La promessa è compiuta: il Regno unito ha riconosciuto uno Stato arabo di Palestina, la Francia e altri Paesi occidentali seguono.
E’ bene richiamare alla memoria alcuni punti. La nascita di uno Stato è un atto dichiarativo. L’elemento soggettivo della sua fondazione è la volontà di una popolazione di costituirsi come Stato. Nessun altro soggetto – nemmeno le Nazioni unite – ha diritto di pronunciarsi sulla volontà di un popolo che si vuole Stato. Un tale diritto di pronuncia lederebbe la pari dignità tra i popoli e gli Stati.
Se la nascita di un nuovo Stato non pregiudica i diritti di altri già esistenti, la nuova entità statale sorge dal momento della sua autoproclamazione. Il riconoscimento formale da parte di altri non è necessario: se un governo compie atti giuridici con il nuovo Stato, lo riconosce per comportamento concludente.
Nel 1947 la popolazione araba della Palestina aveva pieno diritto di costituirsi come Stato senza ledere diritti altrui. Al termine di una lunga controversia, l’ONU aveva deciso la spartizione territoriale della Palestina tra arabi ed ebrei. Quest’atto, però, produceva solo l’attribuzione dei rispettivi territori: l’ONU, infatti, non ha alcun potere di obbligare chicchessia a fondare uno Stato. Poiché gli arabi pretendevano per sé tutta la Palestina, hanno rifiutato quell’opportunità: accettarla avrebbe significato il riconoscimento implicito della divisione della regione. Da allora negano allo Stato ebraico, costituito legittimamente, il diritto di esistere.
| Legga anche: >L’uso della parola «Stato» |
La situazione, nel frattempo, non è cambiata. Il motto Palestina libera dal fiume al mare significa la cancellazione di Israele, un obiettivo fissato anche nello statuto di Hamas (1988). La già controversa nuova versione di tale statuto (2017), nella quale Hamas afferma di accettare i confini del 1967, è contraddetta dai fatti.
Il processo di pace di Oslo avrebbe dovuto implicare il riconoscimento di Israele da parte dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (OLP),ma non si è mai completato. La distruzione di Israele resta un obiettivo iscritto anche nella Carta nazionale palestinese (1968), all’articolo 22. Anche per questo motivo, la posizione all’apparenza più moderata dell’Autorità nazionale palestinese, controllata da Fatah e di fatto priva di potere, non convince ed è sovrastata dalla più forte presenza di Hamas.
Ne discende che il popolo arabo di Palestina non vuole affatto costituirsi come Stato, finché esiste Israele. Poiché il diritto di Israele di esistere non è in discussione, viene meno il requisito soggettivo per il riconoscimento di uno Stato arabo nella regione. In conseguenza, diventa superflua ogni ulteriore considerazione sugli elementi oggettivi secondo la Convenzione di Montevideo del 1933 (territorio definito, popolazione, governo, relazioni internazionali). Un tale riconoscimento, nella situazione attuale, è comunque privo anche di fondamento oggettivo.
Non pochi giuristi e parlamentari hanno richiamato l’attenzione dei governi occidentali sulla mancanza di basi legali, per il riconoscimento di uno «Stato palestinese.» Sono stati zittiti.
Quello che viene riconosciuto è uno Stato che non vuole sé stesso; un castello in aria che serve a giochi di politica interna occidentale e non avrà alcun effetto sull’andamento della guerra, tanto meno sulle condizioni di vita nella Striscia di Gaza. Piuttosto, rafforza Hamas e i partiti dell’estrema destra israeliana, che si vedono confermati nelle loro opposte pretese.

Alberto says:
Salve Lovisolo,
Vorrei muovere una critica a questo articolo. In particolare, Lei sostiene che nella Carta nazionale palestinese del 1968, all’articolo 22, ci sia l’obiettivo della distruzione di Israele, e che questo sia valido ancora oggi. Per quanto storicamente e giuridicamente l’affermazione sia corretta, e per quanto Lei precisi che i processi di Oslo non si conclusero, comunque il Consiglio Nazionale Palestinese votò per l’abrogazione di tutti gli articoli contrari ai principi di Oslo, quindi la cancellazione di Israele e tutti i riferimenti alla lotta armata, ecc…è vero che la Carta non è mai stata riscritta ufficialmente, ma non sarebbe più corretto dire che oggi è in vigore la Carta del 1968 con molti principi e articoli abrogati e quindi non validi?
La ringrazio e spero che lei possa correggermi o comunque risolvere i miei dubbi.
Luca Lovisolo says:
Lo so, ma il fatto è proprio questo: gli arabi hanno accettato di eliminare l’articolo 22 (e non solo), hanno promesso di farlo, hanno votato per farlo, ma l’articolo non è stato tolto. La vicenda dell’articolo 22 è uno specchio di tutto l’atteggiamento arabo verso il conflitto: promesse, accordi, firme e strette di mano a cui non seguono le azioni concordate. Quante volte si è arrivati a un passo dall’accordo, ma la parte araba se ne è ritirata all’ultimo? Il problema è di fondo: gli arabi non accettano la presenza dello Stato ebraico in Palestina e non intendono rinunciare al progetto di distruggerlo. Lo faranno quando vi saranno costretti con metodi coercitivi sufficienti. Sinché non cambierà questa posizione, che è culturale prima che politica, ogni intesa sarà destinata a restare su un pezzo di carta, posto che la si raggiunga. Cordiali saluti. LL