
Putin, durante le conferenze stampa, è un blocco di ghiaccio: sa che in queste circostanze ogni movimento di sopracciglio significa qualcosa. Trump no. Quando apre bocca, Trump fa la peggior frittata che si ricordi nella storia dei rapporti fra Washington e Mosca. La Russia ha condizionato e favorito l’elezione di Trump proprio per arrivare a un vertice come questo. Nessuno sa veramente cosa si siano detti.
Eccoci, prima della pausa estiva, all’incontro di Helsinki tra Donald Trump e Vladimir Putin. Metodo: si ascolta tutta la conferenza stampa completa (46 minuti) nella lingua del presidente A, poi nella lingua del presidente B, saltando dall’una all’altra quando si alternano, nella sezione domande e risposte. Ribobinare e ripetere l’esercizio finché non si è capita ogni singola parola in entrambe le lingue, percependo anche gli elementi di comunicazione non verbale e i toni con cui vengono pronunciate frasi e parole (ecco perché si deve ascoltare in lingua originale, le traduzioni, pur molto corrette, appiattiscono i toni e semplificano la struttura del discorso). Se l’evento è importante, prima di scrivere bisogna aspettare qualche giorno per studiare anche le reazioni a freddo degli analisti dei Paesi interessati, ripetendo il procedimento di cui sopra sulle numerose interviste degli esperti dei vari Paesi e leggendo gli articoli di approfondimento sulla stampa specializzata. Chiusa questa fase istruttoria, ci si mette a ragionare sulla questione e si formula il giudizio.
La superiorità dialettica di Putin su Trump è schiacciante. Trump è un fantasista: ha in testa quattro idee e ripete sempre quelle. Difficilmente risponde in modo puntuale: a volte sembra che risponda più dettagliatamente, ma se si cerca il nocciolo del discorso si resta più spesso a mani vuote. Putin, al contrario, è un giurista e parla per sillogismi: le ruote sono rotonde – questa è una ruota – perciò è rotonda. Con questa proprietà transitiva è capace di spiegare il mondo intero. Interveniva non di rado a rabberciare le risposte fumose di Trump e bisogna riconoscere che i due stili si completano bene l’un l’altro.
Putin, durante le conferenze stampa, è un blocco di ghiaccio: sa che in queste circostanze ogni movimento di sopracciglio significa qualcosa. Trump no. Putin dice: «Le difficoltà di rapporto fra USA e Russia non hanno ragioni oggettive» e Trump, annuendo con il capo: «Giusto, giusto…» Putin dice: «La Russia non si è mai immischiata nella politica interna e nelle elezioni USA» e Trump, annuendo in silenzio: «Giusto, giusto…» Putin dice: «Il presidente Trump crede alle mie parole» e Trump, con la testa: «Giusto, giusto…» Putin dice: «Il referendum per l’annessione della Crimea si è svolto rispettando il diritto internazionale» e Trump, annuendo: «Giusto, giusto…» Quando apre bocca, Trump fa la peggior frittata che si ricordi nella storia dei rapporti fra Washington e Mosca: «Rispetto gli investigatori, ma il presidente Putin è stato molto forte e convincente nel dirmi che la Russia non si è immischiata nella mia elezione, e non vedo ragione per cui avrebbe dovuto farlo.»
La ragione è che la Russia ha condizionato e favorito l’elezione di Trump proprio per arrivare a un vertice come questo, in cui il presidente russo umilia dialetticamente quello statunitense e quest’ultimo sconfessa apertamente gli organi investigativi dello Stato di cui è a capo. Giorni dopo, qualcuno gli ha messo in mano una dichiarazione di smentita, scritta da altri, che Trump ha letto, senza convincere nessuno.

Immaginarsi cosa si saranno detti per due ore, a porte chiuse: il problema è che nessuno lo sa veramente. Solitamente, questi incontri non avvengono a quattr’occhi, soprattutto se gli Stati interessati sono su posizioni ostili o polemiche. Trump e Putin, invece, si sono parlati alla sola presenza degli interpreti. Non c’era un’agenda precisa dei temi da trattare. David Frum, su The Atlantic, si chiede motivatamente perché John Bolton, Consigliere per la sicurezza nazionale USA, non si sia già dimesso, se il Presidente non gli permette di presenziare il colloquio con un capo di Stato estero, per giunta sospetto di ingerenze negli affari interni, negandogli così platealmente la fiducia. Lo stesso può dirsi per il Segretario di Stato USA (Ministro degli esteri), Mike Pompeo. Tutti fuori dalla porta.
