I «Gilet gialli» nel mirino della Russia

Parigi | © Murray Campbell
Parigi | © Murray Campbell

Alcuni aspetti internazionali del fenomeno «gilet gialli» che sembrano essere sfuggiti, almeno in parte, alla grande comunicazione. Per chi segue i rapporti con la Russia, il movimento ha avuto sin dal principio un tratto caratteristico che si è puntualmente confermato nei giorni successiviOgni moto di protesta sociale in Europa, ormai, si presta a essere infiltrato.


 

Ho seguito in originale il breve discorso tenuto da Emmanuel Macron in diretta TV ieri sera, all’orario di maggior ascolto, in risposta alle manifestazioni dei gilet gialli. Non mi addentro nella questione interna francese, mi concentro su alcuni aspetti internazionali che mi sembrano essere sfuggiti, almeno in parte, alla grande comunicazione. Prima, però, contrariamente al mio solito, comunico un’impressione di pelle, avuta guardano il discorso di Macron. Un’associazione storica, anche questa non abituale nel mio metodo, ma che è stata talmente forte che pare ingiusto tacerla.

Mentre Macron elencava gli aumenti di stipendio promessi per metter fine alle proteste, mi è parso, per un attimo, di essere a Bucarest, il 21 dicembre 1989. L’ultimo discorso di Nicolae Ceauşescu alla Romania infuriata che lo stava scaricando («Dragi tovarişi şi prieteni…»), l’ho ascoltato mille volte, nel suo romeno sbocconcellato da ex ciabattino diventato capo di Stato, quando studiavo la fine del regime romeno. Una lista di aumenti di salario a tutte le categorie di lavoratori, con l’intento di placare la collera dei romeni. Ceauşescu elencò nel dettaglio, come Macron, quanti soldi in più andavano a quali categorie, quanti in più ai pensionati, e così via. Era dicembre, anche allora, e persino l’entrata in vigore degli aumenti promessi era uguale, l’inizio del nuovo anno. Uguale.

Poche ore dopo, Ceauşescu fuggirà dal tetto del Palazzo del Comitato centrale del Partito comunista romeno, salendo con sua moglie e alcuni stretti collaboratori su un elicottero che rischiò di precipitare sulla folla, per il sovraccarico. Il palazzo era circondato da cittadini inferociti, che dalla piazza lanciavano sassi fin dentro gli uffici. Ancora oggi, quando mi trovo a Bucarest e passo davanti a quell’edificio, che adesso ospita il Ministero dell’Interno, non riesco a non fermarmi, immaginando quelle scene, proiettandomi nella mente le immagini dei filmati storici. Quattro giorni dopo quei fatti, al termine di un drammatico processo che ho ascoltato e riascoltato non so più quante volte, Ceauşescu e sua moglie finivano mitragliati da alcuni militari nel cortile della caserma di Târgoviște, a due passi dalla stazione.

Lo so, lo so. Macron non è un dittatore e non è un ex ciabattino. La Francia di oggi non è la Romania di allora, non esiste una dittatura, né comunista né comunque la si voglia chiamare. Macron non farà la stessa fine di Ceauşescu, per fortuna. Poi, non si fanno le comparazioni storiche, lo so, è bello, facile e stiloso, ma non serve a niente. Eppure, ascoltando ieri sera Emmanuel Macron, sono rimasto di pietra. Il paragone si ferma qui, come il lampo di un ricordo da cui ci si risveglia subito alla realtà. Non scriverlo, però, sarebbe tacere che un parallelo esiste davvero, tra quei due discorsi: la debolezza di un leader, che difficilmente può essere più disperata, se un capo di Stato arriva a contare soldi, a citare per filo e per segno il denaro che mette in tasca ai cittadini. Macron ha riconosciuto anche delle colpe. Ceauşescu non lo fece mai. Ma adesso basta, veniamo all’oggi.

Corso «Il mondo in cinque giorni»Per chi, come me, segue i rapporti con la Russia, la vicenda dei gilet gialli ha avuto sin dal suo primo apparire un tratto caratteristico che si è puntualmente confermato nei giorni successivi e ancor più con i disordini di sabato 8 dicembre. La presenza di infiltrazioni russe e filorusse, reali e virtuali, nel movimento di protesta, allo scopo di rafforzarlo e volgerlo agli scopi che Mosca coltiva in Europa.

Non significa che le rivendicazioni dei gilet gialli siano inventate o che il movimento sia unicamente uno strumento in mano a Mosca. Significa, però, riconoscere che ogni moto di protesta sociale in Europa, ormai, si presta a essere infiltrato e cavalcato da elementi russi e filorussi. E’ accaduto con la Brexit, con il separatismo catalano, ora con le proteste francesi. Tra le fila dei dimostranti di Parigi sono comparse ormai senza vergogna le bandiere delle repubbliche filorusse autoproclamate nell’Ucraina orientale; agli osservatori più attenti, tra cui il sito di fact-checking Stopfake e il giornalista Mauro Voerzio, non sono sfuggiti, tra coloro che sfilavano e fomentavano disordini, i volti di attivisti appartenenti a movimenti politici di ali estreme, accomunati dalla fedeltà alla Russia di Putin, molti non francesi.

