Il flusso di migranti dall’Africa del nord non accenna a diminuire e causa forti discussioni in Europa. Nei dibattiti si parla di aiuto umanitario e di politica d’accoglienza. Non sono questi gli unici e migliori argomenti possibili. L’aiuto umanitario rappresenta solo – per usare un termine preso a prestito dal linguaggio tecnico – l’ultimo miglio di una rete ben più estesa.
Per quanto cinica possa apparire questa considerazione, il continuo ripetere l’appello umanitario innervosisce rapidamente i lettori e gli ascoltatori, non viene quasi più percepito e in molti luoghi suscita rifiuto. I barconi degli immigrati devono affondare con il loro carico? Questa non è, di principio, una grande questione umanitaria. Chi avvista nel Mediterraneo un barcone in difficoltà si trova di fronte a una decisione essenzialmente personale: devo salvarli, oppure voltare la testa e consegnarli così alla morte? E’ una decisione che spetta alla persona, sia essa il capitano di un piccolo peschereccio, un funzionario ministeriale o una guardia di confine. In questo contesto, le considerazioni sociali, politiche e umanitarie non giocano un ruolo prevalente. A essere interrogato è l’Uomo. Valgono le leggi della navigazione e il diritto penale. La domanda non ha così tante risposte, in verità.
Bisogna istituire un blocco navale nel Mediterraneo? Bisogna distruggere i barconi degli scafisti, che con il traffico di esseri umani conseguono enormi guadagni, mentre si trovano ancora nei porti nordafricani? Anche qui non c’entra la questione umanitaria. Un attacco militare nelle acque territoriali di un altro Stato e un blocco navale sono atti di guerra. Queste attività devono essere valutate dal punto di vista militare e del diritto internazionale. Le norme e le procedure sono note. Vogliamo farlo oppure no? Queste azioni porterebbero dei risultati?
Dobbiamo aiutare i Paesi d’origine dei migranti, affinché possano offrire ai loro cittadini un’alternativa credibile all’emigrazione economica o alla richiesta d’asilo? Chi governa quei Paesi? In Libia due governi si contendono il potere. Ampie parti di territorio siriano e iracheno sono dominate da un autoproclamato califfato che disprezza i più elementari diritti umani e ogni principio di diritto moderno. Regioni della Nigeria e dei Paesi circonvicini sono controllate da terroristi. Chi deve ricevere i nostri aiuti? Con quale ministro dobbiamo discutere piani di sviluppo e misure di sostegno? Se troviamo degli interlocutori sul posto, questi possono garantirci che gli aiuti contribuiscano concretamente allo sviluppo dei territori interessati? Che arrivino effettivamente a destinazione? Prima di procedere, bisogna trovare risposte a queste domande.
Il crescente flusso di migranti può suscitare le reazioni più diverse. Una visione meramente umanitaria sembra ogni giorno meno adeguata. Il problema non è quali Paesi dovrebbero ricevere quanti migranti, se lo faranno. Questa è una questione di dettaglio che una comunità europea di Stati con mezzo miliardo di abitanti può risolvere in brevissimo tempo, se vuole.
Piuttosto non dovremmo dimenticare che le migrazioni sono l’effetto collaterale, la conseguenza minore di un contesto internazionale che a quanto pare non viene ancora percepito in tutta la sua portata, e neppure rappresentato adeguatamente dai media. Ci si può certo lamentare del crescente numero di richiedenti l’asilo, ma le conseguenze peggiori degli sviluppi a cui assistiamo oggi in Africa, Medio oriente e persino al confine orientale dell’Europa ci sono state sinora risparmiate.
Una strategia più consapevole, che lasci tutti i dettagli tecnici, come la distribuzione delle quote di migranti, il numero di guardie di confine europee nel Mediterraneo e altri calcoli ragionieristici, ai funzionari competenti, ma punti con serietà alle questioni di fondo, è urgentemente necessaria.
