saluti. LL