
Si è tornati a parlare del conflitto fra Russia e Ucraina, in particolare a proposito della Crimea. La causa è un intervento del nuovo Ministro italiano degli affari interni, che si è detto sostenitore della posizione russa. Non sempre lo scenario di quel conflitto è chiaro: ecco un sunto dei fatti, sotto forma di domande e risposte. Per non dimenticare ciò che sta accadendo alle porte dell’Europa.
Anche nel mondo di lingua italiana in questi giorni si è tornati a parlare del conflitto fra Russia e Ucraina, in particolare dell’annessione della Crimea da parte della Russia. La causa è un intervento del nuovo Ministro italiano degli affari interni, che si è detto sostenitore della posizione russa, in quel conflitto. L’affermazione è grave, ma non voglio qui concentrarmi sull’infelice sortita del politico italiano. Poiché la nascita e lo svolgimento del conflitto russo-ucraino non sono sempre chiari e sono sottoposti alle peggiori distorsioni, presento qui una sintesi degli eventi sotto forma di domande e risposte. Lavoro da quattro anni come ricercatore su questi fatti: la schematizzazione non può rendere giustizia della grande complessità di quello scenario. Serve, però, a non dimenticare ciò che sta accadendo alle porte dell’Europa.
Di chi è la Crimea
E’ giusto affermare che la penisola della Crimea ormai appartiene alla Russia?
No, in nessun caso e senza possibilità di diverse interpretazioni. Non è questione di opinioni. La Crimea fa parte dell’Ucraina dal 1954. In quell’anno le fu ceduta dalla Russia volontariamente, nella convinzione che l’Ucraina avrebbe potuto meglio amministrarla e svilupparla, per la continuità che esisteva fra i due territori. Proposta dall’allora leader sovietico, Nikita S. Chruščëv, la cessione della Penisola fu ratificata dagli organi costituzionali di Russia e Ucraina, allora entrambe facenti parte dell’Unione sovietica. Taluni hanno avanzato dubbi sulla legittimità di quella cessione, ma la volontà delle parti era chiara e i fatti successivi rendono irrilevanti le eccezioni formali sulla validità della procedura.
Cosa è successo nel 1991, quando l’Ucraina è diventata indipendente e poco dopo l’Unione sovietica si è sciolta?
Secondo il principio giuridico dell’uti possidetis iuris, nel 1991 l’Ucraina è diventata indipendente mantenendo gli stessi confini che aveva come repubblica sovietica, perciò includendo anche la Crimea. La Russia ha accettato questo stato di fatto e ha firmato non solo il più noto Memorandum di Budapest del 1994, ma numerosi altri atti in cui riconosce i confini dell’Ucraina, comprendenti la Crimea. Perciò, quando, nel 2014, è intervenuta militarmente prima in Crimea e poi nella regione ucraina del Donbass, la Russia non ha violato solo il principio di non aggressione sancito dalla Carta delle Nazioni unite, ma anche una lunga serie di trattati che Mosca stessa ha firmato dal 1991 in poi, in cui riconosce esplicitamente o implicitamente l’assetto territoriale ucraino tale quale era all’uscita dall’Unione sovietica. Per appropriarsi della Crimea, la Russia ha avuto gioco facile: un buon numero di militari russi era già presente sulla Penisola, legittimamente, nel quadro degli accordi di cooperazione fra Russia e Ucraina per le basi della Flotta del Mar Nero. Gli accordi funzionavano. Violando il rapporto di fiducia, in poche ore Mosca ha mobilitato quei militari, legalmente presenti in Crimea, utilizzandoli come forze d’invasione e integrandoli con militi e macchinario proveniente dalla Russia, a cui erano state tolte le insegne nazionali per non renderli riconoscibili come formazioni appartenenti all’esercito russo.
Come risponde oggi la Russia, quando le si rimproverano le violazioni dei confini ucraini?
In un primo tempo, la Russia ha negato di essere intervenuta militarmente in Ucraina. Successivamente, lo stesso Putin, di fronte all’evidenza, ha dovuto ammettere il coinvolgimento di personale e dispositivi militari russi, pur dicendo che si sarebbe trattato di «scelte personali» dei militari coinvolti o di soldati ingaggiati sulla base di contratti privatistici. Le indagini sull’abbattimento accidentale, su territorio ucraino ma da parte di miliziani filorussi, di un aereo passeggeri della Malaysia Airlines, avvenuto nel 2014 e che ha comportato quasi 300 vittime civili, hanno dimostrato, né prime né uniche, che nel conflitto ucraino vengono utilizzati sistemi missilistici, armamenti e personale provenienti da arsenali di Mosca, sebbene la Russia smentisca.
