Rispondo a chi mi chiede come giudicare l’intervista televisiva al Ministro degli esteri russo Sergej Lavrov, diffusa ieri in Italia. La risposta vale anche per un analogo intervento di Vladimir Solov’ëv, giornalista attivo nel sostegno al regime di Putin. In Germania la legge penale ha permesso di aprire indagini contro i cittadini che fanno propaganda a favore della guerra. Perché in Italia non succede?
Le affermazioni di Sergej Lavrov e Vladimir Solov’ëv ripetono la propaganda del regime russo, che sostiene l’intervento armato per la «liberazione dell’Ucraina dal nazismo,» nega di condurre una guerra e afferma di non colpire i civili. Tali affermazioni sono false e pronunciate con l’intento di giustificare una guerra di aggressione. Lavrov, Solov’ëv e altri riportano questi argomenti ogni giorno sui media russi, per costruire il consenso popolare al regime.
La qualificazione professionale di politici e operatori dei media attribuisce loro una responsabilità diversa, rispetto ad altri cittadini. Il pubblico li ascolta con un maggiore affidamento, perché rivestono questi ruoli. Un politico è tenuto ad agire nell’interesse esclusivo del suo Paese: il ministro Lavrov, sostenendo la guerra in Ucraina, agisce anche contro l’interesse della Russia; un operatore dei media è tenuto a obblighi di correttezza, a maggior ragione se giornalista: ciò non vale solo per il russo Solov’ëv, ma anche per l’intervistatore italiano e per i dirigenti della rete che diffonde l’intervista. Il rispetto di questi obblighi prevale sul diritto alla libera espressione.
Diffondere le affermazioni del ministro russo e altre simili è pensabile solo se l’intervistatore ha la competenza e la forza di opporre un contraddittorio efficace. L’intervistatore assume una posizione di garanzia verso il pubblico: la capacità di autodifesa degli ascoltatori è limitata, di fronte alla difficoltà di discernere i fatti su uno scenario di guerra; inoltre, notizie false ed esagerate possono rafforzare le convinzioni di soggetti estremisti o squilibrati che abbracciano tesi violente, per narcisismo e ignoranza; per tacere delle conseguenze sulle scelte elettorali e sui meccanismi democratici.
In due mesi di guerra, in Germania l’articolo 140 comma 2 del Codice penale ha permesso di aprire più di 140 indagini contro cittadini che hanno fatto uso propagandistico della lettera «Z» o sostenuto in altro modo la guerra. In Italia, l’articolo 414 comma 3 del Codice penale presenta una fattispecie simile; un’aggravante specifica prevede una pena aumentata per chi fa apologia di un crimine contro l’umanità.
Sarebbe tempo di porre la questione di perseguire non solo i propagandisti che divulgano dichiarazioni false e a manifesto sostegno di una guerra d’aggressione, ma anche gli operatori dei media che nulla fanno per impedirle, violando i loro obblighi di garanzia, a monte di ogni valutazione sul diritto di libera espressione.
Se la base legale italiana fosse insufficiente, sembra l’ora che il legislatore pensi di aggiornarla, traendo insegnamento dalle circostanze.
Iryna says:
È verissimo, secondo me, quello che Lei ha scritto! Fare un’intervista ad un rappresentate dello Stato aggressore è come se condividere le sue azioni.