Controffensiva ucraina: Russia e Africa al centro delle ricadute della guerra nel resto del mondo, a metà estate. La riconquista ucraina procede con cautela. Dopo il fallito colpo di Stato del 24 giugno rotolano teste eccellenti tra i critici di Putin, non solo i più noti in Occidente. La dipendenza del presidente russo da chi ha tentato di rovesciarlo. Il ruolo di Evgenij Prigožin e la posizione dell’Occidente.
La controffensiva ucraina muove con cautela su tre assi. Verso Melitopol, da dove gli ucraini potranno raggiungere la Crimea con l’artiglieria fornita dall’Occidente; verso Berdjans’k e Mariupol, per tagliare le vie di rifornimento dei russi nella regione, già difficili dopo i danneggiamenti inferti ai ponti stradali nelle scorse settimane; infine verso Bachmut, per dividere le regioni occupate di Donec’k e Lugansk. Questi tre assi di avanzamento sono lunghi un centinaio di chilometri. La riconquista procede per pochi chilometri, talvolta poche centinaia di metri al giorno.
L’esercito ucraino deve sminare palmo a palmo il territorio controllato dai russi e smantellare linee di difesa costruite in mesi di occupazione. Gli ucraini conseguono successi tattici, ma uno sfondamento strategicamente rilevante non è ancora stato possibile. Questo stallo apparente sollecita a guardare agli effetti che la guerra determina nel mondo e dentro la stessa Russia. Putin ha molte ragioni per essere insoddisfatto. Anche noi, però, non dobbiamo rallegrarci troppo in fretta della debolezza che la Russia sta mostrando in questa mezza estate.
Controffensiva ucraina e Russia in Africa: i postumi del tentato golpe
Il contesto in cui è maturato il fallito colpo di Stato in Russia del 24 giugno non è ancora chiaro. Del generale Sergej Surovikin, sospettato di collaborazionismo con la milizia Wagner di Evgenij Prigožin, autore della rivolta, si sa solo che è scomparso dalla vita pubblica. Le voci di un suo arresto emergono e scompaiono come fiumi carsici, mai confermate da fonti ufficiali. Sergej Surovikin e Igor’ Girkin («Strelkov») – quest’ultimo condannato a sorpresa per «estremismo» nei giorni scorsi – sono solo i nomi più celebri, tra le decine di militari e funzionari che stanno subendo condanne e rimozioni.
Tra i silurati meno noti in Occidente vi è ad esempio il generale Ivan Popov. E’ stato rimosso dopo che aveva espresso critiche alla conduzione della guerra in Ucraina, nella quale lui stesso aveva combattuto meritandosi una promozione. Il tratto comune dei personaggi che cadono in disgrazia è la sincerità. Prima del fallito golpe, Putin tollerava piccoli dissensi. Non è escluso che gli facessero persino comodo, per fiutare gli umori sul campo e scavalcare la barriera degli yesmen che lo informano secondo convenienza. Dopo la rivolta, invece, le teste hanno cominciato a rotolare a ogni minimo sgarro. Putin sta cercando di capire dove corra la cesura tra la parte di Stato a lui fedele e quella dissidente, ma non è impresa facile.
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Africa: instabilità e influenza russa contro l’Occidente
Sul piano internazionale, la politica russa registra alcuni successi in Africa e in particolare nel Sahel. Con il colpo di Stato di questi giorni in Niger (ancora in divenire), sono cinque i Paesi della regione precipitati nell’instabilità. I colpi di Stato avvenuti negli ultimi anni nel Sahel sono recite che si ripetono come fotocopie. La Russia vi gioca un ruolo determinante, ormai innegabile. Accusando i governi legittimi di non garantire la sicurezza contro il terrorismo, salgono al potere giunte militari. Le popolazioni acclamano i golpisti sventolando bandiere russe e urlando slogan contro la Francia e l’Occidente. Li hanno appresi attraverso Internet dalla propaganda di Mosca e suonano curiosamente uguali ovunque, dal Mali al Sudan.
Le truppe francesi, di altri Paesi occidentali e persino quelle dell’ONU, chiamate pochi anni or sono, a furor di popolo, per sostenere gli eserciti africani nella lotta contro il terrorismo, vengono cacciate a malo modo. Al loro posto arrivano consiglieri russi e la milizia Wagner di Prigožin. Oltre ai cinque Paesi già interessati, in questi giorni suscita preoccupazioni la vicina Repubblica centrafricana, una delle prime teste di ponte della Russia in Africa. Domenica 30 luglio i cittadini hanno votato una riforma costituzionale che permetterebbe al capo dello Stato di ricandidarsi a vita. I risultati definitivi non sono ancora disponibili. Anche nel sinora ordinato Senegal, la campagna per le prossime elezioni presidenziali si sta facendo nervosa.
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Ucraina, Russia e Africa: la controffensiva di Prigožin in maglietta
Nonostante la crescita d’influenza locale, la posizione di Putin sul continente africano è debole. Le attività di Prigožin in Africa non sono facili da sostituire, né la milizia Wagner né le sue società nel settore della comunicazione: sono gli strumenti di diffusione della propaganda che orienta le opinioni pubbliche africane a favore della Russia.
Nei giorni dopo il fallito colpo di Stato in Russia, i media annunciavano il recesso dello Stato russo dai contratti con le società di Prigožin, formalmente esiliato in Bielorussia. Da fonti non ufficiali ma affidabili si apprendeva però che la collaborazione tra lo Stato e Prigožin, nei fatti, proseguiva.
In versione meno bellicosa, non più in divisa militare ma in jeans e maglietta, durante il vertice Russia-Africa della scorsa settimana a San Pietroburgo Prigožin si aggirava dietro le quinte, stringendo le mani ai capi di Stato africani, giunti in numero largamente inferiore alle attese e diffidenti verso il ritiro della Russia dall’accordo sulle sulle forniture di grano attraverso il Mar Nero.
La realtà è che Putin, volens aut nolens, dipende dall’onnipresenza di colui che ha tentato di rovesciarlo.
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Controffensiva Ucraina, Russia e Africa di fronte all’Occidente
Non per questo noi, in Occidente, possiamo permetterci di sottovalutare le mosse della Russia in Africa. Da lì arrivano o transitano le migliaia di migranti che in Europa spingono sempre più elettori verso partiti xenofobi e antieuropei, fedeli portavoce degli interessi della Russia nel nostro continente. I partiti tradizionali non sembrano in grado di affrontare il problema delle migrazioni con misure adeguate: servirebbe una decisa capacità d’iniziativa nazionale, europea e globale, finora mancante. In Germania, la Alternative für Deutschland, il partito di estrema destra che raccoglie la protesta dei cittadini soprattutto per la gestione dei flussi di migranti, nei sondaggi si colloca ormai stabilmente intorno al 20% e oltre.
Il congresso di questo partito, svoltosi nei giorni scorsi, è stato un lucido specchio delle relazioni fra la guerra in Ucraina, l’influenza della Russia sulle opinioni pubbliche globali e le questioni sociali europee. Un’interazione che supera i confini nazionali e tra continenti.