Achille A. says:
Vorrei che mi aiutasse a capire in che modo, nel quadro da lei descritto, entra in gioco il diritto penale. Supponendo che la decisione di salvare dei migranti in pericolo sia, come lei scrive, fondamentalmente personale, e che io capitano di una nave civile possa anche scegliere di ignorarli, sarò perseguibile se non presto loro aiuto? E il fatto che io venga perseguito dipende solo dal fatto che qualcuno (e chi?) possa denunciarmi e che io sia giudicato colpevole del reato di mancato soccorso? E se io non offro il mio aiuto e «tiro diritto,» lasciando che il barcone affondi con tutti i migranti (e nessuno può o vuole denunciarmi), dal punto di vista giuridico la questione può dirsi chiusa? Grazie dell’attenzione e – al di là della questione specifica – complimenti per il suo lavoro.
Marta says:
Interessante articolo. Le dico la mia opinione. Quella di donna quarantenne, disoccupata, mamma sola di un bimbo in tenera età. Viviamo per ora del mio misero assegno di mobilità e di qualche ora al mese di ripetizione a ragazzi benestanti e poco volenterosi. Nessuno mi paga una stanza in un albergo, ma devo pagare puntualmente la rata del mutuo, e se dovessi ritardare di pochi giorni verrei iscritta sul libro nero dei cattivi pagatori con conseguenze perenni. Nonostante una laurea a pieni voti presa senza frequentare poiché fortunatamente lavoravo 60 ore la settimana per campare (ebbene sì… anche noi italiani spesso veniamo pagati 4 euro l’ora, ma la cosa non fa rumore…), non c’è lavoro. Nulla. E l’assistente sociale ai minori, invece di offrire un qualche misero aiuto, mi ha costretto a fare frequentare al bimbo il nido, per ovviare alla mancanza paterna e aiutarlo a socializzare. Quindi altri 250 euro al mese da trovare. Mi sto indebitando sempre più, conto i biscotti che mangiamo io e il bimbo, compero solo cibo con il 50% di sconto per l’imminente scadenza. Ci chiudiamo in casa (almeno fino a quando l’abbiamo) perché uscire vuol dire spendere benzina, o comunque trovi sempre qualche conoscente che ti invita al bar o a qualche serata in famiglia…. che ti costerà il fatto di dover ricambiare il favore. Tanto il bimbo al nido non lo sto mandando più, visto il fatto che i soldi per la benzina per portarcelo sono finiti, e attendo che la tirata di orecchi dell’assistente sociale diventi una segnalazione. Che cosa c’entra col problema dei migranti? Che gli italiani si sono rotti le palle di finire per strada mentre gli ultimi arrivati, gente senza né arte né parte, senza istruzione, senza professionalità, e senza voglia di lavorare (andate a vivere un poco nei loro paesi e vedete che «anda» tengono) arrivano con le Nike ai piedi e il telefonino che va su internet (entrambe cose mai viste qui da me) e pretendono casa, cibo, vestiti nuovi, scheda per il telefonino e soldi per le sigarette. Attenzione che il buonismo sta finendo. Non ci sono soldi per dare lavoro e un reddito dignitoso agli Italiani, ma si trovano soldi per questa gente. Strano, no?