Per questi motivi, per gli analisti degli Stati uniti, molti anche vicini al partito di Trump, la condotta del Presidente è stata gravissima. Un sondaggio della CNN rivela invece che gli elettori hanno gradito l’atteggiamento di Trump. Significa che quell’elettorato non ha gli strumenti intellettuali per comprendere la gravità delle mosse di Trump. Vota chi urla più forte, anche se parla senza dire niente e quando dice qualcosa ridicolizza le istituzioni del suo Paese e il suo stesso ruolo.
Tutt’altra musica sul fronte russo. Gli analisti russi sembrano avere più certezze, su cosa si siano detti i due Presidenti. Parlano dell’incontro di Helsinki come di una sorta di riconciliazione, di ripartenza su nuove basi fra Russia e USA. Il giudizio più fulminante l’ha dato il politologo Dmitrij A. Nekrasov, durante il programma di approfondimento della TV russa «60 Minut.» Secondo Nekrasov, Trump e Putin sono in realtà alleati contro un nemico comune, le «élite tradizionali che vorrebbero un governo globale» del mondo. Come Putin, anche Trump vuole «distruggere il sistema attuale delle relazioni internazionali.» Prima, «il solo leader antiglobalista era Putin, adesso si è aggiunto Trump.» In questo momento, conclude Nekrasov, per l’Occidente il problema non è la Russia, ma è Trump, che gioca a indebolire la NATO e l’Europa.
Rincara la dose Karen G. Šachnazarov, regista e attivista politico. Paragona l’azione di Trump alla Perestrojka di Michail Gorbačëv: «Trump sta smontando gli Stati uniti come impero globale e l’occidente come loro alleato. Noi [russi] dobbiamo sfruttare questa fase di loro debolezza a nostro vantaggio, come fece l’Occidente, quando sfruttò a proprio favore la debolezza dell’Unione sovietica di Gorbačëv alla fine del comunismo.» I due commentatori che ho citato hanno formazione e appartenenze culturali piuttosto diverse: Šachnazarov di stretta osservanza putiniana, Nekrasov un po’ più libero pensatore, per quanto possibile nella Russia di oggi senza finire esiliati o cadaveri. Eppure, le loro considerazioni coincidono largamente.
Il problema è che i russi hanno maledettamente ragione. Le «élite tradizionali che vorrebbero un governo globale del mondo» sono, agli occhi dei russi, le istituzioni del multilateralismo: le Nazioni unite, l’Unione europea, l’Organizzazione mondiale del commercio e tutto il complesso di istituzioni, pesi e contrappesi nati dopo la seconda Guerra mondiale per evitare che ne scoppiasse una terza. Questo è il «sistema attuale delle relazioni internazionali» che Putin vuole distruggere, felice di avere un nuovo alleato, Donald Trump. Entrambi vogliono sostituire quest’ordine globale, che con mille difetti ci ha garantito un periodo di pace e cooperazione internazionale mai visto prima d’ora nella Storia moderna, con un sistema di relazioni bilaterali fondato sulla forza, sullo scambio a somma zero di stampo mercantile, e su un sistema di influenze dominato dalle tre o quattro grandi potenze (USA, Russia, Cina e in prospettiva India).
Un sistema che è predestinato allo scontro, alla fine, anche fra le potenze stesse. Non facciamoci illusioni. Dietro ai sovranismi, ai populismi di Trump, Putin e loro pari, c’è questo. Vogliono un mondo più semplice, fondato su rapporti due a due, perché non sono capaci di gestirne uno complesso, fondato sulla cooperazione multilaterale.
Non è inutile spostarci per un attimo a latitudini più vicine: l’intervento di Trump a Helsinki sta sullo stesso piano della conferenza stampa tenuta a Mosca nei giorni scorsi dal Ministro degli interni italiano Matteo Salvini, di cui ho parlato anche qui. Pur di allinearsi alla Russia nel distruggere il «sistema,» ministri e capi di Stato sconfessano se stessi e i Paesi che governano. Salvini arriva a dire di sentirsi più sicuro in Russia che in Italia, anche se è il primo responsabile della sicurezza del suo Paese; Trump dice apertamente che si fida più delle parole di Putin che degli investigatori del Paese di cui è presidente.
E la gente li vota, e più sparano grosso, più i sondaggi li danno vincenti. Buone vacanze. Speriamo che almeno il tempo sia bello.