Traduzione sbagliata da un collega: che fare

Che fare, se un collega consegna una traduzione sbagliata? | Donne su un divano | © Ben White
Donne su un divano | © Ben White

La traduzione affidata da un traduttore a un altro traduttore arriva sbagliata. La collaborazione fra traduttori, che la moda ci fa chiamare networking, ha molti vantaggi. Ciascun professionista si occupa di lingue e settori diversi, cooperare moltiplica le opportunità. Come agire, però, quando da un collega si riceve un lavoro fatto male? Ecco un caso concreto. Tutelare i propri diritti e i buoni rapporti reciproci.


«Un cliente mi ha richiesto una traduzione verso una lingua che non conosco. Ho chiesto aiuto a una collega, che ha accettato l’incarico e il prezzo pattuito. Prima di consegnare la traduzione al cliente finale, l’ho fatta rivedere da un madrelingua. Il responso è stato molto negativo: il lavoro era fatto male. Ho contestato l’accaduto alla collega e le ho chiesto la restituzione del pagamento, che avevo eseguito subito, al ricevimento della traduzione, come pattuito. Mi ha risposto che la qualità del lavoro era adeguata al prezzo concordato. Mi chiedo: vista la qualità ottenuta, ho diritto di chiedere la restituzione del pagamento? Per lo stesso motivo, avrei potuto rifiutarmi di pagare? Ha senso che la collega si difenda dicendo che la qualità è adeguata al prezzo che avevamo stabilito? Vorrei denunciare questa persona per truffa.»

Traduzione sbagliata da un altro traduttore: analizziamo il caso

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Per alleggerire la brutta esperienza della protagonista, potremmo definire questo caso il lato oscuro del networking. Nasce una collaborazione fra traduttori, ma sorge un problema di qualità. Il fatto è avvenuto in Italia, perciò cito normative italiane. I principi di base, in queste fattispecie, presentano analogie in tutti i Paesi, salve le consuete differenze tra ordinamenti.

Preciso che fra due traduttori che collaborano fra loro sorge un comune contratto d’opera [art. 2222 sgg. e 2229 sgg. CC IT]. Nel nostro caso, il contratto fra le parti non ha forma scritta o altra forma che dimostri l’esistenza di patti in deroga. Si applicano perciò le disposizioni generali di legge. Per brevità, denomino qui committente la traduttrice che ha conferito l’incarico ed esecutrice la sua collega che lo ha svolto.

«Ho diritto di chiedere la restituzione del pagamento?» Vi sono degli argomenti a favore e altri contrari. L’esecuzione di una traduzione configura una cosiddetta obbligazione di risultato: il traduttore deve realizzare un’opera che corrisponda all’utilità prevista. Ha diritto al pieno compenso solo se adempie tale obbligazione.

Il committente, però, ha l’onere di verificare se la traduzione presenti difetti facilmente riconoscibili. Deve poi accettarla – tacitamente o esplicitamente – oppure denunciare subito al traduttore i vizi che ha riscontrato. Solo se il committente accetta l’opera, il traduttore ha diritto al pagamento del compenso. Il semplice ricevimento della traduzione non costituisce accettazione: servono o una dichiarazione esplicita («accetto la traduzione») oppure dei comportamenti concludenti del committente che escludano una sua volontà contraria [Cass., sez. II, 14.4.2004, n. 7057].

Legga anche: >Una traduzione già pagata può essere contestata?

Nel nostro caso, perciò, non bastava che l’esecutrice inviasse la traduzione alla collega committente, per pretendere il pagamento. Era necessario che quest’ultima verificasse l’opera e dichiarasse che corrispondeva alle caratteristiche pattuite, espressamente oppure compiendo atti tali che escludessero un’eventuale intenzione di non accettarla.

Il pagamento, punto di svolta dell’accettazione

Luca Lovisolo, Tredici passi verso il lavoro di traduttore - la guida anche nei casi di traduzione sbagliata da un collega
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La committente ha versato all’esecutrice il compenso pattuito, al ricevimento della traduzione. Ha così compiuto un atto che fa sottintendere la volontà di accettare l’opera. Si presume, infatti, che la committente abbia giudicato la traduzione conforme ai patti, se l’ha pagata. Lo stesso potrebbe dirsi, ad esempio, se la traduzione stessa fosse stata utilizzata, altro atto che ne farebbe presumere la conformità. L’accettazione da parte della committente – manifestata con l’esecuzione del pagamento – libera l’esecutrice dalle responsabilità per vizi o difformità della traduzione [art. 2226 c. 1 CC IT]. Rebus sic stantibus, la committente non avrebbe più diritto di pretendere alcunché.

