Stato autoritario, totalitario o dittatura?…

Budapest, Parlamento | © Seth Fogelman
Budapest, Parlamento | © Seth Fogelman

Un un tema d’attualità: tre espressioni che spesso si usano come sinonimi, ma non lo sono. La Russia, il Venezuela, la Turchia, come si possono definire? Si possono chiamare dittature Paesi in cui l’opposizione ha la maggioranza in parlamento? Bisogna distinguere tra le diverse forme Stato illiberale, che limita i diritti fondamentali. Il significato concreto di queste definizioni, da non confondere.


I casi del Venezuela o della Turchia richiamano l’attenzione sul tema dell’autoritarismo. C’è chi parla dello sfortunato Paese sudamericano o del governo di Ankara come di dittature: ma lo sono veramente? Altri osservano che in questi Paesi esiste e opera un’opposizione politica: non sarebbero, perciò, regimi totalitari. Sino alle ultime elezioni, in Venezuela l’opposizione ha addirittura detenuto la maggioranza in Parlamento. Capire cosa si intende per dittatura, regime (o Stato) autoritario e regime totalitario permette di interpretare la realtà di quei Paesi e di molte situazioni analoghe. Usare queste espressioni come sinonimi non è sempre sbagliato, ma vi sono casi in cui è indispensabile saper distinguere.

Per comprendere il significato di queste definizioni è necessario chiarire prima il loro contrario: dittature, regimi autoritari e totalitari sono l’opposto dello Stato di diritto, che comunemente chiamiamo anche Stato democratico, cioè un regime (la parola regime non ha solo un’accezione negativa) fondato sulla divisione dei poteri legislativo, esecutivo e giudiziario, che si limitano e si controllano a vicenda in base alle garanzie previste da una costituzione, formale o sostanziale, cioè scritta in un documento unitario o radicata negli usi e in fonti diverse. Nello Stato di diritto, i poteri vengono rinnovati con libere elezioni, nelle quali sono rappresentate tutte le tendenze e gli orientamenti presenti nella società. Le leggi e il governo, pertanto, sono legittimati dal consenso degli elettori. La sfera d’azione dello Stato, da una parte, e la sfera privata dei cittadini, dall’altro, sono ben definite e distinte.

I regimi autoritari, dittatoriali e totalitari si classificano secondo il modo e la misura in cui negano i fondamenti dello Stato di diritto. Sappiamo di trovarci di fronte a uno di questi regimi quando osserviamo che vi mancano i principi che abbiamo appena elencato: non viene attuata la divisione dei poteri, la vita pubblica non ha un saldo radicamento in una costituzione; non si svolgono elezioni libere oppure la rappresentatività degli eletti è insufficiente a rappresentare tutto lo spettro della società; vi è un contrasto fra le azioni dei governanti e il consenso e l’interesse dei governati. Vediamo allora le diverse gradazioni in cui tutto ciò può presentarsi.

È autoritario lo Stato nel quale i meccanismi dello Stato di diritto non sono del tutto soppressi, funzionano all’apparenza in modo più o meno regolare, ma non riescono a impedire che un gruppo sociale, una persona o una cerchia ristretta di individui esercitino un potere incontrollato su tutti gli altri. Nei regimi autoritari si svolgono elezioni apparentemente regolari, negli intervalli di tempo stabiliti; vi sono partiti di opposizione e una costituzione che regola, a parole, i normali meccanismi di controllo e bilanciamento dei poteri. Vi è un’apparente varietà di mezzi di comunicazione.

Nei fatti, però, gli esponenti dell’opposizione vengono sottoposti a minacce e restrizioni, arresti arbitrari e altre limitazioni della loro libertà, sebbene la loro attività non venga del tutto impedita. Organizzazioni sociali e partiti politici contrari al gruppo di potere dominante non vengono chiusi o soppressi, ma sono fatti segno di azioni giudiziarie ingiustificate o di provvedimenti legislativi ingiusti. La giustizia, negli Stati autoritari, non è indipendente dal potere politico, ma è strumento di intervento del governo, quanto l’azione della propaganda non è sufficiente. I partiti di opposizione esistono, ma contrastano solo formalmente il partito dominante, su provvedimenti insignificanti o aspetti di dettaglio. La vera opposizione non è clandestina, ma spesso resta fuori dal parlamento. I media possono essere plurali, all’apparenza, ma quelli che non si allineano al volere del governo vengono colpiti da azioni che ne impediscono la crescita e la libera diffusione.

