
La caduta di una funivia in Piemonte ha suscitato vasta e tragica risonanza. Dopo un evento di questo tipo, un traduttore può essere chiamato a trattare diversi generi di testo: da un articolo di cronaca a un complesso atto giudiziario. I disastri del trasporto vengono definiti in molti modi, nelle pagine dei media. Spesso hanno conseguenze internazionali. Il linguaggio del diritto penale, italiano e svizzero.
Il recente disastro funiviario avvenuto in Piemonte, dove la caduta di una cabina dell’impianto Stresa-Mottarone (provincia del Verbano-Cusio-Ossola) ha causato la morte di 14 passeggeri e il grave ferimento di un bambino, offre, nella sua tragicità, spunti per precisare alcuni aspetti del linguaggio penale dei disastri del trasporto, guardando, qui, a chi si occupa di traduzione.
I sinistri del trasporto di tale dimensione sono evenienze rare, ma suscitano eco duratura. Coinvolgono spesso cittadini di molti Paesi e hanno conseguenze, mediatiche e giudiziarie, che si estendono oltre i confini dello Stato in cui accadono. Dopo uno di questi infausti eventi un traduttore può essere chiamato ad affrontare molti generi di testo: da un articolo di cronaca a un provvedimento giudiziario, da una perizia a una memoria di parte.
Iniziamo proprio dalla designazione del fatto nel suo insieme: gli accadimenti come quello di Stresa vengono definiti in molti modi, nelle pagine dei media. I più ricorrenti sono disastro, tragedia, catastrofe, strage, quest’ultimo particolarmente se il numero di vittime è elevato. Nel ricercare un termine che ne costituisca la fattispecie giuridica, ci accorgiamo che il codice penale non prevede esplicitamente il reato di disastro funiviario. Tuttavia, il lemma disastro ricorre in numerose circostanze:
«Disastro ferroviario – Chiunque cagiona un disastro ferroviario è punito con la reclusione da cinque a quindici anni.»
(Art. 430 CP IT)
Ritroviamo lo stesso termine nell’art. 431 CP IT, Pericolo di disastro ferroviario causato da danneggiamento, ma anche nel caso di disastro aviatorio (art. 428 CP IT: Naufragio, sommersione o disastro aviatorio) e come conseguenza di danneggiamenti a centrali elettriche o del gas (ad esempio, l’art. 433 CP IT). Lo stesso lemma ritorna nell’art. 452-quater, Disastro ambientale, cronologicamente molto posteriore. E’ chiaro l’intento del legislatore di fissare con il termine disastro un evento distruttivo grave, dal quale derivi pregiudizio per la vita o l’integrità fisica di molte persone.
Non hanno valenza giuridica, in questi contesti, termini come tragedia o catastrofe: il primo descrive piuttosto le conseguenze morali del fatto, il secondo sarebbe più adatto nel caso di una catastrofe naturale; nessuno dei due, però, dovrebbe trovar posto in un testo che tratti un evento come quello della funivia di Stresa dal punto di vista della sua qualificazione giuridica.
E’ fuori luogo, altresì, il termine strage, ben definito dall’art. 422 CP IT:
«Strage – Chiunque, fuori dei casi preveduti dall’articolo 285, al fine di uccidere, compie atti tali da porre in pericolo la pubblica incolumità è punito, se dal fatto deriva la morte di più persone, con l’ergastolo.»
La formulazione di questo reato ne limita l’applicazione (e perciò l’uso del termine che gli dà titolo) al dolo specifico di chi agisce «al fine di uccidere:» la condotta del disastro, che abbiamo visto più sopra in molti esempi, si addebita invece a «chiunque cagiona» l’evento, anche colposamente, cioè senza l’intento di procurare una o più morti (sulla differenza tra causare e cagionare rimando a >questo articolo). Utilizzare la terminologia del reato di Strage in presenza di un disastro, perciò, è inadeguato, non per il numero di vittime o per la gravità del fatto, come a volte si pensa, ma per il diverso elemento soggettivo del reato. Il termine strage è adeguato, ad esempio, nelle locuzioni «strage di Bologna» o «strage dell’Italicus,» poiché quei fatti furono causati da soggetti che posero ordigni esplosivi in luoghi affollati, con l’intento di uccidere il maggior numero di persone possibile.
