Armi all’Ucraina: sì o no?

Uomo in armi | © Jonathan Stutz
Uomo in armi | © Jonathan Stutz

Quando, nel 1961, fu costruito il Muro di Berlino, gli Americani non iniziarono una guerra contro la Germania est e l’Unione sovietica, sebbene la costruzione del Muro fosse una grave violazione del diritto internazionale. Nessuno credeva che un intervento militare avrebbe evitato alla popolazione della DDR e degli altri Paesi dell’Europa orientale il destino di vivere a lungo sotto una dittatura. Fu una questione di realismo. «Questo realismo ha fatto sì che si giungesse alla riunificazione tedesca […] Nessuno sapeva, allora, quando sarebbe finita la Guerra fredda, eppure è accaduto […] Il conflitto ucraino non si vince militarmente […] Vinceremo grazie ai nostri principi.»

Con questo argomento, la Cancelliera tedesca Angela Merkel si è pronunciata chiaramente contro la fornitura di armi all’Ucraina, il 7 febbraio, durante la 51. Conferenza internazionale sulla sicurezza, a Monaco di Baviera. Il suo intervento ha affascinato i partecipanti della Conferenza ed è stato gradito da molti presenti, soprattutto perché questa argomentazione proveniva da una Cancelliera nata nella DDR, che ha vissuto sulla propria pelle la divisione della Germania.

L’argomento della signora Merkel non mi convince del tutto. Quando fu costruito il Muro e, con ciò, fu compiuta la divisione dell’Europa, vivevamo un periodo di equilibrio fra potenze. Un equilibrio del terrore, certamente, ma i rapporti fra i blocchi si basavano pur sempre su una sorta di credibilità negativa.

Nessuno dubitava che entrambi i blocchi, la NATO e il Patto di Varsavia, in caso di aggressione di una parte avrebbero messo in funzione il loro arsenale atomico contro l’altra. La dissuasione costituì il presupposto di quasi 40 anni di stabilità in Europa: chi spara per primo, chiunque sia, viene immediatamente annientato dalla controparte. Il potenziale era lo stesso, su entrambi i fronti. La volontà politica di impiegarlo concretamente era certa.

La crisi di Cuba del 1962 offrì una rappresentazione plastica di questa situazione e divenne un capolavoro storico di crisis management. La prospettiva concreta dell’utilizzo di armi distruttive offrì la necessaria copertura ai tesissimi tentativi di soluzione diplomatica. Negli anni Settanta, nonostante ciò, fu possibile attuare la Ostpolitik di Willy Brandt e siglare l’Atto finale di Helsinki. Tra i blocchi si sviluppò persino una reciproca fiducia, sebbene di tipo particolare. In questo contesto, in nome del realismo, si poteva anche «tranquillamente» attendere che le dittature dell’Est collassassero.

Il conflitto in Ucraina è sorto in un contesto diverso. Rispetto al suo aggressivo vicino di casa, l’Ucraina è meno armata e non appartiene ad alcuna alleanza militare. Nessun potenziale dissuasivo potrebbe garantire il rispetto di un accordo di pace tra due parti così squilibrate. Dipende esclusivamente dalla disponibilità della Russia a mantenere la parola data, se un cessate il fuoco può durare più di un paio di settimane.

Questa situazione non porta necessariamente alla conclusione che gli Stati uniti e altri Paesi europei debbano fornire armi all’Ucraina. Sarebbe però di importanza fondamentale che i Paesi NATO si mostrassero credibilmente pronti a mettere in movimento la loro macchina militare, quando il diritto internazionale viene violato in modo così evidente, come nel caso dell’annessione della Crimea e degli eventi nell’Ucraina orientale. L’equilibro degli armamenti tra la Russia e l’Occidente esiste ancora. Ciò che manca è l’equilibrio delle volontà.