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Il risultato è che un Paese autoritario presenta caratteristiche apparenti di uno Stato democratico, ma, nei fatti, nelle sue istituzioni la società non è adeguatamente rappresentata, i poteri non si controllano a vicenda e la macchina statale è messa al servizio di una persona o di un gruppo ristretto di individui, generalmente misto di politici e affaristi. Questi piegano alle proprie volontà il sistema giudiziario e reprimono con mille stratagemmi i media e ogni organizzazione sociale non allineata.

Diverso è il caso della dittatura. In una dittatura, l’opposizione viene repressa ed è inesistente, opera solo in forma clandestina. Chi si oppone al gruppo dominante sa di mettere in gioco la propria vita e quella dei suoi cari. La dittatura non ammette, neppure in apparenza, forme di contrasto. Dove esistono, parlamenti e assemblee sono privi di ogni rappresentatività reale, dominati totalmente dal partito o dal gruppo al potere.

Terza variante è quella del regime totalitario. In uno Stato totalitario, alle già gravi deficienze della dittatura si aggiunge una forte impronta ideologica, che pervade ogni angolo della società. Una componente ideologica non è del tutto assente neppure negli Stati autoritari e in quelli dittatoriali, ma nei regimi totalitari penetra totalmente (da qui, il termine totalitario) la società e la vita dei cittadini, persino nel loro tempo libero, nella vita familiare e nell’attività lavorativa. In uno Stato totalitario l’individuo non è un cittadino, ma il tassello della realizzazione di un progetto fondato su un’ideologia, ossia su una costruzione teorica che si sovrappone alla realtà e grava sulla società, senza riguardo per i valori fondamentali e le libertà dei singoli.

Come sempre, può non essere facile distinguere in modo netto le diverse situazioni: la realtà può presentarsi in forme difficili da classificare.

Se cerchiamo un esempio di Stato autoritario, ne abbiamo la rappresentazione nella Russia di oggi. Il sistema giudiziario russo è pressoché totalmente asservito al Governo e quest’ultimo è strumento di azione per un insieme di persone portatrici di interessi politici ed economici. In Russia si tengono elezioni periodiche ed esistono molti partiti. I media, però, sono pressoché totalmente controllati dallo Stato. I giornali e le antenne non fedeli alla linea del Cremlino, appena superano una certa dimensione, diventano destinatari di azioni giudiziarie o amministrative tese a metterli a tacere o ridimensionarli. I partiti presenti nel Parlamento di Mosca sono numerosi, ma tutti allineati al partito maggiore, che è espressione del potere dominante; le organizzazioni sociali e politiche contrarie al regime agiscono fuori dal Parlamento.

Una crescente piega autoritaria è riconoscibile, purtroppo, anche in alcuni Stati dell’Unione europea, come Ungheria e Polonia, soprattutto per quanto concerne l’indipendenza degli organi di giustizia, la libertà di stampa e la separazione fra Stato e Chiesa. In Russia, d’altra parte, dopo il tentativo di sopprimere fisicamente per avvelenamento uno dei più riconosciuti attivisti contrari al regime, Aleksej Naval’nyj, lo Stato acquista sempre più caratteristiche dittatoriali.

Esempi di dittature, purtroppo, se ne possono citare molti. Tornano alla memoria i feroci regimi del Sud America degli anni Settanta, che non esitavano a far scomparire nel nulla migliaia di oppositori, a colpire le loro famiglie con atrocità inenarrabili e ad abolire ogni corpo di rappresentanza sociale degno di questo nome. Nelle dittature non si svolgono elezioni, oppure, dove avvengono, costituiscono la rituale riconferma dei medesimi rappresentanti facenti capo al gruppo dominante, talvolta controllato dai militari.

