La nausea è il senso prevalente che si prova, dinanzi all’ennesimo incontro fra Volodymyr Zelensky e Donald Trump, nella vana mediazione sulla guerra in Ucraina. Dopo il successo conseguito a Gaza, almeno per il momento, vi sono molti motivi per i quali l’amministrazione USA non riesce a districarsi dal ginepraio ucraino.
Le competenze. Sul Medioriente Trump è guidato da persone più consapevoli. Suo genero Jared Kushner, ebreo, non è certo un luminare, ma tiene i contatti fra diversi soggetti bene informati e influisce sul suo augusto suocero. Tutto ciò non accade per l’Ucraina: tra gli uomini di Trump non si vede nessuno che comprenda a fondo l’Europa e in particolare l’Est. I tempi di Brzeziński sono finiti.
Le intenzioni di Putin. Il Financial Times ha pubblicato testimonianze secondo cui ad agosto, in Alaska, Trump ha promesso a Putin la revoca delle sanzioni e il riconoscimento di Crimea e Donbas come territori russi, da parte degli USA, purché Putin cessi i combattimenti e dia così al presidente USA il destro per presentarsi come autore della pace.
Putin ha rifiutato e riaffermato la sua tesi secondo cui russi e ucraini sono un solo popolo; perciò, la Russia ha diritto all’intera Ucraina. Si può credere o no a questa ricostruzione, ma, per chi conosce il retroterra dottrinale di questa guerra, è più che verosimile. Né Hamas né Putin smetteranno di combattere, salvo essere fermati con una forza militare contraria e soverchiante, perché entrambi credono di avere diritto a territori non loro: Hamas all’intera Palestina, cacciandone Israele; Putin ai territori dell’ex impero e oltre, sopprimendo gli Stati postsovietici. Con Hamas, Trump non ha interesse a fraternizzare; con Putin, sì, più di quanto ne abbia con l’Europa.
Legga anche: >L’uso della parola «Stato» |
Egocentrismo di Trump. Il presidente USA non ha alcun diritto dispositivo sui territori dell’Ucraina, ma traccheggia e promette a Putin territori ucraini. Dimentica, intanto, che Putin, come oggi pretende regioni ucraine perché appartenute all’Impero russo, potrebbe esigere domani dagli Stati uniti l’Alaska, che fu parte anch’essa dell’impero zarista tra fine Settecento e metà Ottocento.
La questione dei missili Tomahawk. È rivelatrice: Putin teme questi missili e ha alzato il telefono con Trump nei giorni scorsi appena è emersa l’ipotesi che l’Ucraina potesse riceverli. L’Europa potrebbe fornire all’Ucraina i Taurus tedeschi e dare così un analogo segnale politico, ma Berlino non agisce. I governi europei si reggono su alleanze di fortuna che non decidono nulla, incalzate dall’avanzata delle destre e sinistre estreme, che replicano rispettivamente i vaniloqui di Putin e gli slogan di Hamas nei parlamenti d’Europa.
Con gli sconfinamenti di droni sui cieli europei e le diuturne esplorazioni nell’area NATO, la Russia ha capito che l’Europa è scoperta, rispetto alla guerra ibrida e all’ingerenza politica, forse più di quanto Putin stesso osasse immaginare.
L’incontro fra Trump e il presidente russo a Budapest, se avrà luogo, sarà l’ennesima presa per il naso da parte di Putin ai danni dell’Ucraina, degli Stati uniti e dell’Europa.