La questione della lingua russa e il referendum
E’ vero che in Crimea e nelle altre regioni ucraine pretese dai russi si parla russo?
Sì, ma il russo, in Ucraina, non è una lingua imposta, come lo fu in Polonia, in Ungheria o in altri Stati dell’Est Europa, che furono obbligati a insegnare il russo nelle scuole perché alleati dell’Unione sovietica, anche se la loro cultura non ha nulla a che vedere con questa lingua. In Ucraina il russo è parte integrante del tessuto culturale del Paese. Diversi celebri scrittori della letteratura russa erano ucraini, tra questi Gogol’ e Bulgakov. Prima del 2014, poco meno del 40% della popolazione ucraina si dichiarava di lingua russa. Il russo prevale nel sud-est del Paese, mentre nell’Ovest prevale l’ucraino, nelle zone centrali i due gruppi si dividono grosso modo a metà. Pressoché tutti gli ucraini, però, capiscono e parlano entrambe le lingue. In Ucraina esiste una quindicina di altre minoranze linguistiche, riconosciute dalla legge: particolarmente numerose quelle romena, polacca e ungherese. In Crimea, la percentuale di cittadini di lingua russa era più elevata, tra il 50% e il 60%, mentre il resto della popolazione parlava ucraino e tataro. Anche per questo motivo, la Crimea beneficiava, già all’interno dell’Ucraina, di uno statuto speciale, che teneva conto delle sue specificità etniche e linguistiche.
Le diverse minoranze vanno d’accordo? Ha ragione la Russia, quando dice che è intervenuta in Ucraina per tutelare i diritti dei cittadini di lingua russa?
Problemi tra diverse comunità linguistiche, in Ucraina, esistevano già prima del 2014 ed esistono ancora oggi. Nel valutarli bisogna anche tenere conto che nell’Est Europa vi sono frequenti difficoltà, nel rapporto con le minoranze linguistiche, principalmente per ragioni storiche e per l’estrema complessità etnica di quei Paesi. Ciò premesso, per quanto vi fossero divergenze su alcune questioni linguistiche e di tutela delle minoranze, nessuna avrebbe causato lo scoppio di un conflitto armato, se non artificialmente esacerbata dall’esterno. Ancor meno si sarebbe giustificato un intervento militare russo. I gruppi linguistici ucraino e russo convivevano senza gravi scontri, in una sorta di bilinguismo collettivo che mai nessuno ha messo realmente in discussione, nonostante le frizioni che possono sorgere in tutte le realtà plurilingue. Se c’è una cosa che ha indebolito lo status della lingua russa in Ucraina, oggi, questa è stata proprio l’intervento militare di Mosca. Gli ucraini di lingua russa parlano russo, ma sono ucraini: numerose rilevazioni mostrano che, dopo l’aggressione russa, sempre più ucraini che in famiglia utilizzavano abitualmente il russo stanno passando all’uso dell’ucraino, per sottolineare l’appartenenza al loro Paese. Io stesso, fra i miei numerosi contatti, ho amici che mi dicono di utilizzare ormai l’ucraino, nei rapporti con amici e parenti, benché prima del 2014 parlassero prevalentemente il russo, che oggi considerano lingua di un Paese aggressore.
In Crimea si è tenuto un referendum da cui sarebbe sortita la volontà della stragrande maggioranza della popolazione di aggregarsi alla Russia. Perché non viene riconosciuto?
Il referendum è nullo perché si è svolto quando la Crimea era già controllata di fatto, politicamente e militarmente, dalla Russia. Per questo, non solo l’indizione del referendum non è valida, non si è potuta svolgere una regolare campagna referendaria, e, poiché il territorio era già controllato da un’amministrazione-fantoccio fedele alla Russia, nessuno ha potuto verificare né i dati di affluenza né i risultati della votazione. Vi sono testimonianze, particolarmente in merito all’affluenza, che contraddirebbero pesantemente le affermazioni delle autorità filorusse. Gli «osservatori» invitati dalla Russia a verificare lo svolgimento del referendum non appartenevano a organizzazioni internazionali indipendenti e riconosciute. Erano politici di Paesi o partiti fedeli a Mosca, che si sono prestati a titolo personale a svolgere quel ruolo. Le loro dichiarazioni non possono essere prese in considerazione.
Le motivazioni di Putin e lo stato di fatto attuale
Perché la Russia è intervenuta militarmente in Ucraina, allora, sapendo di compiere queste violazioni del diritto internazionale e di inimicarsi uno Stato vicino, a cui è stata legata da secoli di unione e convivenza?