Entriamo, però, nel dettaglio. Vero che l’accettazione dell’opera libera il prestatore dalla responsabilità per difformità o vizi, ma solo «se, all’atto dell’accettazione, questi [vizi e difformità] erano noti al committente o facilmente riconoscibili, purché in questo caso non siano stati dolosamente occultati» [ibid].

In altre parole: se la committente non poteva facilmente riconoscere subito che la traduzione consegnata dalla collega era sbagliata, la collega resta responsabile delle conseguenze anche dopo l’accettazione. Ne discende che la committente, se così fosse, potrebbe ancora chiedere all’esecutrice la rettifica dell’opera e le altre garanzie di legge.

Nel nostro caso, i vizi della traduzione erano facilmente riconoscibili per la committente? La traduttrice committente ha affidato alla collega esecutrice una traduzione verso una lingua che non conosce. Il fatto che il vizio dell’opera sia «facilmente riconoscibile per il committente» dipende dalle cognizioni e dalla competenza che ci si può ragionevolmente attendere dal committente stesso [Tribunale di Modena, sez. I, 22.3.2004]. Con questa previsione, la legge tutela il committente: non si può presumere da tutti la preparazione necessaria per riconoscere difetti non evidenti in un’opera realizzata da un tecnico.

Legga anche: >Implicazioni legali della revisione

Traduzione sbagliata da un altro traduttore: le diverse competenze

Nel nostro caso, la committente è traduttrice a sua volta, ma lavora con altre lingue. Può sostenere di non aver potuto riconoscere facilmente gli errori nella traduzione della collega, perché in una lingua a lei ignota. La committente ha scoperto che la traduzione era sbagliata grazie a un altro traduttore, a cui l’ha fatta revisionare prima di consegnarla al cliente finale, com’è uso frequente. La posizione della committente può indebolirsi, per l’errore commesso in questo passaggio. Ha fatto controllare il lavoro prima di consegnarlo al cliente finale ma dopo averlo pagato (e quindi accettato).

Un giudice chiederebbe forse di approfondire la natura dei rapporti tra la committente e il revisore terzo, e la qualificazione del pagamento eseguito. Cos’ha impedito che il revisore venisse coinvolto prima di pagare la fattura dell’esecutrice? Il pagamento era completo o costituiva un acconto? Cos’era stato pattuito tra le parti, sulle modalità di revisione? Può essere determinante anche la rarità della lingua in questione, che influenza la facilità con la quale la committente poteva reperire un revisore di fiducia. Si tratta, in sostanza, di dare a quel «vizi facilmente riconoscibili» un significato concreto nel caso specifico.

Cosa dovrebbe fare la committente per tutelarsi

Se vuole richiedere all’esecutrice la rettifica della traduzione o la restituzione almeno parziale di quanto ha già pagato, la committente ha l’onere di «denunziare le difformità e i vizi occulti al prestatore d’opera entro otto giorni dalla scoperta» [art. 2226 c. 2 CC IT]. La richiesta può comprendere una riduzione del compenso pattuito per la traduzione, proporzionale ai vizi presenti, sino all’intera somma (con risoluzione del contratto) se la traduzione è inservibile. Oltre a ciò, la committente può richiedere il risarcimento di ogni altro danno emergente o lucro cessante a ciò dovuto, purché diretto, dimostrabile e causalmente connesso agli errori della traduzione.

La committente ha l’onere di spendere tali argomenti tempestivamente, comunicando le sue pretese all’esecutrice entro il termine di otto giorni stabilito dal codice, sotto pena di decadere dal suo diritto: vigilantibus, non dormientibus iura sucurrunt!

Il quadro sarebbe stato più chiaro se le parti avessero definito le rispettive obbligazioni in un semplice contratto scritto. E’ prevista – e con quali modalità – una revisione della traduzione, prima della consegna al cliente finale? In quali forme ed entro quale termine viene comunicata l’accettazione dell’opera all’esecutrice, a cui segue solo dopo il pagamento? Un contratto in forma scritta permette di stipulare accordi trasparenti tra le parti. Vi è anche la possibilità di derogare agli otto giorni previsti dal codice come norma generale per la denuncia dei vizi, sostituendoli con un termine più confortevole, se necessario.

Traduzione sbagliata: rifiutarsi di pagare l’altro traduttore si può?