L’intromissione di elementi stranieri è risultata ancor più evidente nelle ultime manifestazioni, che hanno radunato ormai poche migliaia di persone, sebbene dalla TV russa siano state presentate come rivolte generalizzate. Altri profili Facebook di orientamento filorusso, anche in lingua italiana, parlano in queste ore di proteste dei gilet gialli in molte città d’Europa, mentre, a una verifica, tali manifestazioni risultano o inesistenti o blande emulazioni marginali.

Seguo i media russi ogni giorno, quelli veri, non le versioni tradotte che circolano in Occidente. Non basta sentire le parole, bisogna percepire i toni paternalistici, talvolta stentorei, da cinegiornale Luce. Fin dal principio, hanno riferito dei disordini in Francia con il tono trionfalista che contraddistingue i notiziari di Mosca quando parlano delle debolezze dell’Occidente, vere o presunte che siano. Ricordo, il giorno in cui Emmanuel Macron fu eletto presidente, come i telegiornali russi ripresero l’unica manifestazione di protesta che si tenne quel giorno a Parigi e ne fecero passare le immagini per l’intera giornata, commentando che «l’elezione di Macron a Presidente della Repubblica ha causato gravi disordini in tutto il Paese,» descrizione facilmente smontabile come quanto meno iperbolica, se non del tutto falsa.

Gli inquirenti francesi, nel frattempo, indagano su profili Facebook e Twitter russi che in queste settimane avrebbero contribuito a pilotare le proteste dei gilet gialli. D’altra parte, il giornalista italiano Iacopo Iacoboni osservava nei giorni scorsi che molti utenti Facebook impegnati a rilanciare messaggi ostili al governo francese e all’Unione europea, nel contesto dei disordini, erano apparentemente intestati a cittadini francesi, ma risultavano registrati negli Stati uniti ed erano impostati in lingua inglese. I social media si rivelano ancora una volta un buco nero dove si fa leva sull’anonimato, per dirigere con facilità l’opinione pubblica verso obiettivi predeterminati.

Anche le rivendicazioni del movimento gilet gialli presentano numerosi elementi che fanno intuire finalità totalmente eterogenee, rispetto alle interpretazioni più superficiali. E’ opinione diffusa che non solo questo movimento, ma tutti i moti di protesta antigovernativi europei di questi anni rispondano all’insoddisfazione delle classi sociali medie e basse verso l’indebolimento della loro condizione economica. Leggendo le rivendicazioni dei gilet gialli, però, si riconoscono postulati tipici delle correnti estreme, insieme a pretese appartenenti al regno della pura fantasia e, naturalmente, alla immancabile richiesta di uscita dall’Unione europea. Domande che coincidono totalmente con l’armamentario ideologico che la Russia cavalca ormai da anni, in Europa, non certo per risollevare le classi medie dalle loro insoddisfazioni. L’obiettivo di Mosca è unire le ali estreme e più pronte alla rivolta urbana, anche violenta, di destra e di sinistra, su alcuni slogan di facile appiglio. Si è visto operare lo stesso meccanismo, generosamente alimentato da elementi filorussi, nell’Ucraina orientale, durante il 2013, prima che Mosca prendesse definitivamente il controllo del territorio.

Non si intende dire che la Russia voglia arrivare allo stesso punto in occidente: non avrebbe la forza politica ed economica di reggere le conseguenze. E’ un fatto, però, che Mosca interviene ormai sistematicamente per incoraggiare ed estendere ogni movimento che possa indebolire gli Stati membri dell’Unione europea e l’Unione stessa, certo non a vantaggio delle richieste dei manifestanti, ma a proprio unico profitto politico. Inoltre, il rischio che queste operazioni possano sfuggire di mano e portare a seri conflitti interni in qualche Stato europeo, andando anche oltre le intenzioni del Cremlino, non si può trascurare. Con l’arrivo di Donald Trump, su questi fronti l’azione degli Stati uniti si è allineata a quella di Mosca. Per quanto riguarda l’Italia, resta fuori dal circuito. Mosca può contare, a Roma, su un Governo largamente devoto alla sua visione del mondo. E’ difficile che la Russia senta il bisogno di intervenire nella Penisola per pilotare a proprio vantaggio movimenti di protesta, ci pensano gli italiani stessi.

Quanto alla Francia, è possibile che tra le rivendicazioni dei gilet gialli vi siano delle domande giustificate: rischiano di restare schiacciate fra i messaggi iperbolici e le logiche di influenza internazionale. Se il tremante discorso di Emmanuel Macron servirà a placare gli animi, si saprà presto.

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