
Crimea: guerra, lingua e diritto internazionale. Nei colloqui avviati dagli Stati uniti sulla guerra in Ucraina si torna a parlare di cessioni territoriali. Non sempre lo scenario del conflitto è chiaro. Una sintesi della situazione della Crimea, sotto forma di domande e risposte. Come e perché è parte dell’Ucraina. La questione delle lingue e il referendum per l’annessione alla Russia. Le argomentazioni e i piani di Putin.
La questione della Crimea, nel contesto del conflitto russo-ucraino, non è sempre chiara. Nelle rappresentazioni semplificate dei media subisce le peggiori distorsioni. Riporto qui una sintesi degli argomenti più ricorrenti sullo status della penisola, sotto forma di domande e risposte. La schematizzazione non rende giustizia della complessità dello scenario, ma ne chiarisce gli elementi essenziali. Ho trattato più in dettaglio le vicende della Crimea, citando anche fonti e testimonianze, nel mio libro >Gli imperi non vogliono morire.
Crimea, guerra di lingua e diritto internazionale: a chi appartiene?
E’ giusto affermare che la penisola della Crimea ormai appartiene alla Russia? – No, in nessun caso. Non è questione di opinioni. La Crimea è parte dell’Ucraina dal 1954. In quell’anno, la Russia cedette di sua volontà la penisola all’Ucraina. Mosca aveva constatato che non era in grado di svilupparla, per mancanza di continuità con il territorio russo: la Crimea si raggiunge via terra solo dall’Ucraina. L’allora leader sovietico, Nikita S. Chruščëv, propose la cessione e gli organi costituzionali della Russia e dell’Ucraina, allora entrambe repubbliche dell’Unione sovietica, la ratificarono. Gli ucraini, in un primo momento, rifiutarono la donazione, consapevoli che sviluppare la Crimea sarebbe stato un impegno gravoso. Furono costretti ad accettarla per fatto compiuto dalla dirigenza sovietica. Non vi sono dubbi sulla legittimità della cessione: la volontà delle parti era chiara e i successivi fatti concludenti rendono irrilevanti eventuali eccezioni formali sulla sua validità.
Cosa successe nel 1991, quando l’Ucraina diventò indipendente e poco dopo l’Unione sovietica si sciolse? – Secondo il principio dell’uti possidetis iuris, nel 1991 l’Ucraina diventò Stato indipendente mantenendo i confini che aveva come repubblica sovietica. Questi includono anche la Crimea. La Russia accettò questo stato di fatto e nel frattempo ha firmato numerosi trattati in cui riconosce i confini dell’Ucraina, includenti la Crimea. Per questo motivo, quando è intervenuta in armi sulla penisola e nel Donbas, la Russia non ha violato solo il principio di non aggressione sancito dalla Carta delle Nazioni unite: ha ignorato anche una lunga serie di trattati che essa stessa ha firmato dal 1991 in poi.
La Russia in Crimea: un’occupazione troppo facile
Perché la Russia ha potuto assumere il controllo della Crimea così facilmente, nel 2014? – Un buon numero di militari russi era già presente sulla penisola per gli accordi di cooperazione fra Russia e Ucraina sulla flotta del Mar nero. Gli accordi funzionavano. Violando il rapporto di fiducia, in poche ore Mosca convertì quei militari, legalmente presenti in Crimea, in forze d’invasione. Li integrò con militi e macchinario ai quali rimosse le insegne nazionali, per non renderli riconoscibili come russi, e attuò l’occupazione. L’esercito ucraino, da parte sua, in quel momento era molto debole e anche la politica era in difficoltà.
Come risponde la Russia, quando le si rimprovera che in Crimea, con l’occupazione, ha violato il diritto internazionale? – In un primo tempo la Russia ha negato di essere intervenuta militarmente in Crimea e nel Donbas. Successivamente, Putin stesso, di fronte all’evidenza, ha dovuto ammettere il coinvolgimento dei militari russi. Ha detto però che si trattava di «scelte personali» dei militi coinvolti o di soldati ingaggiati sulla base di contratti privatistici. Con l’invasione dell’Ucraina su larga scala, il 24 febbraio 2022, Mosca è uscita ormai del tutto allo scoperto.
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Crimea, la guerra della lingua e il diritto internazionale
E’ vero che in Crimea e nelle altre regioni ucraine pretese dalla Russia si parla anche russo? – Sì, ma il russo, in Ucraina, non è una lingua estranea, come lo era in Polonia, in Ungheria o in altri Stati dell’Est Europa. In Ucraina, al contrario, il russo è – o forse era – parte integrante del tessuto culturale del Paese. Diversi celebri scrittori della letteratura russa erano ucraini, tra questi Gogol’ e Bulgakov. Dopo l’invasione su larga scala del 2022, però, le rilevazioni mostrano che un gran numero di ucraini di lingua russa oggi passa alla lingua ucraina, perché il russo è sentito come lingua dell’invasore (più dettagli >qui). Se c’è una cosa che ha indebolito lo status della lingua russa in Ucraina, questa è proprio l’intervento militare di Mosca.
