Il programma di Bruno Vespa e Al Bano sulla Russia, andato in onda su RAI 1, è un’altra brutta pagina scritta dai media italiani sull’attualità internazionale. Non si tratta di essere a favore o contro qualcosa, ma di identificare quale genere di prodotto editoriale la RAI abbia voluto offrire agli ascoltatori, nascosto dietro le luci ingiallite dell’infotainment e carico di un palese messaggio politico.
Nelle intenzioni, la serata andata in onda il 15 novembre 2017 doveva presentare «il vero volto della Russia di oggi,» così dichiarava negli anteprima Bruno Vespa, il noto giornalista italiano che l’ha ideata e condotta insieme al cantante Al Bano: l’appuntamento era ineludibile. Si scopre però che Vespa e Al Bano, nei grandiosi saloni del Cremlino, non parlano dei pittori, degli scultori e delle opere d’arte, ma raccontano le gesta Putin. Poi escono, si fermano in contemplazione dinanzi al busto di Stalin, coperto di fiori, sotto le mura del Cremlino, e passano al Mausoleo di Lenin: tutto senza una neppur minima contestualizzazione storica che ricordi ciò che quei personaggi sono stati in realtà.
Poi, Vespa e Al Bano scendono alla Majakovskaja, la stazione della metropolitana in cui Stalin tenne un celebre discorso il 7 novembre 1941, dopo quello del giorno precedente proprio al Mausoleo di Lenin. Nella Russia di Putin è in atto una vigorosa riabilitazione del mito staliniano, che tende a far dimenticare le atrocità di quel periodo, riconosciute e condannate persino da colui che ne fu successore indiretto, Nikita S. Chruščёv. Unendo questi dati, per chi li conosce, il pellegrinaggio di Bruno Vespa e Al Bano sui luoghi di Stalin prende un aspetto alquanto sinistro.
Poi, arrivano le interviste con imprenditori italiani a Mosca, che lamentano l’effetto delle sanzioni, senza che il giornalista Vespa dica una parola sul perché le sanzioni sono state comminate. Si passa dagli hotel più esclusivi ai ristoranti, sino alle imprese del settore energetico: gli imprenditori del lusso italiano che fanno grandi numeri in Russia sono quelli che si piegavano sotto le tavole degli oligarchi, creati dalla disordinata transizione economica di Michail Gorbačëv e poi ingrassati dalla debolezza di Boris El’cin; raccoglievano le briciole dei guadagni che dopo la caduta del comunismo quegli oligarchi realizzavano con metodi sui quali tacere è bello. Una classe imprenditoriale, di italiani e di locali, che non ha più nulla di russo: insieme ai nuovi ricchi delle metropoli si è gettata su ciò che di peggio l’occidente aveva da offrire ai Paesi dell’est dopo la caduta dei regimi comunisti, dai gipponi alle Jacuzzi. Какая Россия! – Macché Russia!
La Russia ha un retroterra storico e culturale straordinario: il soft power della sua cultura basterebbe a soverchiare il fracasso degli Stati uniti e di molti Paesi occidentali (da questo punto di vista, le uniche che potrebbero farle concorrenza sarebbero l’Italia e la Francia).
Non ha bisogno di mandare militari senza mostrine in Crimea e nel Donbass calpestando i più elementari principi di del diritto internazionale (ecco perché ci sono le sanzioni, per inciso); non ha bisogno di fare discorsi dissennati nelle sedi internazionali, di pagare giornalisti e media prezzolati per rifarsi il trucco, e nemmeno delle urla di Vladimir Žirinovskij. Se vuole recuperare il ruolo di grande potenza, la Russia può farlo senza sparare un colpo e in ambiti ben più nobili dell’asfissiante militarismo attuale. Basta che resti se stessa e porti un po’ di pazienza. Le conseguenze di settant’anni di regime non passano in fretta e, del resto, quello non glielo abbiamo inflitto noi.
Cos’era, allora, lo spettacolo visto su RAI 1 da quasi tre milioni e mezzo di spettatori italiani? Un programma sul belcanto italiano e la sua ricezione in Russia? Al Bano, con la sua voce stentorea, sempre uguale, che si cimenta con arie d’opera delle quali non sembra all’altezza, nelle sale del Teatro Bol’šoj, umiliando la secolare e ineguagliata storia artistica di quel luogo, non ha nulla a che vedere con la cultura. Se questa è l’intenzione, si chiamano tenori e soprani lirici.
Ancor meno servono allo scopo gli sbiaditi duetti del cantante pugliese con la sua ex moglie, o quelli con una cantante russa, non una qualunque: una deputata al Parlamento per Edinaja Rossija, come evidenziavano i sottotitoli (il partito di Vladimir Putin, ma questo i sottotitoli non lo dicevano). Albano che contrappunta con il coro dell’Armata russa (non rossa, come qualche giornale ha scritto) e intona il Pater noster gregoriano in una cattedrale ortodossa (!) non dice nulla né sulla straordinaria tradizione corale della Russia né sulla sua storia religiosa. Annebbia ulteriormente le poche idee già confuse che frullano nella testa del pubblico.
