
Il Giornale del popolo, quotidiano ticinese, e i suoi 92 anni di storia, finiscono in 24 ore, con un’edizione fatta di pagine bianche. Da alcuni anni il panorama ticinese dei media è in profonda trasformazione. Le analogie con ciò che è avvenuto nei media italiani. Le nuove figure della stampa ticinese rappresentano la visione del mondo cara alla Russia.
Oggi è un giorno triste per il Canton Ticino, non solo per i suoi media. Persino il solito gruppo di casalinghe che fa colazione nel bar del paese in cui vivo si infervora nella discussione. Un giornale ticinese chiude, ma non uno qualunque: Il Giornale del popolo e i suoi 92 anni di storia finiscono oggi. Era il giornale della Chiesa cattolica, non lo leggevo quasi mai, ma questo non ha importanza. Come accade anche in molta provincia italiana – e il Canton Ticino, per certi aspetti, nel bene e nel male, assomiglia a una provincia del Nord Italia – i media cattolici qui hanno tradizione. Raggiungono un pubblico a cui altri media non arrivano, sono professionali e diventano normali attori del panorama dell’informazione.
Chiuso, in 24 ore. Con un numero fatto di pagine bianche. L‘annuncio è arrivato ieri, a ciel sereno, e lascia aperte domande che ora dopo ora non fanno che moltiplicarsi. Possibile che in un Canton Ticino non si trovino i 400’000 franchi (meno di 350’000 euro) a cui sembra corrispondere l’ammanco che ha costretto l’editore a chiedere il fallimento? Pare strano. Cos’ha causato davvero il fallimento dell’agenzia di pubblicità Publicitas, che avrebbe a sua volta comportato la bancarotta del giornale, sempre che i due eventi siano effettivamente collegati? Se ci saranno risposte e proposte di soluzione, si vedrà nei prossimi giorni. Si può dire ciò che si vuole: i lettori diminuiscono, la concorrenza di Internet, la concentrazione dei media… In passato la Chiesa cattolica riteneva importante conservare un ruolo attivo nel panorama culturale: ciò significava anche mantenere una presenza qualificata nel mondo della comunicazione. Negli ultimi decenni ha rinunciato sempre più a questo ruolo e ciò non è un bene, non solo per i cattolici.
Una cosa è certa: da alcuni anni il mondo dei media del Canton Ticino è in radicale mutamento. La chiusura del Giornale del popolo è un effetto collaterale di questa inquietudine. Si potrebbero citare diversi nomi e cognomi, che non suonano ticinese. Autori di testi che appena varcano la frontiera diventano commentatori e piccoli Berlusconi in formato locale. Così, il lettore ticinese deve trangugiare la post-verità di articoli sulla Russia, sulla Siria o sull’Ucraina che sembrano copie conformi dei servizi che si vedono alla televisione di Stato russa; deve stare a guardare indifeso, quando il direttore del maggiore quotidiano cantonale, nell’auditorium dell’Università della Svizzera italiana, si presta a moderare la ridicola conferenza di un professore italiano di relazioni internazionali, che starebbe meglio inserita in un talk show di qualche TV commerciale. Ma va bene così.
Sino alla fine del 2017, il Giornale del popolo beneficiava di una collaborazione con il Corriere del Ticino. Restava indipendente, ma la cooperazione forse aiutava a ridurre i costi e a mantenere in piedi la testata. A partire dal 1.1.2018 la collaborazione è cessata, poiché «vi erano differenze di opinione sul ruolo del nostro giornale,» così si è espresso, con prudenza curiale, l’editore del Giornale del popolo.
Chi ha vissuto le trasformazioni del panorama italiano dei media negli anni Novanta, nell’ebbrezza berlusconiana di quegli anni, sa cosa potrebbe esserci dietro queste «differenze di opinione.» L’editore più grande dice all’editore più piccolo: «Se vuoi diventare quel che ti diciamo noi, restiamo insieme, altrimenti puoi continuare da solo.» Il grande sa benissimo che «continuare da solo» per il piccolo significa «morire.» Il panorama dei media si riduce sempre più, fin quando non sopravvivono solo poche testate politicamente molto profilate, più facilmente controllabili, che non fanno più giornalismo, ma (de)formazione dell’opinione pubblica. E’ ciò che sembra stia accadendo anche qui, solo in formato più piccolo e con uomini ancora più piccoli.
Questo Cantone e tutta la Svizzera, dagli anni Novanta, hanno incautamente attratto con favori fiscali schiere di oligarchi russi. Quei magnati, nel frattempo, hanno messo radici qui e sono felici di vedere che la visione del mondo russa prende piede nei media locali. Le nuove figure di riferimento della stampa ticinese e i loro scherani sembrano infatti ritenere loro compito precipuo predicare, ovunque possono, il credo di Putin.
Quali relazioni esistano fra la Russia e gli scalatori dell’industria mediatica ticinese e svizzera, imitatori, invero alquanto dilettanti, di Berlusconi, sarebbe un interessantissimo campo di ricerca. Nel frattempo, le 30 famiglie dei collaboratori del Giornale del popolo rimangono senza un reddito.
| >Originale in lingua tedesca (traduzione italiana dell’autore)