Vladimir Putin ha un disegno di espansione dell’influenza russa su tutto il territorio ex sovietico. Come lui stesso ha dichiarato, la sua convinzione è che la Russia coincida con l’ex Unione sovietica, non con l’attuale territorio della Federazione russa. E’ particolarmente infastidito dall’insubordinazione degli ucraini, per gli strettissimi rapporti che hanno legato i due popoli per più di tre secoli. In questa visione del mondo si inserisce l’ostilità di Putin verso l’Unione europea: l’intervento russo in Ucraina è avvenuto, non a caso, quando quest’ultima si stava avvicinando all’Europa con la firma di un trattato di associazione. Il trattato non comportava l’adesione dell’Ucraina all’Ue, ma certamente rappresentava una tappa importante sul percorso di accostamento fra Kiev e Bruxelles, che Mosca ha letto come una mossa ostile.
Cosa sta succedendo oggi, in Crimea?
Per dire la verità, non si sa. Al territorio della Penisola, di fatto, possono accedere solo giornalisti dei media russi o ideologicamente vicini a Mosca. Dai pochi testimoni indipendenti che sono entrati in Crimea si ha notizia di repressioni contro le popolazioni ucraina e tatara, ridotte al silenzio e danneggiate nelle loro proprietà e attività economiche. Purtroppo, oggi non è possibile ottenere da fonti sicure informazioni costanti ed estese sulla situazione in Crimea. Recarsi in Crimea oggi, particolarmente come giornalisti indipendenti o ricercatori, è molto rischioso, a meno di non essere ben voluti da Mosca.
Quanti Paesi al mondo riconoscono l’annessione della Crimea? Cosa succede, se un politico di un Paese occidentale afferma di accettare che la Crimea sia russa?
Gli Stati che riconoscono l’annessione della Crimea alla Russia sono poche unità e si trovano tutti nell’area di influenza politica, culturale o economica di Mosca. Se un politico importante di un Paese occidentale ammette l’annessione, espressamente o di fatto (cioè con una dichiarazione esplicita oppure recandosi in Crimea con un visto russo), riconosce che in Europa è legittimo annettere parti di uno Stato confinante con un’azione militare. Ciò è gravissimo, poiché non accadeva in Europa dalla seconda Guerra mondiale, oltre a essere contrario alle norme fondamentali del diritto internazionale. La Carta delle Nazioni unite e il sistema di trattati internazionali oggi validi in materia sono sorti proprio per prevenire le conquiste militari di territorio, che sono state, nella Storia, alla base dei peggiori conflitti.
Quale futuro?
Quale potrebbe essere l’evoluzione futura del conflitto ucraino?
A questo proposito, torna in mente la spiegazione che fu data da un funzionario della ex Germania est a proposito dei debiti contratti in Occidente dai Paesi socialisti. Le economie di quei Paesi si erano gravemente indebitate con i Paesi capitalisti, senza i cui denari non erano in grado di sopravvivere. Pensavano che il sistema socialista avrebbe comunque prevalso su quello capitalista e che gli Stati occidentali loro creditori sarebbero crollati. In tal modo, gli Stati socialisti sarebbero stati liberi dall’obbligazione di restituire i prestiti ricevuti. Non è escluso che Putin pensi qualcosa di simile, a proposito degli interventi militari russi in Ucraina e in Georgia. Ha occupato quei territori e vi mantiene un conflitto a bassa intensità, nella convinzione che prima o poi la Russia riacquisterà, se non il dominio de jure, almeno un controllo de facto su tutta l’area ex sovietica. Ciò renderebbe irrilevanti le frontiere e ripristinerebbe il potere di Mosca su tutta la regione. A quel punto, ritirare o lasciare truppe russe in Crimea, Donbass e Ossezia meridionale diventerebbe quasi un fatto di politica interna, pressoché ininfluente. Se questo è il piano di Putin, come sembra sempre più chiaro, la possibilità di realizzarlo dipenderà in gran parte dalla resistenza che troverà nei Paesi occidentali, che in questo momento è molto debole.