La credibilità del terrore, per quanto spaventoso possa suonare questo concetto, ha garantito per 40 anni la stabilità in Europa. Oggi questa credibilità non c’è più e non può essere ricostruita dall’oggi al domani. L’amministrazione Obama se l’è giocata, tra l’altro, sul teatro siriano. Ha promesso un intervento militare, se si fosse superata una «linea rossa» rappresentata dall’uso delle armi chimiche. Primo: non è necessario tracciare alcuna nuova linea rossa, poiché i limiti da non superare sono già indicati dal diritto internazionale vigente. Secondo: la linea rossa fu effettivamente superata, ma gli Stati uniti non fecero nulla. Del resto, non avrebbero più avuto alcuna possibilità di fare alcunché, era ormai troppo tardi.

Il secondo pilastro del contrappeso alla grandeur russa potrebbero essere una difesa unitaria e una coerente politica estera dell’Unione europea. La prima si farà ancora attendere a lungo. La seconda dovrebbe essere incarnata dall’ufficio dell’Alto rappresentante dell’Ue per la politica estera. Preferisco astenermi qui dal commentare il contributo alla Conferenza internazionale di Monaco offerto domenica dall’attuale Alta rappresentante, Federica Mogherini.

«E’ incredibilmente importante che noi [l’Europa e gli Stati uniti] siamo uniti:» questo il pensiero della signora Merkel sui rapporti con la Russia. Tra gli alleati possono esserci differenze tattiche, ma siamo fondamentalmente uniti. Una differenza d’opinioni sull’invio o non invio di armi a un Paese vicino aggredito costituisce una tale, trascurabile differenza tattica?

Durante la Guerra fredda si poteva contare, nei rapporti con l’Unione sovietica, su un sufficiente grado di lealtà. Mosca soleva attenersi agli accordi internazionali. Oggi, a Mosca, il mondo ha a che fare con politici di alto grado che con la mano destra firmano un cessate il fuoco mentre con il piede premono sull’acceleratore dei carri armati. Il contributo del Ministro degli esteri russo Sergej Viktorovič Lavrov alla Conferenza di Monaco è stato un capolavoro di teatro dell’assurdo. In sostanza: in Ucraina si sta sviluppando un’ondata di odio fascista e antisemita, con il sostegno dei Paesi occidentali, che a Kiev hanno sostenuto un colpo di Stato. La Russia non può stare a guardare. Ai partecipanti alla Conferenza che cercavano di controbattere a queste inaccettabili affermazioni, Lavrov ha dato risposte che spaziavano dall’ironia al visibile disprezzo personale. Per trovare dei precedenti di una condotta così sfacciata, in politica e nelle relazioni internazionali, bisogna tornare all’Europa delle dittature degli anni Trenta. Neppure Gromyko, per decenni Ministro degli esteri dell’Unione sovietica, si sarebbe spinto su un tale terreno.

Il tentativo di Angela Merkel e del Presidente francese François Hollande sarà il colpo d’ala decisivo che farà decollare una soluzione diplomatica del conflitto in Ucraina? Non ho la sfera di cristallo. Con la signora Merkel si può essere senz’altro d’accordo su un punto: questa crisi non si risolve militarmente. Sulla strada verso una soluzione non militare manca però, finora, la convinzione necessaria a rendere in qualche modo credibile proprio l’opzione militare. Tale credibilità non si costruisce in settimane, nemmeno in mesi.

Considerati i più recenti sviluppi e le prese di posizione alla Conferenza di Monaco, si fa ogni ora più chiaro che l’Europa e gli Stati uniti devono elaborare non una, ma due strategie verso la Russia. L’una, a breve termine, dovrebbe puntare alla soluzione del conflitto in Ucraina. Come, è questione aperta. L’altra, a più lungo termine, dovrebbe guardare oltre la guerra in Ucraina. Un’alternativa concreta a Putin, oggi, in Russia non esiste. I rapporti di potere, a Mosca, resteranno ancora a lungo quelli che sono. Il Presidente russo gode del supporto di ampi strati della popolazione, sebbene questo favore sia largamente ottenuto attraverso la manipolazione dei media. A queste condizioni la Russia non potrà più essere un partner di stretta cooperazione, almeno nelle forme in cui lo è stata sinora. Una strategia verso la Russia che guardi oltre il conflitto ucraino dovrebbe partire da questa amara constatazione.