Continua l’interessata: «Avrei potuto rifiutarmi di pagare, vista la qualità del lavoro?» Sì, ed è la soluzione da preferire, secondo il principio inadimplenti non est adimplendum codificato nell’art. 1460 CC IT: «Nei contratti con prestazioni corrispettive, ciascuno dei contraenti può rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione, se l’altro non adempie o non offre di adempiere contemporaneamente la propria.» La committente aveva diritto di non pagare un’opera eseguita in modo non conforme ai patti o alla regola dell’arte, sino a quando l’esecutrice non l’avesse rettificata. Un discorso diverso varrebbe se tra le parti fosse stato previsto il versamento di acconti, ma non lo approfondiamo qui.

«Ha senso che la collega si difenda dicendo che la qualità è adeguata al prezzo che avevamo stabilito?» No. Quando adempiamo un’obbligazione, tutti dobbiamo «usare la diligenza del buon padre di famiglia» e, nel caso delle professioni, «la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attività esercitata» [art. 1176 c. 1,2 CC IT]. Non importa l’ammontare del compenso, se il professionista lo accetta: l’opera dev’essere eseguita in ogni caso a regola d’arte, secondo gli standard della professione.

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Infine, la committente suggerisce l’eventualità di una querela per truffa a carico dell’esecutrice. Questa ipotesi sposta la controversia sul piano penale. Oltre al fatto oggettivo – cioè la consegna di una traduzione errata – per configurare una truffa è necessario che nella condotta dell’esecutrice si trovi l’elemento soggettivo di questo reato. L’esecutrice avrebbe dovuto agire «[…] con artifizi o raggiri, inducendo taluno – in questo caso la committente – in errore» e con il dolo specifico di «procura[re] a sé o ad altri un ingiusto profitto con altrui danno» [art. 640 c. 1 CP IT].

Per proseguire su questa strada bisognerebbe valutare altri elementi. Si tratterebbe di dimostrare l’esistenza nell’esecutrice di una vis criminalis ai danni della committente, cioè di una volontà esplicita di danneggiarla a proprio vantaggio, ingannandola sulla natura e sulla qualità del lavoro svolto. Nei fatti, vista anche la lieve entità del fatto, sembra più ragionevole che le parti tacitino le reciproche pretese con una più terrena controversia civilistica, lasciando che il giudice penale si occupi di cause socialmente più urgenti.

La committente ha commesso un errore nel far revisionare la traduzione solo dopo averla pagata. Tuttavia, per una traduttrice singola, affidare una traduzione a un esecutore esterno è un evento occasionale. Da un professionista singolo non ci si può attendere la stessa organizzazione del lavoro che si può presumere in chi gestisce quotidianamente molti traduttori esterni delle lingue più diverse, come le agenzie di traduzione.

Traduzione sbagliata da un altro traduttore: conclusioni

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L’esecutrice, da parte sua, ha consegnato una traduzione malfatta. Farebbe bene a rispondere alle rimostranze della committente offrendole spontaneamente di rettificare la traduzione. In alternativa, può restituirle il compenso ricevuto, del tutto o in parte. Se ben gestito, anche un caso come questo, per quanto spiacevole, può essere colto come occasione per mostrare professionalità nella gestione di un insuccesso.

In conclusione: nei contratti d’opera, a differenza di quelli di vendita con effetti reali, il diritto del prestatore d’opera di ricevere il compenso si costituisce con l’accettazione dell’opera stessa da parte del committente, che attesta la conformità di questa al contratto. L’esecuzione del pagamento costituisce una dichiarazione tacita di accettazione. Versando il compenso, il committente dichiara implicitamente che il prestatore ha maturato il diritto di riceverlo perché l’opera è conforme, almeno per quanto riguarda i vizi per lui facilmente riconoscibili.

Nella pratica, quando si affida una traduzione a un collega, è bene revisionarla o farla revisionare subito, prima di compiere qualunque atto che ne indichi l’accettazione. Se vi è il ragionevole dubbio che la traduzione presenti problemi, è bene trattenere il pagamento sinché non vi sia la certezza che il lavoro sia conforme e privo di vizi, la legge lo consente. Per evitare discussioni, è consigliabile stabilire sin da subito con il collega un termine di pagamento più lungo del pagamento alla consegna concordato nel caso dal quale siamo partiti.

Ottenere un risarcimento ex post denunciando vizi occulti di una traduzione già pagata è possibile, ma, come abbiamo visto, il caso si complica. E’ sempre consigliabile, poi, sintetizzare i patti tra le parti in un contratto scritto, anche semplice, che metta in chiaro obblighi e pretese di ciascuna.

