Nella notte tra il 6 e il 7 aprile, dozzine di missili Tomahawk lanciati da una nave militare statunitense hanno distrutto una base militare nella Siria nord occidentale. L’azione avrebbe causato 7 morti tra il personale militare siriano. Da quell’aeroporto sarebbero partiti gli attacchi all’arma chimica che nei giorni scorsi hanno causato numerose vittime tra la popolazione civile siriana.
L’intervento statunitense, che alle 9:00 ora di Mosca è stato definito dal Presidente russo V.V. Putin «un’aggressione contro uno Stato sovrano,» modifica lo scenario attuale sul teatro siriano. Per l’armata statunitense, la distruzione di istallazioni militari siriane può essere un compito relativamente facile. La nuova situazione sul focolaio di crisi della Siria può essere giudicata solo guardando ai prossimi sviluppi, al momento non ancora prevedibili. In poche parole, il contesto dopo gli attacchi può essere riassunto come segue.
Il regime di Bashar al-Asad. Se la nuova amministrazione USA ha deciso di far cadere il governo di Asad, dovrebbe ora predisporre e attuare un chiaro piano per l’immediato futuro della Siria. Nonostante le evasive dichiarazioni del Segretario di Stato USA R. Tillerson di solo pochi giorni fa in Turchia, ora anche Donald Trump sembra considerare non più possibile la convivenza con Asad. Tuttavia, senza Asad la Siria rischia un destino simile a quello dell’Irak o della Libia. Gli Stati uniti e l’Unione europea dovrebbero, qui e ora, mostrare la loro capacità di impegnarsi fattivamente per la costruzione in Siria di uno Stato di diritto.
Il ruolo della Russia. La posizione della Russia richiede una valutazione più ampia, la farò in un prossimo contributo. In breve, qui: la dichiarazione di Putin, secondo la quale l’intervento statunitense di questa notte sarebbe un’aggressione contro uno Stato sovrano e solo le attività russe sarebbero, in Siria, legittime, è corretta da un punto di vista strettamente giuridico, ma è fuorviante sul piano fattuale. Non si può ancora dire se l’attacco di oggi resterà un caso isolato oppure se è il primo passo di un nuovo attivismo degli USA nel Medio oriente. Sarebbe desiderabile che l’incidenza della Russia nella regione venisse arginata e vi si impedisse la costruzione di una grande zona d’influenza di Mosca, con una quantità di finte democrazie autoritarie. Ciò non deve significare, però, che la Siria diventi una zona d’influenza USA. L’obiettivo dell’Occidente dovrebbe essere che in Siria e in tutta la regione sorgessero Stati indipendenti e società aperte. Ciò è possibile.
Altri focolai di crisi in Medio oriente. Gli Stati uniti dovrebbero chiarire la loro posizione sui diversi altri focolai di crisi nella regione. In Egitto, Yemen e Libia, per citare solo tre punte, si presentano tre situazioni molto diverse fra loro e diverse dalla stessa Siria: tuttavia, non si può procedere contro Asad in Siria con una motivazione idealistica e trattare con al-Sisi in Egitto secondo un realismo business oriented. Le dichiarazioni di sostegno ai nuovi insediamenti israeliani nei territori palestinesi appaiono anch’esse incoerenti, in questo quadro. Un approccio senza equivoci – ossia, una chiara politica estera statunitense – deve pur rendersi riconoscibile.
Un intervento militare è sempre indesiderabile. Quando però gli interventi si rendono necessari, li si può giudicare solo in base ai loro obiettivi. Si capirà nelle prossime settimane e mesi, se l’apparente nuovo orientamento degli Stati uniti nel Medio oriente è un pezzo di una strategia di ricostruzione di quella regione, alla quale, nel suo interesse, anche l’Unione europea dovrebbe partecipare con convinzione.
I precedenti dell’Iraq e della Libia non sono incoraggianti, ma la comunità internazionale, in particolare gli Stati uniti e l’Unione europea, può sviluppare delle iniziative di cooperazione e adottare strumenti affinché i Paesi del Medio oriente che oggi soffrono di acute crisi non siano più spinti qui e là come palle da biliardo, ma diventino, da zone contese d’influenza, delle moderne società aperte. Si mostrerà adesso, se l’amministrazione Trump ha imparato la lezione delle fallimentari campagne militari di G.W. Bush figlio.
| >Originale in lingua tedesca (traduzione italiana dell’autore)