È utile cogliere ancora uno spunto dalla vicenda dell’emissione televisiva italiana nella quale un politico ha messo in luce le argomentazioni fallaci di un ospite che sosteneva tesi filorusse. Non riporto nomi, in questi casi: lo scopo è riconoscere i metodi applicati dalla propaganda, il ruolo dei singoli è episodico.
Il politico che ha smascherato la propaganda in TV non sarà più invitato in trasmissione. Non è impossibile diffondere tesi contrarie alla narrazione russa, in Europa: molti lo fanno, pur con limitazioni. Chi contrasta la propaganda viene aggredito solo quando raggiunge un pubblico più vasto e, soprattutto, si mostra competente al punto da smontare le tesi propagandistiche senza possibilità di appello.
In un contesto d’informazione controllata le voci contrarie sono ammesse, nei limiti appena detti, perché presentano due utilità. La prima: permettono a chi controlla l’informazione di presentarsi come aperto al pluralismo; i contrari non hanno la forza per indebolire la voce dominante, ma la loro esistenza serve a dimostrare che la diversità di pensiero è ammessa.
La seconda utilità: una voce contraria legittima la propaganda. Gran parte dei propagandisti sarebbe esclusa da ogni dibattito sull’Est Europa, in condizioni normali: taluni commettono persino errori elementari di storia e geografia. Il fatto che i loro squinternati interventi vengano contrastati sui media conferisce loro una credibilità pubblica che non avrebbero, se si guardasse alle loro competenze.
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Sulla questione ucraina – sulla Palestina il quadro è ancor peggiore – la situazione italiana è ormai molto simile a quella che vigeva in Russia fino alla ripresa della guerra. Oggi, in Russia, le voci contrarie all’informazione ufficiale sono soppresse; prima, non venivano tacitate: diventavano strumenti per vantare pluralismo. Subivano chiusure solo se raggiungevano una forza tale da ostacolare davvero le tesi di regime. Aleksej Naval’nyj non è stato ucciso per le sue idee, ma perché sapeva diffonderle su una rete in grado di contrastare le narrazioni ufficiali.
Non ancora con la stessa gravità, è ciò a cui si assiste in Italia. Le voci che riportano con fedeltà la situazione ucraina sono meno numerose di quelle della propaganda russa e agiscono in privato o su media di minor portata. Anche i politici che condannano la condotta della Russia sono ormai ridotti a un manipolo ininfluente. Uno di questi, però, ha reagito alla propaganda ed è stato escluso da futuri interventi. Non per le sue idee, ma perché le ha rappresentate in un modo che non si poteva liquidare come esotismo di un singolo, e ha smontato le tesi propagandistiche in modo irrefutabile. L’accaduto, per questo, è un istruttivo caso di scuola.
In un clima di informazione controllata, è questo che scatena l’esclusione dal dibattito – in regimi più estremi, persino l’eliminazione fisica di chi contraddice la linea ufficiale. La sola circolazione di idee contrarie non è sgradita a chi detiene il controllo dell’informazione, perché se ne serve come strumento di autolegittimazione.