Qual è la situazione in Crimea, in particolare, almeno quale era fino al 2014? – In Crimea, la percentuale di cittadini di lingua russa era più elevata che nel resto dell’Ucraina, oscillava tra il 50% e il 60%. Il resto della popolazione parlava ucraino e tataro. Il russo era la lingua utilizzata da tutti per la comunicazione tra le diverse etnie, era riconosciuto in questo ruolo anche dalla legge locale. Non bisogna dimenticare, però, che in Crimea la maggioranza russa si formò nel Novecento, quando Stalin perseguitò e deportò dalla penisola gli ultimi gruppi di lingue ed etnie non russe, già decimati dalle politiche coloniali della Russia zarista, che aveva occupato e annesso la Crimea nel 1738.
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I conflitti tra le comunità linguistiche sono sempre esistiti
Ha ragione Putin, quando afferma di essere sceso in guerra in Crimea e nel Donbas per tutelare il diritto dei cittadini di esprimersi in lingua russa? – No. Problemi tra diverse comunità linguistiche, in Ucraina, esistevano ed esistono tuttora. Sono dovuti a ragioni storiche e alla complessità etnica dell’Ucraina, che è simile a quella di altri Paesi dell’Europa orientale. Sono gli stessi problemi che esistono in altri Stati nei quali si parlano più lingue. Ciò premesso, per quanto vi fossero divergenze su alcune questioni, il diritto linguistico non avrebbe mai causato una guerra, se la questione non fosse stata esacerbata dalla Russia.
La situazione della Crimea era diversa dal resto dell’Ucraina? – In Crimea vigeva uno statuto speciale che rispondeva alle specificità etniche e linguistiche del territorio. Garantiva a ciascun cittadino il diritto di usare la propria lingua, incluso il russo. La penisola aveva una propria Costituzione e un governo autonomo, all’interno dell’Ucraina.
Il referendum per l’annessione alla Russia: perché non vale?
In Crimea si è tenuto un referendum per l’aggregazione alla Russia. Esisteva un diritto di indire una tale consultazione? Perché la comunità internazionale non la riconosce? – Il referendum è nullo perché si è svolto quando la Crimea era già controllata, politicamente e militarmente, da un’amministrazione-fantoccio fedele alla Russia. L’indizione stessa del referendum è priva di fondamento giuridico, a queste condizioni. Non si è potuta svolgere una regolare campagna referendaria. Inoltre, nessuno ha potuto verificare i dati di affluenza e i risultati della votazione. Vi sono testimonianze, particolarmente in merito all’affluenza, che contraddicono le affermazioni delle autorità filorusse.
Eppure, la Russia afferma che il referendum è stato controllato da osservatori internazionali… – Gli «osservatori» invitati a verificare lo svolgimento del referendum non appartenevano a organizzazioni internazionali indipendenti e riconosciute. Erano politici di Paesi o partiti fedeli a Mosca, che si sono prestati a titolo personale a svolgere quel ruolo. Infine, i promotori hanno indetto il referendum senza negoziare il consenso dello Stato interessato, cioè l’Ucraina. La mancanza di questo requisito condanna la votazione all’illegittimità, in qualunque caso.
Perché la Russia è intervenuta militarmente in Ucraina, allora? Sapeva di violare il diritto internazionale. E’ davvero solo questione di lingue ed etnia? – La Russia ha un disegno di espansione sul territorio ex sovietico. Punta, inoltre, a estendere propria influenza politica sull’intero continente europeo (nel parlo più in dettaglio nel mio libro >Il progetto della Russia su di noi). La ripresa delle ostilità su larga scala in Ucraina, nel febbraio 2022, ne è la riprova. Gli eventi confermano che la questione della lingua e del diritto dei russofoni in Crimea, come nel Donbas e nel resto dell’Ucraina, non è altro che un pretesto.
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Crimea: la situazione oggi e il riconoscimento internazionale
Cosa sta succedendo oggi, in Crimea? – E’ difficile dirlo, perché al territorio della penisola, di fatto, possono accedere solo giornalisti dei media russi o graditi a Mosca. Si ha notizia di repressioni contro le popolazioni di etnia ucraina e tatara, ridotte al silenzio e danneggiate nelle loro proprietà e attività economiche. E’ molto difficile ottenere informazioni aggiornate da fonti sicure. Recarsi in Crimea oggi, particolarmente come giornalisti o ricercatori, è molto rischioso, a meno di non essere ben voluti dal Cremlino (qualche testimonianza >qui).
