L’istituzione in Italia della «Commissione Segre» è avvenuta negli stessi giorni in cui il Comune di Dresda approvava una delibera dai toni simili. Le minacce, però, provengono da correnti di pensiero che hanno superato l’uso delle parole sulle quali insiste il dibattito di oggi. Per agire contro le degenerazioni del vivere sociale, bisogna fermare alla radice il processo che le partorisce a ciclo continuo.
Merita parlare brevemente, in prospettiva internazionale, dell’istituzione in Italia di una «Commissione straordinaria per il contrasto dei fenomeni di intolleranza e razzismo, antisemitismo e istigazione all’odio e alla violenza,» anche perché coincisa nel tempo con una delibera del Comune di Dresda (Germania) che ha toni simili. Di quest’ultima sembra essersi parlato più in Italia che nella stessa Germania, definendola «dichiarazione di emergenza nazismo.» Il provvedimento tedesco non mira a istituire commissioni, è meno pomposo di quello italiano, ma la lettura dei due testi mette in luce numerosi punti in comune.
In Germania, latore della delibera è stato il rappresentante di un piccolo partito (Die PARTEI) che fa capo al giornale satirico Titanic e si è fatto strada con campagne volutamente farsesche. La delibera di Dresda non ha occupato a lungo i media tedeschi, anche se la stampa italiana ne ha parlato per un paio di giorni, con solenni interventi degli inviati in Germania; in Italia, il chiacchiericcio sulla «Commissione Segre» perdura invece da giorni. E’ particolarmente spiacevole che questo atto sia stato collegato a una senatrice a vita superstite dell’Olocausto, il cui nome meriterebbe di essere meno bistrattato.
Non m’inserirò nel dibattito tra favorevoli e contrari alla «Commissione Segre,» poiché, agli occhi di chi osserva le dinamiche internazionali di oggi, questa discussione non supera l’utilità di una zuffa tra gatti. Fenomeni di odio, razziale o altro, esistono e sono in aumento; esistono anche gli strumenti amministrativi e penali per contrastarli e sanzionarli, basta usarli ed eventualmente integrarli nel merito o nell’applicazione. Il discorso, sul punto, può fermarsi qui.
Le minacce allo Stato di diritto, alla tutela delle minoranze e alle distorsioni della memoria storica provengono da correnti di pensiero che hanno superato l’uso delle parole sulle quali insiste il dibattito sociale di oggi, particolarmente (ma non solo) in Italia: fascismo, antifascismo, antisemitismo, razzismo, ultimamente hate speech per definire l’odio in Rete. L’autoritarismo di matrice russa, che sta penetrando con successo incontrastato in Europa, si pone esplicitamente oltre le ideologie storiche, come sottolinea uno dei suoi più attivi propulsori, il filosofo e politologo Aleksandr Dugin. E’ un complesso di dottrine che si distanzia anche lessicalmente dalle teorie politiche tradizionali e che riesce nell’impresa di sintetizzare gli elementi peggiori di tutte.
Ancor più sottilmente, la Cina, da parte sua, diffonde il proprio modello autoritario facendo leva sull’economia e sulla tecnica. Pechino attrae a sé l’Europa con i finanziamenti per la Nuova via della seta e con il controllo sulle tecnologie informatiche strategiche.
Chi propaga questi nuovi modelli illiberali raccoglie applausi e voti, in Europa, ed è ben felice che si approvino tutte le commissioni Segre e le delibere di emergenza nazismo della terra. Da una parte, questi atti contribuiscono a mantenere il dibattito su un problema serio, l’indebolimento delle garanzie dello Stato di diritto, a un livello intellettuale paurosamente basso; dall’altra, mantengono vivo l’uso di un frasario vecchio di quarant’anni e più, che può essere abilmente sfruttato dalla propaganda. Mentre si condannano fascismo, nazismo, antisemitismo e razzismo, si prepara per noi un modello di società nel quale gli stessi fenomeni, identici e se possibile aggravati, tornano con nomi e sotto specie diverse, pubblicizzato con un armamentario retorico logico e attrattivo per le masse, che evita accuratamente le parole più compromesse.