Se l’uso del termine disastro è adatto da un punto di vista descrittivo, non basta però a costituire la fattispecie corrispondente ai fatti di Stresa. La dinamica è ormai nota: uno o più responsabili dell’impianto hanno collocato certi dispositivi che hanno impedito lo scatto dei freni di emergenza, allorché la fune traente si è spezzata; a ciò è seguito il rapido retrocedere della cabina verso valle, sino al suo sgancio e schianto a terra. La disattivazione dei freni è stata la causa del disastro: se i freni avessero funzionato, la rottura della fune traente non avrebbe avuto conseguenze fatali.
Per questo motivo, la Procura ha addebitato agli indagati il reato di Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro (art. 437 CP IT). Nella sua formulazione ritroviamo il termine disastro come aggravante specifica:
«Rimozione od omissione dolosa di cautele contro infortuni sul lavoro – Chiunque omette di collocare impianti, apparecchi o segnali destinati a prevenire disastri o infortuni sul lavoro, ovvero li rimuove o li danneggia, è punito con la reclusione da sei mesi a cinque anni. Se dal fatto deriva un disastro o un infortunio, la pena è della reclusione da tre a dieci anni.»
Si può obiettare che questa fattispecie sembra attagliarsi solo alle condotte poste in essere sui luoghi di lavoro e, perciò, quando le loro conseguenze toccano i lavoratori di un’impresa. Un’applicazione tassativa della norma porterebbe in effetti questo esito. Il traduttore, per trovare il linguaggio adeguato, sarebbe spinto a cercare altrove. Nella realtà, la giurisprudenza ha esteso la configurazione di questo reato anche ai casi in cui a subire le conseguenze della mancata attuazione delle protezioni contro gli infortuni sul lavoro siano persone non dipendenti dell’azienda interessata, ma che si trovino nel contesto dei fatti.
Nel nostro caso le conseguenze della disattivazione del sistema frenante sono ricadute sugli sfortunati passeggeri. E’ questo, pertanto, il reato a cui riferirsi per la ricerca codicistica, ma anche per quella giurisprudenziale, che può offrire a sua volta molti spunti terminologici al traduttore. E’ uno di quei casi in cui la giurisprudenza, precisando il campo di applicazione di un reato, guida i traduttori nel reperimento di riferimenti corretti.
Se usciamo dalla legislazione italiana e guardiamo al Codice penale svizzero in lingua italiana, troviamo una fattispecie molto simile:
«Rimozione od omissione di apparecchi protettivi – 1. Chiunque intenzionalmente guasta, distrugge, rimuove, rende altrimenti inservibili o mette fuori uso apparecchi destinati a prevenire gli infortuni in una fabbrica o in un’altra azienda, ovvero gl’infortuni che possono esser cagionati da macchine, / chiunque, contrariamente alle norme applicabili, omette di collocare tali apparecchi, / e mette con ciò scientemente in pericolo la vita o l’integrità delle persone, / è punito con una pena detentiva sino a tre anni o con una pena pecuniaria. Con la pena detentiva è cumulata una pena pecuniaria. 2. La pena è una pena detentiva sino a tre anni o una pena pecuniaria se il colpevole ha agito per negligenza.»
(Art. 230 CP CH)
La fattispecie svizzera è articolata diversamente da quella italiana. Distingue la condotta di chi mette intenzionalmente (dolosamente) in pericolo la vita altrui, rimuovendo o omettendo dispositivi antinfortunistici, da quella di chi agisce per negligenza, cioè per mancata osservanza delle diligenze richieste per le disposizioni di legge o per lo stato dell’arte della tecnica. Nel primo caso, la pena pecuniaria e la pena detentiva si cumulano; nel secondo, si escludono l’una con l’altra. La ratio della norma, tuttavia, non cambia e la terminologia usata differisce di poco.