Marta says:
Mi scusi ancora Luca, ma mi sembra molto discutibile la risposta per cui è meglio che un italiano muoia di fame sotto un ponte piuttosto che un africano ucciso dai tagliateste. Sembra che Lei voglia fare una classifica di quale morte sia la migliore e quale la peggiore… Intanto in Italia dovrebbero essere preminenti i diritti degli italiani. Gli altri vengono dopo. Se rimane ancora qualcosa. I nostri genitori, i nostri nonni hanno combattuto per ricacciare nei loro Paesi gli invasori (e cominciamo a chiamare le cose col loro nome) e poter dare un futuro migliore ai loro figli e nipoti:noi. Lei come chiamerebbe una donna che già avendo numerosi figli a cui non riesce a dare né cibo, né un letto, né le cure mediche… continua ad accoppiarsi allegramente e figliare promettendo ai nuovi figli una vita migliore togliendo ancora e ancora ai primi figli disgraziati? Io la chiamerei in molti modi che non Le sto qui ad elencare. Uno Stato deve occuparsi dei suoi figli. Poi, se a fine anno avanza qualcosa, ben vengano le donazioni alle varie associazioni sparse per il mondo. Ma solo dopo ed eventualmente. Chi arriva fino a qui sui barconi non sono i bambini denutriti, quelli resteranno a morire nel deserto. Chi arriva qui sono i borghesi panciuti con migliaia di euro in tasca da dare agli scafisti. Perché? Perché qui si regala tutto pur di fare bella figura. E l’Italia promette vitto, alloggio, telefonino che va su internet e sigarette di marca… senza fare nulla dalla mattina alla sera. Si tratta quasi sempre di persone senza una professionalità a livello europeo, senza una buona scolarizzazione. Donne perennemente nullafacenti e dalla gravidanza facile. Uomini rissosi che preferiscono la delinquenza al duro lavoro. Perché, ricordiamocelo, in Africa sono pochi quelli che vivono le difficoltà del deserto. Là ci sono fiumi, laghi, terre fertili, animali di tutti i tipi. Basterebbe lavorare per avere tutto quello che serve. Invece è proprio la voglia di lavorare che là manca. Scappano, da chi? Da loro stessi. Da nazioni che loro stessi non hanno saputo educare, controllare, gestire. Fazioni da sempre in lotta che continueranno a farsi le stesse lotte qui da noi, se dovremo accogliere cani e porci. La libertà è una lotta. Che loro non vogliono fare perché tanto qui si campa gratis. In attesa che Lei mi suggerisca la morte più leggera per me e mio figlio (perché laddove io dovessi perdere le mie lotte, è questo il futuro che ci aspetta, anche se ai benpensanti come Lei queste parole sono brutte da sentire), Le auguro una buona giornata.
Achille A. says:
Grazie infinite per la compiutissima risposta, Luca. Se ora capisco meglio in che modo, in pratica, il diritto si leghi ai migranti e al loro salvataggio, mi pare altresì evidente che la soluzione (nonché la prevenzione) del problema, nel duplice aspetto delle morti in mare e dell’afflusso incontrollato, debba essere politica. Semplificando, lei ritiene dunque che l’Italia e l’Europa tutta sarebbero benissimo in grado di gestire efficacemente la questione, se solo lo volessero? Personalmente, ritengo anch’io che uno Stato non debba fare «accoglienza,» ma che debba salvare chi è in pericolo e riconoscere l’asilo a chi ne ha diritto, sulla base delle leggi locali e delle convenzioni internazionali che tale Stato ha sottoscritto; credo, inoltre, che le migrazioni di massa vadano prevenute con la cooperazione internazionale, attività questa che non dovremmo incominciare solo oggi (Aggiungo, poi, che anche la risoluzione dei drammatici problemi descritti da Marta dovrebbe far parte, e non da oggi, dell’agenda di governo di un Paese civile, e sono d’accordo con Lei che ciò non è in contraddizione con la gestione dei flussi migratori, perché entrambe le politiche fanno parte dell’interesse nazionale). Lei, che vive in Svizzera, potrebbe cortesemente riassumerci l’approccio adottato, in quel Paese, nel differenziare i migranti economici dai richiedenti asilo? I centri di identificazione (o come si chiamano in Svizzera) funzionano, lì? E qual è l’atteggiamento della popolazione locale nei confronti degli asilanti? Un’ultima domanda: lei non crede che per l’Italia la questione sia complicata dall’avere una frontiera meridionale costituita da un braccio di mare? Se uno cerca d’introdursi in Svizzera attraversando di nascosto il confine tra Como e Chiasso, non rischia certo la vita. Gli Svizzeri sarebbero forse un po’ meno efficaci nel tenere sotto controllo il fenomeno, se il Canton Ticino fosse una penisola che si estende nel Mediterraneo?