Nazionalismo, autoritarismo, Stato confessionale e tutte le altre minacce ai capisaldi della società aperta vengono ridefiniti anche nel lessico. Il linguaggio dei media russi, da questo punto di vista, è un capolavoro: condanna a ogni pie’ sospinto fascismo, nazionalismo e razzismo usando le parole tradizionali, ma esprime un regime fondato sugli stessi disvalori, chiamati però in altro modo e mascherati sotto un’aura di progresso, irriconoscibili per le eminenze grigie che in Europa s’azzuffano sulle mozioni scritte con un linguaggio coperto di ruggine.
Nessuna commissione parlamentare, nessuna delibera comunale ci salverà dall’avanzata dei nuovi autoritarismi. C’è uno strumento indispensabile, per combattere non solo le discriminazioni, ma tutti i fenomeni che mettono in pericolo le libertà di ciascuno: tornare a pretendere un livello maggiore di istruzione in ogni ordine scolastico, ovunque. L’odio per le minoranze etniche e religiose è la conseguenza non unica di un processo di degenerazione dell’istruzione e di scemata responsabilità verso lo Stato di diritto, che è fondato sull’accettazione delle diversità e sull’autodeterminazione del singolo.
Konstantin Malofeev, oligarca russo vicinissimo a Putin e protagonista delle relazioni fra il partito italiano Lega – Salvini Premier e i circoli di potere politico-economico russi, pochi giorni fa avrebbe reso una dichiarazione che rivelerebbe indirettamente cosa fare, per interrompere la spirale che sta soffocando le democrazie occidentali. Quando un giornalista gli ha chiesto perché i russi abbiano scelto proprio la Lega per il loro progetto di infiltrazione autoritaria in Occidente, Malofeev avrebbe risposto: «Perché ha un livello socioculturale molto basso, perciò è più facile da tirare dalla propria parte.» Bisogna sempre ricordare che l’Italia non ha un solo partito legato al Cremlino: anche il Movimento 5 stelle, oggi al governo, presenta saldi legami moscoviti. Pur se di impostazione ideale diversa, anche questo partito ha capi e seguaci che sembrano anch’essi piuttosto facili da pilotare.
Secondo taluni, questa affermazione non sarebbe stata fatta da Malofeev, ma da un esponente italiano dell’estrema destra: poco importa, alla luce dei fatti, l’ambiente ideologico di provenienza è lo stesso. In tutta Europa, la Russia ha scelto come propri cavalli di Troia partiti accomunati da una dirigenza e da un elettorato culturalmente deboli, facili prede di suggestioni e complottismi. Queste formazioni sono molto diverse tra loro, ma presentano alcuni punti in comune evidentissimi: si pongono contro la diversità e la società aperta come presupposti della realizzazione dell’individuo, hanno dirigenti poco colti e un elettorato che prende per buona qualunque affermazione dei leader, perché non dotato di capacità (e forse nemmeno di volontà) critica. Una condizione che riguarda fasce sempre più ampie di popolazione.
Il diffondersi di razzismo, antisemitismo e odio del diverso è esito di questo processo regressivo, non un fenomeno a sé stante. Se si vuole agire contro le degenerazioni del vivere sociale, bisogna fermare alla radice il processo che le partorisce a ciclo continuo. E’ poco utile interpretarle con i modelli di settant’anni fa.
Bisogna saper riconoscere le minacce nei nuovi modelli di società autoritaria che si stanno affermando oggi, nell’indifferenza generale, tornando tutti a faticare sui libri. Ma ciò fa sudare e, quel che è peggio, non porta voti.
Martina Schonig ha detto:
Zum Beweis der Richtigkeit Ihrer These sei hier gesagt, dass 40 Jahre staatlich verordneter Antifaschismus in der DDR den Siegeszug der unverhohlen faschistoiden AFD in den neuen Bunderländern leider nicht verhindern konnten. Listen von Wörtern, die man gebrauchen soll oder nicht gebrauchen darf, dienen nicht zur Förderung des Reflexionsvermögens und des eigenständigen Denkens.
Luca Lovisolo ha detto:
Völlig einverstanden.
MfG
LL