Il vertice di numerosi capi di Stato e di governo in Cina, nel quadro dell’Organizzazione per la cooperazione di Shangai, con annessa parata militare a Pechino, è l’ultimo anello in ordine di tempo di una catena che ne comprende almeno tre, se ci si limita ai fatti più recenti.
La prima tappa è stata il vertice del gruppo BRICS del 2024 a Kazan, in Russia. Lì si è consolidata la nuova veste del gruppo, composto in origine da cinque, ora da dieci e in prospettiva da alcune decine di Stati non occidentali. Il BRICS vuole rappresentare gli interessi del cosiddetto «sud del mondo:» in presenza del Segretario generale ONU, Guterres, a Kazan i BRICS si sono pronunciati per un nuovo ordine mondiale dal dichiarato orientamento antioccidentale.
La seconda tappa è stata la parata militare del 9 maggio 2025 a Mosca: Putin vi ha invitato quasi tutti i dirigenti degli Stati BRICS. Nel breve discorso che ha tenuto agli ospiti in privato, al Cremlino, il tema antioccidentale è tornato protagonista, senza sorpresa.
La terza e certo non ultima tappa del cammino è l’incontro in Cina di questi giorni. Non sta accadendo nulla di nuovo: l’alleanza collettiva di quello che un tempo si chiamava «secondo mondo» è un fondamento della geopolitica russa sin dagli anni Novanta. Nelle lezioni tenute all’Università di Mosca nel 2014, il politologo russo Aleksandr Dugin vedeva già nell’unione degli arsenali nucleari di Russia e Cina un necessario strumento di dissuasione per «cancellare il liberalismo.»
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Durante l’incontro in Cina, Putin ha riaffermato che la Russia non avrebbe «alcuna intenzione di aggredire l’Europa.» Tralasciando la sinistra eco dell’analoga dichiarazione pronunciata nel 1961 da Walter Ulbricht: «Nessuno ha intenzione di costruire un muro [a Berlino]» – dichiarazione smentita dai fatti meno di due mesi dopo – Putin potrebbe aver ragione: «l’Europa che vogliamo noi russi» può restare unita, purché sotto l’ombrello della Russia. Sono le testuali parole che ho sentito con le mie orecchie dallo stesso Dugin nel 2019, durante una sua conferenza a Lugano.
In effetti, la Russia non ha bisogno di aggredire l’Europa, se il Cremlino crea le condizioni affinché questa abbia con Mosca lo stesso rapporto che vi hanno la Bielorussia e gli Stati ex sovietici dell’Asia centrale: sono formalmente indipendenti, ma in essi non si muove foglia senza volere di Mosca.
La visione del mondo elaborata a Mosca negli anni Novanta, prosecuzione della politica estera dell’Unione sovietica, ora coltivata dalla Russia di Putin, è diventata la linea guida delle organizzazioni internazionali che si fregiano, come unico tratto identitario, di essere antioccidentali. Questa identità incerta sembra una debolezza: può esserlo, per certi aspetti. Eppure, il movimento «sud del mondo» nasce da un’ideologia ragionata che l’Occidente ha ignorato, perciò ne vede solo le manifestazioni superficiali.
Questa è la vera forza degli antioccidentali, nonostante le contraddizioni di una metà del mondo che di democrazia, libertà e società aperta non vuol sentir parlare.
