Analisi brevi

«Flottiglia:» ultime considerazioni, oltre il diritto

Il libro di Luca Lovisolo sull’Ucraina: viaggi e approfondimenti

Chiudo le considerazioni sul caso Flottiglia dopo averne pubblicato >l’analisi dal punto di vista del diritto internazionale. Non risponderò a commenti che la contestino citando elementi fattuali non verificabili e fonti di diritto incomplete o non applicabili. Il caso, d’altra parte, è piuttosto semplice, contrariamente alla «complessità» citata come pretesto per coprire ogni arbitrio: non fosse per il fracasso che ha suscitato, non avrebbe meritato l’attenzione.

Taluni hanno lodato l’intento umanitario della Flottiglia: dovranno spiegare come avrebbe potuto recare sollievo a Gaza, poiché non trasportava nulla. Non era difficile sospettarlo: i modesti scafi non potevano imbarcare molto altro se non i viveri e il bagaglio dei partecipanti. Altri ne hanno evidenziato il significato politico: ebbene, di tale significato non si vede traccia, sullo scenario del conflitto, a meno che non si confonda la politica con la mediaticità.

Vi sono considerazioni che meritano più attenzione. La Flottiglia era formata da alcune centinaia di persone imbarcate su natanti da turismo salpati verso una zona di guerra, con l’intento di forzare un blocco navale imposto con mezzi militari. Qualcuno ha misurato l’enormità di tale azione?

Legga anche: >«Flottiglia:» i fatti e il diritto internazionale

Questo interrogativo sta a monte di aspetti politici o umanitari: concerne la diligentia patris familiae, il buon senso della persona responsabile, per il diritto romano, nella quale si presume la capacità di condursi con prudenza, scansando i pericoli per sé e per i propri vicini. La vicenda della Flottiglia ricorda quelle che coinvolgono turisti, ma anche giornalisti e operatori umanitari che si inoltrano in zone pericolose ritenendosi esenti da rischi, in nome di non si sa quale estraneità al reale; salvo, poi, trasformare la loro imprudenza in caso mediatico e, per qualcuno, in motore di carriera.

I freni perduti della coscienza

Ciascuno dovrebbe avvertire un freno inibitore, verso queste condotte: un freno imposto dalla consapevolezza che le libertà di cui godiamo in Occidente, conquistate con secoli di lotta contro l’assolutismo dei monarchi e della Chiesa, sono un valore universale in astratto, ma in concreto non sono date ovunque. In Russia puoi finire in carcere e restarci fino al prossimo scambio di prigionieri; in Iran ci puoi crepare; in Africa, Asia, America Latina non puoi contare ovunque sul rispetto della procedura penale. Quando ti trovi davanti a un giudice in qualche repubblica delle banane, capisci la differenza tra uno Stato di diritto e l’arbitrio dell’inquisizione.

Dietro chi non avverte l’inibizione di questo freno e si avventura su scenari di pericolo, sembra esserci un vuoto che non si riempie con intenti politici o umanitari, perché questi sono atti sociali, mentre quel vuoto è personale. Nasce dall’intima, errata convinzione che il nostro modello sociale, che ci tutela dall’arbitrio del prepotente, sia una condizione naturale e ubique, anche presso chi non ha mai lottato, come noi, per costruirselo.

Ecco perché coloro che s’imbarcano in improbabili avventure fuori porta sono spesso i medesimi che aggrediscono i valori fondanti dell’Occidente: ne ignorano il prezzo e il privilegio di possederli, salvo invocarli come diritti acquisiti, poi, nel momento del bisogno. Togli l’habeas corpus, togli Cesare Beccaria, rieccoti ai processi sommari e agli impiccati sui bracci delle gru.

Milioni di persone in buona fede, media e politici hanno sostenuto una «flottiglia» vuota: difficile trovare un’immagine più fedele del nostro tempo.

Accordo Trump-Netanyahu: pace o illusioni?

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Uno sarebbe abbastanza, eppure nell’accordo di pace di Trump per la Palestina ci sono almeno due elefanti nel negozio di porcellane: Hamas e l’Iran. Il documento in 20 punti, negoziato con il benestare di altri soggetti regionali tra gli Stati uniti e Israele, si basa in essenza sulla disponibilità di Hamas a rinunciare alla violenza e a ritirarsi dal teatro palestinese anche sul piano politico.

Hamas sta correndo sulla via del successo: benché indebolito nella Striscia di Gaza, ha consolidato il suo prestigio politico sulla scena globale. L’attacco contro Israele del 7 ottobre 2023 gli ha fruttato un credito politico da parte di Stati che in precedenza esitavano a riconoscere uno «Stato palestinese» – perché ciò che i governi occidentali hanno riconosciuto nei giorni scorsi è di fatto la Palestina di Hamas, che piaccia loro ammetterlo o no.

Hamas gode del sostegno di ampi settori dell’intellighenzia e dell’opinione pubblica occidentali; queste affermano di dimostrare per solidarietà con la popolazione civile nella Striscia di Gaza, ma in realtà condividono gli slogan e la visione di Hamas sullo status della Palestina. Perché Hamas dovrebbe gettare la spugna proprio adesso?

Trascuriamo la questione del governo di Gaza dopo l’entrata in vigore del piano di pace e, per prudenza, guardiamo allo stato attuale delle cose. Il piano è stato negoziato tra Israele e gli Stati Uniti. I due Paesi sono in disaccordo su vari aspetti, ma di principio si trovano sullo stesso lato del conflitto.

Legga anche: >Il Regno unito riconosce lo Stato di Palestina

L’interesse comune regionale (o quasi)

Da un punto di vista regionale, è interesse comune che Hamas venga tacitato. L’Iran non condivide tale interesse e continua a garantire il proprio sostegno a questo e ad altri gruppi terroristici. La resa di Hamas dipende in particolare da due presupposti: a) Israele, con la sua offensiva terrestre, ha indebolito Hamas al punto da costringerlo a rinunciare a future azioni? b) Gli attacchi di Israele e degli Stati Uniti contro l’Iran hanno intimidito il regime dei mullah al punto che Teheran ora voglia o deva astenersi dal sostenere i gruppi terroristici della regione? Non irrilevante è anche la posizione del Qatar, dinanzi al quale Netanyahu ha dovuto scusarsi per gli attacchi aerei di inizio settembre. Se Hamas non cede, la guerra continua, dice il piano in 20 punti, cioè non cambia nulla.

Pare che durante i negoziati si sia dato per scontato che Hamas si atterrà a un piano che non ha contribuito a scrivere e che lo costringe a rinunciare alla sua lotta per una «Palestina libera dal fiume al mare» proprio in un momento di ascesa politica.

Se l’atteggiamento dei due elefanti nel negozio di porcellane non cambierà, ogni progetto di ricostruzione e riorganizzazione politica dei territori arabo-palestinesi resterà irrealizzabile, perché la guerra, come unico mezzo in grado sconfiggere Hamas, rimarrà senza alternative praticabili.

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Il mio corso «Capire l'attualità internazionale» accompagna chi desidera comprendere meglio i fatti del mondo. Con il corso «Il diritto per tradurre» comunico le competenze giuridiche necessarie per tradurre testi legali da o verso la lingua italiana.

    Luca Lovisolo

    Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Con le mie analisi e i miei corsi accompagno a comprendere l'attualità globale chi vive e lavora in contesti internazionali.

    Tengo corsi di traduzione giuridica rivolti a chi traduce, da o verso la lingua italiana, i testi legali utilizzati nelle relazioni internazionali fra persone, imprese e organi di giustizia.

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