Era un programma dedicato alle bellezze di Mosca, all’attualità della Russia? Quella che si è vista non è la Russia e non è Mosca, se non in misura infinitesimale: è una delle tante metropoli, ormai tutte uguali, della moda e del consumo. Poteva essere Parigi, Roma o New York, non fa differenza. Una rappresentazione della Russia di oggi, da trasmettere in prima serata sulla prima rete televisiva di uno dei principali Paesi europei, produrrebbe un altro risultato, se fatta con intenzioni serie.
Era una promozione per una nuova trasmissione televisiva in cui Al Bano torna a fianco della sua perduta signora? Non serve andare fino a Mosca, se questo è l’obiettivo.
Il programma allineava un quasi ininterrotto seguito di messaggi subliminali, disseminati nelle due ore di una trasmissione che era, nella sostanza, un reportage politico non dichiarato, rivestito di un abito pop, invero assai sottile.
Sia chiaro: se qualcuno vuole sostenere una tesi politica, quale essa sia, deve essere libero di farlo. Il mito di Stalin viene rinverdito, nella Russia di oggi? Si faccia la camminata alla Majakovskaja, ma si dica anche cosa sono stati i gulag, le purghe, le deportazioni staliniane, o almeno si evitino i toni elegiaci e ridanciani, dinanzi alle tragiche pagine di Storia che Stalin ha firmato. Gli imprenditori soffrono per le sanzioni? Qualcuno spieghi anche perché queste sanzioni esistono – poiché è spiegabile con alto grado di oggettività – e dica per quali e quanti russi, negli undici fusi orari della Federazione e nella stessa Mosca, gli hotel di lusso, i ristoranti di lusso, i grandi magazzini di lusso significano realmente qualcosa, nella vita quotidiana.
Se la cartina «sbagliata» di Limes era uscita su un giornale letto da cerchie ristrette (dettagli >qui), all’interno delle quali molti potevano smascherare la non involontaria «svista» per accreditare le scorribande di Putin in Crimea, il programma televisivo di Bruno Vespa e Al Bano puntava alla massa, a coloro che si fanno emozionare dagli acuti di un cantante a fine carriera e dalle paillette che svolazzano in locali a cinque stelle.
Quanti telespettatori si sono accorti che la trasmissione di Vespa e Al Bano non era un’innocente passeggiata per le vie di Mosca, tra belle donne e piatti succulenti, ma era portatrice mascherata di un messaggio politico? La televisione punta ai grandi numeri e, si sa, numeri significa consenso. E’ un modo di usare la comunicazione e i media profondamente disonesto, questo, che cavalca la disinformazione per orientarlo, il consenso.
Sarebbe utile sapere qualcosa in più sui finanziatori di questo prodotto TV: anche in questo caso, premettere alla trasmissione i loghi delle aziende che l’hanno resa possibile sarebbe stato un gradito contributo alla comprensione del perché una rete televisiva nazionale si presti a simili tragicomiche parate.
Fausto says:
Salve Luca,
Devo dire che una cosa simile, in un paese come l’Italia, sempre stato vicino agli Stati uniti, mi fa chiedere quali grandi manovre si stiano svolgendo in Italia. Nostalgie dell’URSS? O forse sono sempre le manovre della Guerra fredda, in un Paese dalla posizione strategica come il nostro. Certo che elogiare (o suggerire l’elogio di) Stalin è proprio il colmo. Siamo passati da «La lunga notte del comunismo» (vecchio programma RAI ) al sole del… putinismo.
Christine Clover says:
Non conosco Al Bano e all’inizio pensavo che fosse solo troppo giovane per ricordarsi degli avvenimenti di quegli anni, ma è nato nel 1942! Ha vissuto per anni come un cieco o un sordo? Per anni ci sono stati due «mondi,» il «mondo libero» e il “blocco sovietico.” E il Terzo mondo stava da qualche parte tra i due. E’ stata una realtà brutta ma inevitabile, nessuno nato prima degli anni Ottanta può dimenticarla. Benché sia passato, le conseguenze si vedono ancora in Russia e in tutti i Paesi dell’Europa dell’est. Che atto irresponsabile! Grazie mille per questo contributo, come sempre ho imparato qualcosa di nuovo (comunque triste).
Mauro says:
Non hanno detto il perché delle sanzioni? Proprio perché le sanzioni non stanno in piedi! Perché se si sviscerasse il vero motivo, sarebbe troppo imbarazzante per l’Occidente! Sarebbe un po’ come ricordare le false prove delle armi di distruzione di massa, usate per invadere l’Iraq! Vi emozionate per l’autodeterminazione della Scozia e della Catalogna, esultate per il Kosovo… Ma la Crimea no, lei non può!
Flavia says:
Non ho visto la trasmissione, ma mi è bastato il promo (che lasciava abbondantemente presagirne il contenuto) per decidere di non vederla. Complimenti vivissimi per il suo articolo.
Maria Luisa says:
Non ho visto la trasmissione, ma già lasciava presagire che fosse destinata all’«italiano medio» 🙂