Sempre restando in Svizzera, è interessante notare che qui il Codice penale non usa mai la parola disastro e non prevede fattispecie tipiche per i disastri del trasporto. Conosce tre reati che puniscono il disturbo o l’impedimento alla circolazione, al traffico ferroviario o ai pubblici servizi, condotta definita con il termine perturbamento (articoli da 237 a 239 CP CH, >qui). Si tratta, però, di situazioni diverse dai disastri veri e propri. Questi, in Svizzera, vengono puniti con le fattispecie generali di lesioni, omicidio, negligenza e altre, a dipendenza dei singoli eventi. In conseguenza, non si pone la questione di una designazione giuridicamente vincolante del fatto nel suo insieme.
Ai presunti responsabili del disastro di Stresa la procura addebita anche il reato di Omicidio colposo. Si tratta di una fattispecie differente da quella del precedente reato, presenta una condotta diversa e differenti beni giuridici tutelati. Per questo motivo, la pena comminata ai colpevoli, al termine del processo, sarà una somma delle sanzioni previste per entrambi i reati, calcolata secondo modalità determinate dal giudice.
Si parla opportunamente di omicidio colposo, reato di cui all’art. 598 del Codice penale italiano (>qui) e art. 117 del Codice penale svizzero (>qui): come abbiamo già visto, non si può addebitare agli indagati l’intento di uccidere, perciò non ricorre l’omicidio volontario. Essi, però, disattivando i freni della cabina, sembrano aver accettato il rischio che un evento mortale potesse accadere. Questa circostanza ci permette di richiamare una terminologia che ricorre con frequenza, in contesti simili: è probabile che la procuratrice, i giudici e i difensori degli imputati litigheranno in giudizio tra omicidio colposo con colpa cosciente e omicidio con dolo eventuale.
Nell’omicidio con colpa cosciente, l’autore del reato compie la condotta coscientemente, ma non prevede il rischio che i suoi atti possano causare la morte; nell’omicidio per dolo eventuale, invece, come chi spara a caso su una strada pubblica, l’autore della condotta accetta il rischio che la sua azione possa uccidere. Nel caso di Stresa, come già in quello dell’incendio avvenuto nel 2007 negli stabilimenti della ThyssenKrupp di Torino, è possibile che gli avvocati degli imputati tenteranno di ottenere la condanna più mite per colpa cosciente, mentre la Procura cercherà di ottenere la sanzione più grave, per dolo eventuale, non potendosi configurare il dolo diretto, cioè l’aver agito con il fine ultimo di uccidere. Al giudice, è il caso di dirlo, l’ardua sentenza.
Un altro capitolo di indagine che potrebbe suggerire interessanti considerazioni terminologiche concerne lo stato di manutenzione della funivia e le differenze nella posizione di garanzia tra proprietario e gestore dell’impianto. Arretrando di un gradino sulla sequenza dei fatti, se è vero che il mancato funzionamento dei freni ha causato la rovina della cabina, dopo la rottura del cavo traente, si può anche affermare che il disastro non sarebbe avvenuto, se il cavo non si fosse spezzato, forse perché non sottoposto a regolare manutenzione. Non ci è possibile approfondire qui questo ramo di analisi.
Molta risonanza hanno suscitato i primi provvedimenti giudiziari sul caso, in particolare il fermo (e non l’arresto) dei tre presunti responsabili, individuati dalla Procura già poche ore dopo il disastro. Con il rinvio da parte della procuratrice alla giudice delle indagini preliminari, uno solo di essi è stato posto agli arresti domiciliari, mentre gli altri due restano indagati senza misure di privazione della libertà. Si è riproposta, nei media e nella comunicazione, la frequente confusione tra fermato e arrestato, della quale parlo più diffusamente in >questo articolo.
La gravità di un disastro del trasporto, in questo caso ancor più sinistro per la sua incredibile causa, può indurre coloro che ne parlano e ne scrivono a usare un linguaggio segnato dall’emotività. E’ comprensibile, ma chi traduce testi che riguardano eventi di tale impatto sociale e giuridico deve, a maggior ragione, prestare attenzione alla scelta delle parole, che deve orientarsi strettamente alle fonti.
2 risposte
La parola eco è femminile al singolare e maschile al plurale. Le eco durature non esistono.
Grazie per averlo notato. In realtà, si trattava del singolare eco duratura, finito in durature per un refuso, ora rettificato. Cordiali saluti.