Il progetto di Putin, al quale oggi, purtroppo, si è manifestamente aggregato anche Donald Trump, è minare l’ordine mondiale fondato sulle istituzioni multilaterali di cooperazione nate dopo la seconda Guerra mondiale (ONU, Unione europea, WTO…) e instaurare un regime di rapporti bilaterali in cui le grandi potenze si spartiscano le rispettive zone di influenza. E’ la vecchia logica dell’equilibrio di potenza, incompatibile con un mondo multipolare e globalizzato, qual è quello di oggi, che presenta circa duecento Stati e un intreccio di relazioni internazionali che mai fu così stretto nella Storia come lo è oggi. Le grandi potenze non accettano un ordine mondiale fondato su norme e valori, in cui un piccolo Stato può avere i loro stessi diritti: mirano a ripristinare rapporti fondati sulla prevalenza del più forte, incuranti che ciò riporta il mondo in una condizione simile a quella che precedette le due Guerre mondiali e che moltiplica le cause di scontro globale, anziché rafforzare le basi della cooperazione.
È comprensibile che i russi avvertano un forte legame storico e culturale con la Crimea, ma devono capacitarsi di averla ceduta loro stessi volontariamente ai loro vicini ucraini e di aver confermato lo status quo anche dopo la caduta dell’Unione sovietica. Un atteggiamento ostile verso l’Ucraina, a maggior ragione un’aggressione militare, non fa che rendere più difficile la costruzione di un clima di cooperazione regionale che potrebbe facilitare la convivenza fra popoli e territori che hanno una lunga storia comune, ben antecedente il periodo sovietico. Un patrimonio che non si lascia certo valorizzare adeguatamente in un contesto di conflitto armato.
4 risposte
Vorrei precisare che la Crimea non fu ceduta dalla Federazione russa come regalo, ma fu scambiata con territori vicini alla frontiera, che erano fertili e sviluppati. Invece la Crimea era arida e senza acqua, i canali con le acque del Dnepr sono arrivati decenni dopo e sono costati svariati miliardi di rubli.
Grazie per la Sua precisazione. E’ vero che l’Ucraina ha ceduto numerose parti di proprio territorio alla Russia, tra cui le aree di Starodub, alcuni territori intorno a Char’kov e le regioni del Donbass più orientale, da Taganrog a Kamensk, con ulteriori aggiustamenti minori di confine tra i due Stati. Queste cessioni territoriali finirono però nel 1928, quando nemmeno si pensava a un’eventuale passaggio della Crimea alla sovranità ucraina. Perciò, è corretto ricordare che nel corso del tempo l’Ucraina ha ceduto numerosi territori, anche pregiati, alla Russia, ma è inesatto affermare, come talvolta si sente, che questi territori furono ceduti «in cambio» della Crimea: sia perché la cessione di quest’ultima avvenne molto più avanti nel tempo, nel 1954, sia perché si tratta di atti politicamente e giuridicamente ben distinti, che non prevedono un do ut des fra le parti, ma sono ciascuno negozi unilaterali. A complicare il quadro si aggiungono altre regioni di confine in territorio russo, nelle quali però abitano (o abitavano) forti concentrazioni di popolazione ucraina. Su tali aree l’Ucraina avanzò pretese durante i negoziati del 1924, senza però ottenerle: si tratta delle regioni di Ostrogožsk e Bel’gorod (quest’ultima, in realtà, per un breve periodo a cavallo tra 1918 e 1919 fu effettivamente aggregata all’Ucraina). Anche questi territori, nel calore delle dispute attualmente in corso fra Russia e Ucraina, talvolta entrano nella discussione erroneamente come «territori ceduti alla Russia.»
Vero che la Crimea, quando passò all’Ucraina, era un territorio arido e poco sviluppato. E’ fuor di dubbio che il forte sviluppo infrastrutturale e turistico della Crimea moderna, coinciso anche con un forte aumento della popolazione, si deve largamente all’amministrazione ucraina. Ciò aggiunge all’illegittimità dell’annessione del 2014 un’iniquità sostanziale: la Russia cedette all’Ucraina una Crimea bisognosa di sviluppo, ma oggi pretende di riprendersela come territorio industriale e turistico di un certo pregio, qual è diventata in gran parte grazie a investimenti e sforzi altrui. Cordiali saluti. LL
Molto chiaro e utile per riordinare le idee sull’argomento. Resta però un punto interrogativo, a mio parere non trascurabile, per avere il quadro completo: che peso ha in tutto questo l’espansione a est della NATO? Credo sia un tassello fondamentale per non trattare il tutto nella cornice di una dimensione «morale» o umanitaria, che nelle relazioni internazionali è già di per sé espressione di un punto di vista piuttosto parziale. Almeno fino a quando non si realizzerà uno scenario kantiano – irrealizzabile – di pace perpetua. Grazie in anticipo per un suo commento su questo.