Quanti Paesi riconoscono l’annessione della Crimea? Cosa succede, se un politico di un Paese occidentale afferma di accettare che la Crimea sia russa? – Gli Stati che riconoscono l’annessione della Crimea alla Russia sono poche unità e si trovano tutti nell’area di influenza politica ed economica di Mosca. Se un politico di un Paese occidentale – soprattutto se riveste un ruolo istituzionale – accetta l’annessione della Crimea alla Russia, espressamente o di fatto (cioè con una dichiarazione esplicita, oppure recandosi in Crimea con un visto russo), quel politico riconosce che in Europa è legittimo annettere parti di uno Stato confinante con un’azione militare. E’ un atto grave, perché viola un principio fondamentale della Carta delle Nazioni unite.
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La Russia deve capacitarsi di aver ceduto la Crimea all’Ucraina di propria volontà e che essa non fa parte della sua storia e cultura, contrariamente a quanto afferma una diffusa propaganda, se non per un periodo di tempo relativamente breve, rispetto alla lunga storia del territorio. La guerra non fa che rendere più difficile una situazione già complessa sotto tutti i profili.
(Articolo pubblicato in originale il 24.7.2018, ripubblicato con aggiornamenti il 3.4.2025)
Viktor Palynskyy says:
Vorrei precisare che la Crimea non fu ceduta dalla Federazione russa come regalo, ma fu scambiata con territori vicini alla frontiera, che erano fertili e sviluppati. Invece la Crimea era arida e senza acqua, i canali con le acque del Dnepr sono arrivati decenni dopo e sono costati svariati miliardi di rubli.
Luca Lovisolo says:
Grazie per la Sua precisazione. E’ vero che l’Ucraina ha ceduto numerose parti di proprio territorio alla Russia, tra cui le aree di Starodub, alcuni territori intorno a Char’kov e le regioni del Donbass più orientale, da Taganrog a Kamensk, con ulteriori aggiustamenti minori di confine tra i due Stati. Queste cessioni territoriali finirono però nel 1928, quando nemmeno si pensava a un’eventuale passaggio della Crimea alla sovranità ucraina. Perciò, è corretto ricordare che nel corso del tempo l’Ucraina ha ceduto numerosi territori, anche pregiati, alla Russia, ma è inesatto affermare, come talvolta si sente, che questi territori furono ceduti «in cambio» della Crimea: sia perché la cessione di quest’ultima avvenne molto più avanti nel tempo, nel 1954, sia perché si tratta di atti politicamente e giuridicamente ben distinti, che non prevedono un do ut des fra le parti, ma sono ciascuno negozi unilaterali. A complicare il quadro si aggiungono altre regioni di confine in territorio russo, nelle quali però abitano (o abitavano) forti concentrazioni di popolazione ucraina. Su tali aree l’Ucraina avanzò pretese durante i negoziati del 1924, senza però ottenerle: si tratta delle regioni di Ostrogožsk e Bel’gorod (quest’ultima, in realtà, per un breve periodo a cavallo tra 1918 e 1919 fu effettivamente aggregata all’Ucraina). Anche questi territori, nel calore delle dispute attualmente in corso fra Russia e Ucraina, talvolta entrano nella discussione erroneamente come «territori ceduti alla Russia.»
Vero che la Crimea, quando passò all’Ucraina, era un territorio arido e poco sviluppato. E’ fuor di dubbio che il forte sviluppo infrastrutturale e turistico della Crimea moderna, coinciso anche con un forte aumento della popolazione, si deve largamente all’amministrazione ucraina. Ciò aggiunge all’illegittimità dell’annessione del 2014 un’iniquità sostanziale: la Russia cedette all’Ucraina una Crimea bisognosa di sviluppo, ma oggi pretende di riprendersela come territorio industriale e turistico di un certo pregio, qual è diventata in gran parte grazie a investimenti e sforzi altrui. Cordiali saluti. LL
Marco Travaini says:
Molto chiaro e utile per riordinare le idee sull’argomento. Resta però un punto interrogativo, a mio parere non trascurabile, per avere il quadro completo: che peso ha in tutto questo l’espansione a est della NATO? Credo sia un tassello fondamentale per non trattare il tutto nella cornice di una dimensione «morale» o umanitaria, che nelle relazioni internazionali è già di per sé espressione di un punto di vista piuttosto parziale. Almeno fino a quando non si realizzerà uno scenario kantiano – irrealizzabile – di pace perpetua. Grazie in anticipo per un suo commento su questo.
