Non è nuova, la polemica sorta intorno a un direttore d’orchestra russo invitato in Italia. Stabilire quanto sia opportuna la presenza di opere e artisti russi in Occidente oggi non è scontato.
Decenni addietro i grandi artisti venivano citati, spesso, senza metterne in risalto la nazionalità. Sull’Enciclopedia Treccani del 1933, Johann Wolfgang von Goethe è riportato non come poeta tedesco ma come poeta universale. Altre figure analoghe erano definite poeta o compositore senza insistere sulla nazionalità. Con ciò si riconosceva alla loro opera un valore capace di superare i confini della loro cultura nativa.
Poi qualcosa è cambiato. Oggi, persino i massimi creatori dell’arte universale sono citati precisando la loro provenienza. Anche la Treccani, nella sua edizione recente, riporta Goethe come poeta tedesco e Shakespeare come poeta inglese. La ragione è la sopravvenuta incapacità di dare un giudizio di valore sull’arte: per decidere se l’opera di un artista abbia rilevanza universale occorre la competenza per distinguerla da quella di altri, pur importanti, ma non di eguale portata. Questa presa di posizione oggi viene rifiutata come discriminatoria.
I criteri per distinguere un’opera d’arte universale da una produzione dignitosa ma transeunte esistono, anche se possono non essere oggettivi come quelli che useremmo per confrontare due automobili. Ci rifiutiamo di applicarli, in nome di un «tutto può essere arte» diventato la cifra del disimpegno intellettuale del nostro tempo.
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Dovrebbe essere chiaro – ma non lo è – che le opere di Čajkovskij, Rimskij-Korsakov, Prokof’ev sono cosa diversa dall’operato di taluni esecutori russi contemporanei: i primi sono artisti universali, elevati dalla loro grandezza oltre i confini della loro terra; i secondi sono piccoli uomini e donne che si fanno fotografare con fierezza a fianco dei capi e degli scherani del regime brutale a cui si sono accodati. Conta poco che siano bravi: essere brillanti esecutori musicali non dà diritto né all’intelligenza né al coraggio. Che il loro operato artistico, per quanto eccellente, si elevi a dignità universale, poi, resta da dimostrare.
Vero che vi sono opere del passato russo che recano tutti i segni dell’imperialismo zarista e sovietico, ma è vero anche il contrario: chi dimentica le umiliazioni inferte dal regime a Šostakovič dopo la rappresentazione di Lady Macbeth al Bol’šoj? Non è possibile studiare la storia dell’orchestrazione ignorando il contributo dei massimi compositori russi. L’universalità della loro opera ci permette anzi di conoscere le disgrazie dei regimi nei quali vissero.
Diverso è il caso di artisti di oggi che si asserviscono a regimi violenti e tuttora operanti. Per distinguere gli artisti universali dai cantori delle dittature bisogna essere capaci di dare un giudizio di valore e agire in conseguenza: in una parola, di assumersi una responsabilità. Ma si sa, costa fatica e non porta voti.
