Nel contesto dell’assalto al Parlamento degli Stati uniti, il 6 gennaio 2021, è stata usata più volte l’espressione «colpo di Stato.» I fatti presentano elementi nuovi, in particolare il ruolo di Internet e delle piattaforme di socializzazione. Due opere di riferimento per la definizione di colpo di Stato: una è di un autore italiano, ma fu pubblicata in Francia perché sgradita al regime fascista.
Nel contesto dell’assalto al Parlamento degli Stati uniti, il 6 gennaio 2021, è stata usata più volte l’espressione «colpo di Stato» o «tentativo di» colpo di Stato. E’ una definizione della quale si fa spesso abuso: nel linguaggio comune è diventata sinonimo di qualunque atto che tenda o riesca a rovesciare le istituzioni di un Paese. Cogliamo questa occasione per ricordare cosa significa «colpo di Stato» e per capire se i fatti di Washington si possano definire così.
Cominciamo con le fonti più comuni. Per la lingua italiana, una buona definizione è data dall’Enciclopedia Treccani:
«[Colpo di Stato è] un fatto contro la legge e al di fuori della legge, volto a modificare il vigente ordinamento dei pubblici poteri. In senso più ristretto si vuole che questa violenta trasformazione sia operata da uno degli stessi organi costituzionali […]. In senso più ampio s’intende per colpo di Stato ogni violenta modificazione dell’ordinamento costituzionale vigente, anche se questa non sia dovuta a uno degli organi esecutivi. Anche in questa sua più lata accezione, il concetto di colpo di Stato non coincide con quello di rivoluzione. Il colpo di Stato contiene sempre in sé un elemento di rivoluzione […] ma per rivoluzione, in senso stretto, s’intende un mutamento prodotto da un moto popolare.»
Da un altro punto di vista, ma giungendo a conclusioni simili, ecco la definizione data dall’Enciclopedia Britannica:
«[…] The sudden, violent overthrow of an existing government by a small group. The chief prerequisite for a coup is control of all or part of the armed forces, the police, and other military elements. Unlike a revolution, which is usually achieved by large numbers of people working for basic social, economic, and political change, a coup is a change in power from the top that merely results in the abrupt replacement of leading government personnel.»
L’improvviso e violento rovesciamento di un governo esistente da parte di un piccolo gruppo. Il principale requisito di un colpo di Stato è il controllo totale o parziale sulle forze armate, sulla polizia e su altre strutture militari. A differenza della rivoluzione, che solitamente è causata da un gran numero di persone che mirano a una modificazione sostanziale di carattere sociale, economico e politico, un colpo di Stato è un mutamento di potere dall’alto, che si traduce in una rapida sostituzione delle persone al governo.
Bisogna ricordare che il termine governo non indica solo il potere esecutivo, cioè ministri e capo del governo, quando lo si usa nelle relazioni internazionali: si riferisce più generalmente all’insieme dei poteri politico-amministrativi dello Stato.
Le due definizioni appena riportate permettono di circoscrivere il significato di «colpo di Stato» al ribaltamento di un governo da parte di gruppi ristretti e ben definiti di soggetti, già facenti parte dell’organizzazione istituzionale. Un caso molto frequente è il colpo di Stato per mano delle forze armate, o di parte di esse. Si utilizza allora il termine putsch, che non è sinonimo esatto di colpo di Stato: si riferisce al caso in cui i militari prendono il potere civile, durante o subito dopo una situazione di conflitto esterno o interno che offra loro l’occasione di agire.
Se lasciamo le fonti più comuni e ci addentriamo nella letteratura scientifica, troviamo due opere un po’ datate ma considerate tutt’oggi come riferimenti per la definizione di colpo di Stato. Una di esse è di un autore italiano di padre tedesco, ma fu scritta in francese e pubblicata in Francia nel 1931 perché sgradita al regime fascista: Tecnica del colpo di Stato, di Curzio Malaparte, pseudonimo di Kurt Erich Suckert (1898-1957). E’ utile citare un passo dell’introduzione di questo libro:
«Io odio questo mio libro. Lo odio con tutto il mio cuore. Mi ha dato la gloria, quella povera cosa che è la gloria, ma anche quante miserie. Per questo libro ho conosciuto la prigione e il confino, il tradimento degli amici, la malafede degli avversarii, l’egoismo e la cattiveria degli uomini. Da questo libro è nata la stupida leggenda che fa di me un essere cinico e crudele, una specie di Machiavelli […].»
Malaparte legge l’ascesa delle dittature del Novecento, siano esse fasciste o comuniste, come lotta fra i sostenitori della democrazia e i suoi oppositori: questa visione, che gli causò le conseguenze che lui stesso racconta, ci conduce a un altro meccanismo di colpo di Stato, quello che avviene per vie costituzionali, più strisciante ma non meno insidioso. Un partito politico cresce sino a guadagnarsi una maggioranza di elettori sufficiente a farlo giungere al governo, anche in coalizione con forze democratiche. Salito al potere, riesce a totalizzarlo e a sovvertire l’ordine dello Stato sfruttando i meccanismi dello Stato stesso.