Grazie per lo spunto. Ho evitato il riferimento alla NATO perché apre scenari complessi che non è possibile riassumere in un testo di questo tipo. Ciò non significa che al di là della questione NATO vi sia solo quella morale o umanitaria: la vicenda russo-ucraina intorno alla Crimea e al Donbass è essenzialmente giuridica, poi militare (o paramilitare) e certo, poi, anche morale e umanitaria, se si guarda al disastro in cui sono precipitate le popolazioni di quelle regioni (che si percepisce solo se si silenzia per un attimo la propaganda russa, evidentemente). A lato di tutto ciò, poi, vi sono le macroquestioni delle appartenenze NATO, Ue, CSI e Unione eurasiatica, che vanno distinte dagli sviluppi sul terreno, sebbene le due dimensioni, evidentemente, si influenzino a vicenda.
Sulla questione NATO, in sintesi: la Russia ritiene che dopo il crollo del Muro di Berlino, nel contesto dei negoziati 2+4 per la riunificazione della Germania, vi fu una «promessa» di non allargamento della NATO verso est. Anche tralasciando tutti i problemi giuridici che una tale promessa avrebbe comportato (come si fa a impedire a Stati sovrani e indipendenti di decidere liberamente le proprie alleanze?), nel frattempo gli archivi sono completamente accessibili, gli storici di ogni parte hanno studiato persino le comunicazioni informali e le annotazioni prese a mano dai protagonisti dei negoziati. Di quella promessa non c’è traccia. Si parlò effettivamente, per un breve periodo, dell’ipotesi di non stazionare armamenti NATO sul territorio dell’allora Germania orientale (il famoso «non avanzare di un centimetro verso est»), ma solo in riferimento alla riunificazione tedesca. L’idea fu rapidamente accantonata, verificatane l’impraticabilità. La Russia, oggi, afferma che quell’ipotesi si riferiva a tutta l’Europa, non alla sola Germania, distorcendo però i fatti. In realtà, come conferma anche Michail Gorbačëv, il problema di un’espansione a est della NATO non si poneva, in quel momento, se non appunto nel caso particolare della Germania, perché il Patto di Varsavia esisteva ancora. Se l’URSS avesse ricevuto come elemento negoziale una tale promessa di non allargamento della NATO ai Paesi dell’Est, avrebbe implicitamente riconosciuto la possibilità che il Patto di Varsavia cessasse di esistere (il Patto, in realtà, si sciolse un anno dopo la definizione delle questioni aperte sulla riunificazione tedesca e per dinamiche proprie). Sebbene il Patto di Varsavia fosse indebolito dagli eventi, Mosca in quel periodo non era certo disponibile ad ammettere ufficialmente la possibilità del suo scioglimento.
Con tutto ciò, l’adesione frettolosa dei Paesi dell’Est alla NATO è e resta un fatto che non convince. E’ vero che fu fortemente voluta da quei Paesi, stufi del giogo sovietico. Quella fase, però, avrebbe richiesto, da parte dell’Occidente, più lungimiranza. L’istituzionalizzazione della NATO e la sua trasformazione in alleanza «di valori» dopo che era venuta meno la sua ragion d’essere strategico-militare, con il crollo del Patto di Varsavia, è controversa. E’ mia convinzione che se sin da allora, alla caduta del Patto di Varsavia e poi dell’URSS, si fossero frenate le urgenze dei Paesi dell’Est e si fosse ripreso in mano il progetto di difesa europea, pur senza una separazione abrupta dagli USA, oggi saremmo in presenza di uno scenario più equilibrato, anche nei rapporti con la Russia. C’è da sperare che l’inaffidabilità di Donald Trump riesca a convincere gli europei a recuperare il tempo perduto, da quando, sin dal 1954, si interruppe il progetto di Comunità europea di difesa. Qualche passo nella direzione giusta sembra che si stia facendo. Le preoccupazioni di Putin per l’installazione di dispositivo militare NATO ai confini della Russia sono comprensibili e andrebbero ascoltate con maggiore attenzione. Le sue teorie secondo cui l’Occidente avrebbe bisogno di una «Russia nemica» per giustificare l’esistenza della NATO, invece, sono mere fantasie che rivelano tutta la brevità di pensiero del personaggio, a dispetto di quanto affermano i suoi adulatori. Ancor meno, le motivate preoccupazioni di Mosca verso la presenza NATO alle sue frontiere giustificano azioni aggressive verso Paesi confinanti o bieche tattiche di guerra regionale per impedire a Stati sovrani, quali l’Ucraina, la Georgia o la Moldavia, di decidere liberamente le loro alleanze. Non è possibile, qui, addentrarsi oltre in una materia che richiederebbe ben più dettaglio. Cordiali saluti. LL