Dopo la seconda Guerra mondiale, i Paesi europei hanno rinunciato alla guerra come strumento delle relazioni internazionali. Vi sono certamente stati dei casi in cui questo principio non è stato osservato. Europa e Stati uniti hanno fatto molti errori, ma la convinzione che i rapporti fra Nazioni debbano basarsi sulla cooperazione, non sulla confrontazione, è ancora profondamente radicata nelle nostre società e negli ultimi 70 anni ha complessivamente tenuto. Se un politico parla di guerra, da noi perde ancora fiducia ed elettori. Non così sembra essere in Russia. Molti elementi suggeriscono che in quel Paese questa svolta culturale non sia avvenuta, o quanto meno non con la stessa profondità.

La guerra della Russia contro l’occidente – poiché di ciò si tratta – è un conflitto ibrido. Punta sulla comunicazione, sull’orientamento dell’opinione pubblica all’interno della Russia stessa e negli altri Paesi, sul finanziamento mirato a partiti politici esteri, sulla manipolazione dei social network, sullo sfruttamento delle risorse energetiche come strumento bellico e su molto altro. Non per questo la dimensione militare di questo conflitto è meno importante. A questo genere di guerra multimodale siamo molto meno preparati, rispetto alla Russia. Ci ha colti di sorpresa. La disinformazione delle opinioni pubbliche europee, particolarmente nell’Europa occidentale, in merito ai fatti ucraini, ne è un triste esempio. Le nostre difese sono deboli.

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Il mio corso «Capire l'attualità internazionale» accompagna chi desidera comprendere meglio i fatti del mondo. Con il corso «Il diritto per tradurre» comunico le competenze giuridiche necessarie per tradurre testi legali da o verso la lingua italiana.

Commenti

  1. Metodi Milanov says:

    Egregio Sig. Lovisolo,
    Noto per l’ennesima volta che i suoi commenti sono sempre di parte. Così lei parla di «grandeur» russa, ma non fa il minimi cenno all’espansionismo imperialista americano che è arrivato a violare i patti e gli accordi stipulati con Gorbačëv nei quali fu preso da parte americana e della NATO l’impegno scritto di non acconsentire l’espansione militare di quest’ultimi nei Paesi dell’ex Patto di Varsavia. Ora, nel corso degli anni questo accordo è stato più volte violato da parte americana e la Russia si è vista man mano circondare da basi militari americane e della NATO che non possono che rappresentare una minaccia ai suoi interessi e alla sua sicurezza nazionale. Basta pensare che gli USA considerano di proprio interesse strategico nazionale tutto il mondo e hanno delle basi militari persino nella Cuba comunista! Ora, stanno allungando sono arrivati alle frontiere della Russia. Non le sembra più che legittima la reazione russa?! Le riferisco le parole di un senatore americano il quale ha affermato con molto franchezza e onestà che se non siamo ancora arrivati alla Terza guerra mondiale lo dobbiamo all’atteggiamento conciliante e pacifista della stessa Russia! Mi piacerebbe che il Suo blog pubblicasse le foto dei tanti donne e bambini trucidati dagli assassini ucraini che bombardano senza scrupoli e ritegni umani centri abitati, scuole e ospedali! Atti degni dei loro predecessori che si sono messi al servizio dei regime nazista! Purtroppo, davanti queste atrocità la «democratica» Europa tace e sottosta alla volontà del Grande Fratello americano. Lo considero una vera VERGOGNA! E non sono il solo a pensarla così.
    Distinti saluti.
    Metodi Milanov

  2. Antonia B. says:

    Buongiorno, Luca. Perché tanta disinformazione in Europa? grazie

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Con le mie analisi e i miei corsi accompagno a comprendere l'attualità globale chi vive e lavora in contesti internazionali.

Tengo corsi di traduzione giuridica rivolti a chi traduce, da o verso la lingua italiana, i testi legali utilizzati nelle relazioni internazionali fra persone, imprese e organi di giustizia.

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