Anche qui non assistiamo a una rivoluzione di popolo, ma a un gruppo relativamente ristretto di persone – capi di partiti o movimenti, gruppi di parlamentari – che abusa del consenso che ha raccolto presso gli elettori normalmente con campagne di disinformazione e promesse accattivanti ma irrealizzabili.
Questo meccanismo, come noto, fu all’origine dell’ascesa delle dittature europee degli anni Venti e Trenta. Adolf Hitler, in particolare, si arrogò il potere assoluto per vie legittime, con la tristemente nota Legge dei pieni poteri – in tedesco Ermächtigungsgesetz – approvata da due terzi dal parlamento tedesco. Il Führer riuscì a ottenere la maggioranza qualificata a suo favore attuando modifiche ai regolamenti parlamentari e sfruttando altri meccanismi per sé tecnicamente legali. Fu favorito dalla debolezza dei suoi avversari, in parte incarcerati o esclusi in vario modo dal dibattito.
Altro testo di riferimento sulla materia del colpo di Stato è dello studioso americano Edward Luttwak, piuttosto noto anche in Italia. Il saggio, tradotto nel frattempo in sedici lingue, uscì in prima edizione nel 1968 a New York per l’editore Knopf. Fu poi ripubblicato in versione aggiornata una decina di anni dopo per la Harvard University Press: Coup d’Etat: A Practical Handbook. In italiano è pubblicato da Rizzoli con il titolo: Strategia del colpo di Stato, manuale pratico.
Luttwak studia il colpo di Stato nella struttura dello Stato moderno, fondata su un apparato burocratico che non è più fedele al sovrano per legame personale, ma è composto da impiegati, perciò è neutro rispetto al potere politico in carica. Lo Stato di oggi funziona come una macchina, ricorda Luttwak, articolata in diverse anime che interagiscono in modo quasi automatico. Si ha colpo di Stato quando una di queste componenti riesce a impossessarsi del potere e a dirigere le altre sfruttando questo meccanismo. Il fatto resta perciò all’interno delle strutture dello Stato, non include il moto popolare.
«A coup operates by taking advantage of this machine-like behaviour: during the coup because it uses parts of the state apparatus to seize the controlling levers; afterward because the value of the “levers” depends on the fact that the State is a machine.»
Un colpo di Stato funziona sfruttando questo comportamento simile a una macchina: durante il colpo, perché utilizza parti dell’apparato dello Stato per giungere alle leve del potere; dopo, perché l’efficacia di queste «leve» è data dal fatto che lo Stato è una macchina.
Proviamo ora a comprendere se l’assalto del 6 gennaio al parlamento degli Stati uniti sia qualificabile come colpo di Stato, o tentativo di esso. Si tratta di un evento che presenta tratti inediti.
L’operazione non ha raggiunto lo scopo di sovvertire l’ordine costituzionale, cioè di impedire la ratifica della nomina di Joe Biden a prossimo presidente. I fatti accaduti hanno senz’altro avuto simpatizzanti all’interno delle istituzioni, ma non sappiamo quali entità e quante persone sarebbero rimaste fedeli a Trump, se lo scopo dell’assalto al parlamento fosse stato raggiunto. Dopo i fatti si sono succedute dimissioni di segretari di Stato e di altri membri dell’amministrazione, ma non sappiamo se sarebbero avvenute anche se l’operazione fosse riuscita: in altre parole, non sappiamo, almeno sinora, quali parti dello Stato si sarebbero accodate a Trump e quali invece avrebbero dissentito, mantenendosi fedeli alla Costituzione.
I fatti di Washington, all’apparenza, sono più simili a un tentativo di rivoluzione: parte della popolazione si ribella al potere legittimo occupandone fisicamente i luoghi e colpendo le sue personalità (quest’ultimo sviluppo è stato per fortuna evitato in extremis); si hanno atti di violenza e disordini di strada provenienti dal basso, volti a rovesciare le istituzioni.
La rivolta del 6 gennaio, però, presenta un dato singolare: è stata un movimento proveniente dal basso, ma ha trovato consenso e guida all’interno delle istituzioni e in particolare nella loro più alta autorità, il presidente in carica e capo del potere esecutivo. Non è raro che le rivolte di popolo abbiano adepti e fiancheggiatori all’interno delle istituzioni, ma questa volta l’assalto ha avuto sostegno e incoraggiamento nel loro massimo rappresentante. Inoltre, non è chiaro quali altre parti della macchina dello Stato fossero dietro al presidente, e in quali proporzioni. Questi elementi rendono difficile classificare gli eventi secondo le categorie esistenti.
I fatti di Washington occuperanno a lungo gli studiosi: presentano elementi nuovi, in particolare il ruolo di Internet e delle piattaforme di socializzazione. Sono queste che hanno permesso un dialogo diretto tra il capo dello Stato e una parte di cittadinanza disposta a scendere in strada in armi per sostenere la sua permanenza al potere e l’esistenza di brogli elettorali, a dispetto di ogni evidenza contraria.