Per fortuna delle generazioni attuali, gli Stati totalitari, numerosi ancora sino alla fine del Novecento, sono quasi scomparsi. Per trovarne un esempio ci si può recare (preferibilmente solo col pensiero) in Corea del nord: l’ideologia dello Juche, un misto di nazionalismo e marxismo-leninismo, pervade ogni minuto della vita dei cittadini e include il culto della personalità del leader del momento. Ogni ingranaggio della macchina statale gira per realizzare il progetto di società idealizzato nello Juché. Persino il calendario è diverso dal resto del mondo: oggi i nordcoreani non sono nel 2021, ma nell’anno 110, a contare dalla nascita del fondatore e primo presidente dello Stato nordcoreano, Kim Il-Sung, formalmente tutt’ora «Presidente eterno,» benché defunto nel 1994.

Va ricordato che anche il fascismo italiano mutò il calendario, a contare dalla data della Marcia su Roma. Furono totalitari, in modi e misure diversi, i regimi fascisti, quelli nazisti e quelli comunisti dell’Est Europa. Molti di questi sono crollati, oppure, come in Cina o a Cuba, hanno perso in parte il pervasivo controllo ideologico sulla società, poiché il messaggio su cui si reggevano si è ormai rivelato fallimentare: sono, oggi, più vicini a regimi dittatoriali, che a modelli totalitari. È interessante osservare che tutti i regimi totalitari assumono caratteristiche piuttosto simili, indipendentemente dal segno dell’ideologia alla quale si ispirano e dalle loro forme di organizzazione interna.

Per tornare agli esempi da cui siamo partiti, il Venezuela si colloca fra gli Stati autoritari. Non è una dittatura, poiché l’opposizione esiste e opera, anche se i suoi esponenti sono spesso incarcerati senza motivo e poi rilasciati, oppure sottoposti a intimidazioni e minacce. Nonostante le angherie del potere, l’opposizione venezuelana opera, ma non ha partecipato per propria scelta alle ultime elezioni, che ha giudicato illegittime. I meccanismi costituzionali, benché apparentemente funzionanti, non bastano però a scalzare il presidente formalmente in carica, Nicolִִִás Maduro, che occupa il potere dopo aver promosso una riforma costituzionale autocefala e non riconosciuta dalla comunità internazionale.

Il gruppo che attualmente esercita il controllo sul Venezuela ha un chiaro orientamento ideologico in senso marxista-leninista, ma ciò che prevale è il controllo di carattere economico e politico sulla macchina statale. Non sembra appropriato, perciò, parlare di Stato totalitario, sebbene la retorica del regime sia onnipresente, ispirata al mito del precedente capo di Stato Hugo Chávez, defunto nel 2013. Tra i regimi autoritari va annoverata anche la Turchia, il cui presidente viene formalmente eletto a maggioranza, ma il controllo esercitato dal governo e le riforme costituzionali attuate da Erdoğan in proprio favore rendono impossibile parlare di regime democratico e di società aperta.

La confusione sulle definizioni di Stato autoritario, totalitario o dittatoriale viene facilmente sfruttata da comunicatori e politici non disinteressati. Come si possono definire il Venezuela o la Russia delle dittature, si dice, se l’opposizione opera, se si svolgono regolari elezioni presidenziali? Come abbiamo visto, non si tratta di dittature, ma gli Stati non dittatoriali non sono automaticamente democratici.

Non sono necessari una dittatura o un regime totalitario, per conculcare le libertà garantite dallo Stato di diritto. È sufficiente che un gruppo di potere organizzato utilizzi i meccanismi dello Stato democratico e li deformi a proprio vantaggio, anche senza sopprimerli: può riuscire a imporre un regime autoritario capace di umiliare durevolmente decine di milioni di individui.

(Articolo pubblicato in originale il 5.2.2019, ripubblicato con aggiornamenti il 26.1.2021)

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Il mio corso «Capire l'attualità internazionale» accompagna chi desidera comprendere meglio i fatti del mondo. Con il corso «Il diritto per tradurre» comunico le competenze giuridiche necessarie per tradurre testi legali da o verso la lingua italiana.

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