Riprodurre i loghi, timbri e marchi che si trovano su un documento da tradurre: è lecito? Molti traduttori ricreano la grafica dei documenti originali. Può includere i sigilli di enti pubblici, il tabellionato dei notai o i marchi di imprese private. Le buone intenzioni si scontrano con le norme che vietano la riproduzione di tali simboli. Ecco perché è una pratica da evitare.
«Avrei bisogno di un consiglio su una traduzione da asseverare. Nella traduzione è presente un logo. Posso includere il logo nella traduzione così com’è (con la grafica fornita dal cliente) o devo eliminare l’immagine e inserire una descrizione testuale?»
La risposta: come procedere con la grafica dei documenti
Il quesito è comparso su un gruppo per traduttori, all’interno di una rete di socializzazione. Sulla materia sembra esservi poca chiarezza, considerate le risposte molto divergenti giunte alla richiedente. Con l’intento di consegnare un documento tradotto che si presenti simile a quello in lingua d’origine, molti traduttori hanno l’abitudine di riprodurre loghi e timbri di enti pubblici, oppure – come in questo caso – di replicare marchi di imprese private. Vediamo qual è la condotta adeguata.
Chiunque contraffà o fa uso del sigillo di un ente pubblico è punito con le pene previste dall’art. >468 CP IT – Contraffazione di altri pubblici sigilli o strumenti destinati a pubblica autenticazione o certificazione e uso di tali sigilli e strumenti contraffatti. Per contraffazione (diversa dall’alterazione) s’intende imitazione o riproduzione illecita. I sigilli sono simboli contenenti emblemi, dello Stato o di altri enti, che indicano la provenienza di un documento, oppure identificano cose o il loro status giuridico (ad esempio, il sigillo apposto su merci sdoganate).
La ratio della norma è tutelare la fede pubblica in tali simboli. Per questo motivo, oltre che per una misura di buon senso, timbri e altri simboli di enti o funzionari dello Stato che si trovano sui documenti da tradurre non devono essere riprodotti, ma descritti nella traduzione. Una formulazione corretta di come si debba procedere si trova, per citarne una, sul sito del >Tribunale di Vicenza.
Riprodurre loghi e timbri: può essere un falso?
Non si può escludere la contestazione di un falso materiale (>art. 476 e seguenti CP IT). In Italia è un reato proprio, addebitabile solo a soggetti provvisti di una specifica qualificazione soggettiva, in questo caso al pubblico ufficiale. L’articolo >482 CP IT estende però la punibilità di questa condotta anche ai privati, seppur con pena ridotta. L’ipotesi di falso è probabile in Svizzera, con i reati comuni di Falsità in atti (>art. 251 CP CH) e Falsità in documenti (>art. 252 CP CH). Andrebbe accertata però l’esistenza dell’elemento soggettivo; la norma svizzera lo limita al dolo specifico di procacciarsi indebiti vantaggi e voler ingannare altrui.
Senza casi concreti è possibile solo fare ipotesi. Di principio, però, è bene evitare di riprodurre loghi, timbri e sigilli pubblici, anche se lo si fa senza l’intento di trarre in inganno altri o ricavare ingiusto vantaggio (l’art. 468 CP IT sopra citato non è circoscritto a un dolo specifico, punisce la condotta per se stessa).
E’ vero che i tribunali, in Italia, possono avere atteggiamenti diversi, dipendenti dalla singola sede. Ciò non deve far dimenticare, però, le basi legali della questione. Molti traduttori riproducono marchi e sigilli nei documenti tradotti, senza subire conseguenze. Non bisogna pensare, per questo, che la condotta sia lecita e priva di rischi.
Nella pratica, è difficile che il cancelliere del tribunale si dia pena di eccepire, se si trova in presenza di una traduzione da asseverare in cui vede la riproduzione dei simboli di enti o altri sigilli. Ciò che può succedere, piuttosto, è che il documento venga contestato successivamente, da qualche soggetto che ha intenti dilatori o altro interesse a causare problemi, nei procedimenti giudiziari o amministrativi in cui il documento tradotto viene utilizzato.
Gli effetti nella pratica
Esempio: in un procedimento, la controparte decide di eccepire la validità di un documento tradotto. A suo dire, la traduzione contiene marchi contraffatti dal traduttore, e la taccia di irregolarità. Ciò causa ostacoli procedurali e perditempo.
Altra spiacevole eventualità è che il cliente utilizzi e presenti il documento tradotto come se fosse l’originale. Può facilmente ingannare i riceventi, grazie all’impaginazione ricreata dal traduttore. A essere sanzionato per l’uso fraudolento sarà il cliente, ma l’autore della contraffazione è il traduttore. Anche quest’ultimo non resterà senza conseguenze.
Vi è infine una ragione pratica, per la quale è bene non riprodurre loghi, timbri e grafica di un atto. La traduzione deve restare ben distinta, anche visivamente, dal documento nella lingua di partenza. Ciò deve prevenire ogni uso illecito dell’atto stesso o una possibile confusione con l’originale.
Nel caso degli atti pubblici, non rilevano le questioni di diritto d’autore. Anche i marchi di aziende private non devono essere riprodotti – non però per la disciplina del diritto d’autore, ma per quella della protezione dei marchi e della proprietà industriale. Vero che la riproduzione del marchio, nel caso delle traduzioni, non avviene con l’intento di ricavare ingiusto profitto per il traduttore. Ricreare il marchio o la carta intestata di un’impresa, in ogni caso, richiede il consenso del legittimo proprietario.
Se riproduce la grafica di un documento che traduce, il traduttore agisce di solito in buona fede: desidera offrire al cliente un documento tradotto quanto più simile a quello in lingua originale, per facilitarne la lettura e il riconoscimento.
Particolarmente nel caso di atti pubblici, asseverati o non, ma anche per i marchi delle aziende private, non bisogna però dimenticare le norme che regolano questa materia e tutelano la fede pubblica. Questa è fondata sul potere di riconoscibilità di tali simboli e sulla loro esclusività d’uso.