Luca Lovisolo says:
Grazie per lo spunto. Ho evitato il riferimento alla NATO perché apre scenari complessi che non è possibile riassumere in un testo di questo tipo. Ciò non significa che al di là della questione NATO vi sia solo quella morale o umanitaria: la vicenda russo-ucraina intorno alla Crimea e al Donbass è essenzialmente giuridica, poi militare (o paramilitare) e certo, poi, anche morale e umanitaria, se si guarda al disastro in cui sono precipitate le popolazioni di quelle regioni (che si percepisce solo se si silenzia per un attimo la propaganda russa, evidentemente). A lato di tutto ciò, poi, vi sono le macroquestioni delle appartenenze NATO, Ue, CSI e Unione eurasiatica, che vanno distinte dagli sviluppi sul terreno, sebbene le due dimensioni, evidentemente, si influenzino a vicenda.
Sulla questione NATO, in sintesi: la Russia ritiene che dopo il crollo del Muro di Berlino, nel contesto dei negoziati 2+4 per la riunificazione della Germania, vi fu una «promessa» di non allargamento della NATO verso est. Anche tralasciando tutti i problemi giuridici che una tale promessa avrebbe comportato (come si fa a impedire a Stati sovrani e indipendenti di decidere liberamente le proprie alleanze?), nel frattempo gli archivi sono completamente accessibili, gli storici di ogni parte hanno studiato persino le comunicazioni informali e le annotazioni prese a mano dai protagonisti dei negoziati. Di quella promessa non c’è traccia. Si parlò effettivamente, per un breve periodo, dell’ipotesi di non stazionare armamenti NATO sul territorio dell’allora Germania orientale (il famoso «non avanzare di un centimetro verso est»), ma solo in riferimento alla riunificazione tedesca. L’idea fu rapidamente accantonata, verificatane l’impraticabilità. La Russia, oggi, afferma che quell’ipotesi si riferiva a tutta l’Europa, non alla sola Germania, distorcendo però i fatti. In realtà, come conferma anche Michail Gorbačëv, il problema di un’espansione a est della NATO non si poneva, in quel momento, se non appunto nel caso particolare della Germania, perché il Patto di Varsavia esisteva ancora. Se l’URSS avesse ricevuto come elemento negoziale una tale promessa di non allargamento della NATO ai Paesi dell’Est, avrebbe implicitamente riconosciuto la possibilità che il Patto di Varsavia cessasse di esistere (il Patto, in realtà, si sciolse un anno dopo la definizione delle questioni aperte sulla riunificazione tedesca e per dinamiche proprie). Sebbene il Patto di Varsavia fosse indebolito dagli eventi, Mosca in quel periodo non era certo disponibile ad ammettere ufficialmente la possibilità del suo scioglimento.
Con tutto ciò, l’adesione frettolosa dei Paesi dell’Est alla NATO è e resta un fatto che non convince. E’ vero che fu fortemente voluta da quei Paesi, stufi del giogo sovietico. Quella fase, però, avrebbe richiesto, da parte dell’Occidente, più lungimiranza. L’istituzionalizzazione della NATO e la sua trasformazione in alleanza «di valori» dopo che era venuta meno la sua ragion d’essere strategico-militare, con il crollo del Patto di Varsavia, è controversa. E’ mia convinzione che se sin da allora, alla caduta del Patto di Varsavia e poi dell’URSS, si fossero frenate le urgenze dei Paesi dell’Est e si fosse ripreso in mano il progetto di difesa europea, pur senza una separazione abrupta dagli USA, oggi saremmo in presenza di uno scenario più equilibrato, anche nei rapporti con la Russia. C’è da sperare che l’inaffidabilità di Donald Trump riesca a convincere gli europei a recuperare il tempo perduto, da quando, sin dal 1954, si interruppe il progetto di Comunità europea di difesa. Qualche passo nella direzione giusta sembra che si stia facendo. Le preoccupazioni di Putin per l’installazione di dispositivo militare NATO ai confini della Russia sono comprensibili e andrebbero ascoltate con maggiore attenzione. Le sue teorie secondo cui l’Occidente avrebbe bisogno di una «Russia nemica» per giustificare l’esistenza della NATO, invece, sono mere fantasie che rivelano tutta la brevità di pensiero del personaggio, a dispetto di quanto affermano i suoi adulatori. Ancor meno, le motivate preoccupazioni di Mosca verso la presenza NATO alle sue frontiere giustificano azioni aggressive verso Paesi confinanti o bieche tattiche di guerra regionale per impedire a Stati sovrani, quali l’Ucraina, la Georgia o la Moldavia, di decidere liberamente le loro alleanze. Non è possibile, qui, addentrarsi oltre in una materia che richiederebbe ben più dettaglio. Cordiali saluti. LL