(Articolo pubblicato in originale il 18.4.2017, ripubblicato con aggiornamenti il 4.9.2023)

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Il mio corso «Capire l'attualità internazionale» accompagna chi desidera comprendere meglio i fatti del mondo. Con il corso «Il diritto per tradurre» comunico le competenze giuridiche necessarie per tradurre testi legali da o verso la lingua italiana.

Commenti

  1. Adriano Segreto ha detto:

    Utilissimo Articolo e molto ben scritto, chiaro e comprensibile anche per chi -come me- non si intende di leggi. Ho un dubbio però, le stesse dinamiche si potrebbero applicare anche se fosse stata una revisione e non una traduzione? Se i vizi, comunicati tempestivamente dal committente al revisore, sono tali da non permettere la pubblicazione dell’opera, il committente può non pagare per intero? E come si quantifica una parzialità del pagamento? Grazie mille

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie per l’apprezzamento. Rispondo ai Suoi quesiti.
      1. Sulla natura della revisione. Come la traduzione, anche la revisione è un’attività professionale che deve essere svolta con perizia, diligenza e prudenza da valutare secondo la sua natura specifica. Se il revisore svolge male il proprio compito – non trova errori del testo o ne introduce di propri – le conseguenze sono esattamente le stesse. Anche il revisore è un prestatore d’opera che in tal caso non ha adempiuto esattamente la propria obbligazione.
      2. Sulla possibilità di non pagare per intero. La risoluzione del contratto, cioè la restituzione (o rifiuto del pagamento) del compenso con la restituzione (divieto d’uso) della traduzione inservibile, è ipotizzabile nei casi più gravi, quando l’opera è totalmente inutilizzabile per gli scopi previsti dal contratto e il prestatore rifiuta o non è in grado di rettificarla. Se l’opera è destinata alla pubblicazione e tale finalità risulta irrealizzabile a causa dei vizi o non conformità della traduzione, e se il revisore non vuole o non riesce a rettificarla rendendola utilizzabile, allora può essere pensabile la risoluzione del contratto, non solo, ma anche la richiesta del risarcimento di un eventuale danno diretto, prevedibile e dimostrabile (se, ad esempio, la mancata o ritardata pubblicazione avesse causato perdite economiche). Stiamo parlando in senso generale, però: se Lei si trova di fronte a un caso concreto, Le suggerisco di chiedere consulto specifico a un legale di Sua fiducia.
      3. Sulla determinazione del minor compenso. I criteri possono essere diversi e non sempre soddisfacenti. Il primo passo deve sempre essere la richiesta al prestatore d’opera di rettificare gli errori o non conformità (veda anche >qui). Se questo passo è sufficiente, il problema si risolve da sé. Qualora si debba affidare la rettifica dell’opera a un terzo, perché il prestatore non vuole o non è in grado di rettificarla, un criterio per determinare il pagamento parziale è il costo della rettifica affidata al terzo. In concreto: l’opera costa 1000.–, ma è viziata; farla rettificare a un terzo è costato 300.–, il pagamento parziale al prestatore dell’opera sarà di 700.–, poiché si presume che il minor valore dell’opera corrisponda al valore del lavoro necessario per rettificarla. Resta salva, naturalmente, la possibilità di richiedere il risarcimento di un eventuale ulteriore danno dimostrabile, come sopra. Vi sono anche criteri diversi, però. Il principio dovrebbe sempre essere la valutazione in base agli scopi dell’opera (una traduzione di mille parole può contenere anche un solo errore, ma ciò può bastare a renderla inservibile, oppure contenerne molti, che ne guastano la qualità complessiva senza però impedirne l’uso). Si impone, in questi casi, una decisione «in via equitativa,» cioè che tenga conto di principi generali di equità tra le parti, piuttosto che di criteri normativi e oggettivi. Cordiali saluti. LL

  2. Gabriele Moesle ha detto:

    Grazie mille, molto interessante e utile.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie per l’attenzione. LL

  3. Marcella Marino ha detto:

    Grazie, leggo sempre molto volentieri i suoi articoli. In particolare, questo tratta un argomento molto delicato, che spesso può mettere (anzi, direi mette) noi traduttori in situazioni imbarazzanti. Almeno così sappiamo come gestire situazioni di questo genere. Grazie ancora. Marcella Marino

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie a Lei per l’apprezzamento. LL

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Con le mie analisi e i miei corsi accompagno a comprendere l'attualità globale chi vive e lavora in contesti internazionali.

Tengo corsi di traduzione giuridica rivolti a chi traduce, da o verso la lingua italiana, i testi legali utilizzati nelle relazioni internazionali fra persone, imprese e organi di giustizia.

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