Il 4 dicembre i cittadini italiani sono chiamati a decidere sulle modifiche costituzionali proposte dal Governo. La consultazione ha conseguenze sul già debole ruolo internazionale dell’Italia, tra orientamenti più europeisti e altri marcatamente filorussi. Una tappa su un percorso partito dalla Moldova, passato in Bulgaria e che giungerà alle votazioni in Francia e Germania.
Le modifiche proposte sono, essenzialmente, le seguenti:
- Una delle due camere del Parlamento, il Senato, viene riorganizzata in modo quasi analogo al Bundesrat tedesco; il numero dei senatori passa da 315 a 100; il procedimento legislativo si svolgerà principalmente nella Camera dei deputati, il Senato si comporrà di rappresentanti dei Governi regionali e deciderà su questioni di interesse locale ed europeo;
- Le Province vengono abolite. Le loro funzioni vengono assunte in parte dal Senato e in parte da Regioni e Comuni. Per il resto i Comuni possono associarsi in enti di area vasta, somiglianti ai Landkreis tedeschi; le grandi città metropolitane avranno un proprio status;
- Il rapporto tra il Governo centrale e i Consigli regionali muta verso un più severo controllo da parte dello Stato centrale sulle amministrazioni delle Regioni; il Consiglio nazionale dell’economia e del lavoro (CNEL) viene abolito, le sue funzioni sono già svolte da altri organi e consessi.
Altre modifiche servono all’attuazione di questi scopi principali, pertanto non richiedono di essere esposte qui nel dettaglio.
Che la riforma possa rendere più celeri ed economicamente efficienti i bizantini processi decisionali della Repubblica dei limoni fioriti di Goethe, non è cosa automatica. Chi vuole impedire che una legge venga promulgata, perché lede gli interessi della sua corporazione, riuscirà in questo intento, in un modo o nell’altro, anche dopo la riforma del procedimento legislativo: a Roma l’inventiva non manca. Se i nuovi enti locali si dimostreranno più economici delle vecchie Province, dipenderà dal modo in cui gli uomini li amministreranno. La cattiva gestione delle Regioni è stata causata da consiglieri regionali che sono stati eletti per nome e cognome dai cittadini: le elezioni regionali, infatti, avvengono ancora con il sistema delle preferenze nominali. Finché i cittadini non voteranno uomini migliori, corruzione e crimine organizzato permarranno. La possibilità che le modifiche della Costituzione producano effetti dipende più dalle condotte umane, che dalla sostanza delle modifiche stesse.
Uno dei rimproveri più forti mossi ai sostenitori della riforma concerne il timore del sorgere di un regime autoritario. Dopo l’entrata in vigore della riforma costituzionale, il Governo dovrebbe acquisire maggiore capacità di azione ed essere in grado di muoversi in modo analogo a quelli di altri Paesi europei, cosa che attualmente non accade. Per sé, l’intenzione è buona. Il rafforzamento dell’esecutivo, tuttavia, serve a poco, se la qualità dei provvedimenti del Governo resta lamentevole. Che le nuove norme possano aprire le porte a una dittatura sembra, come argomento contrario, sinceramente esagerato. I dittatori ignorano lo Stato di diritto e conquistano il potere senza badare agli articoli costituzionali. Gli organi di controllo della Repubblica, tra i quali la Corte costituzionale e il Capo dello Stato, mantengono le loro funzioni di sorveglianza. L’Italia resta una democrazia occidentale. La prima parte della Costituzione, nella quale sono fissati i principi, non viene modificata. Tutto ciò per quanto riguarda gli aspetti interni.
Il referendum italiano ha acquisito un notevole significato geopolitico. E’ una novità, per un Paese che da decenni si trascina ai margini degli accadimenti internazionali. Tre punti, sotto questo profilo, mi sembrano importanti.
La prospettiva globale. Tutti i Paesi – davvero tutti i Paesi – abbisognano di riforme. Nessuno Stato è davvero pronto per le sfide dell’economia e della società globalizzate. L’Italia ha necessità di riforme più di altri. L’argomento con il quale la maggioranza degli italiani giustificava sinora la cattiva situazione della Penisola suonava più o meno cosi: il Paese, certo, deve essere riformato, ma i «politici» non vogliono farlo. Ora si presenta ai cittadini stessi l’opportunità di dimostrare che sono pronti a mettersi in gioco. Se gli elettori respingono questa riforma, per il resto del mondo ciò significa che il popolo ha interessi prevalenti per il mantenimento dello status quo, e che in fondo non è così insoddisfatto per i malanni del suo Paese. Questo è il messaggio che passerà, in caso di rifiuto della riforma, indipendentemente dai contenuti della riforma stessa. Chi ripresenterà piani di riforma e quando? Cosa sarà delle altre riforme, ad esempio quella della giustizia e quella del fisco? L’Italia è un Paese relativamente piccolo, con un sonnolento mercato interno, bisognoso di investimenti internazionali e di mercati di esportazione. Ci si può credere o no, ma gli investitori internazionali attendono risposte concrete a queste domande. Non è questione di propaganda.
Le relazioni interne europee. Il giovane ed egocentrico Capo del Governo italiano ha commesso un errore simile a quello del suo collega inglese, David Cameron. Ha puntato su un referendum la cui portata può essere valutata correttamente solo da una limitata parte di elettori. Se la sua proposta di riforma viene respinta, ad attendere Renzi c’è la stessa disonorevole ritirata toccata al suo coetaneo di Londra. Un altro fallimento dei quarantenni. L’Europa, il 4 dicembre, vivrà ancora un caso di democrazia stocastica: l’esito della votazione sarà deciso dalla casualità e sulla base di fattori estranei all’oggetto, in un contesto di grossolana manipolazione del consenso. Chi potrebbe salire al potere dopo Renzi, a Roma? La possibilità che possano imporsi forze che, al falso grido Make Italy great again, rimettano in discussione il rapporto dell’Italia con l’Unione europea e la zona euro, è concreta. Un messaggio di questo tipo, oggi, troverebbe favorevole accoglienza presso fasce non trascurabili di popolazione. Le conseguenze non sono prevedibili.
Il ruolo della Russia. L’importanza del referendum italiano per Vladimir V. Putin può essere colta solo se si è introdotti nella visione del mondo del Presidente russo. A Mosca non si sono mai avvistati così tanti politici e capipartito italiani come negli ultimi mesi, tutti provenienti dalle fila della campagna per il «no» al referendum. Se questi esponenti politici, come altri loro colleghi occidentali antieuropei, vengano sostenuti dalla Russia economicamente, non si può provare. Che a Mosca essi abbiano udienza presso intellettuali, parlamentari e membri di Governo di alto rango, che vengano loro offerte tribune comiziali presso importanti media e agenzie di stampa nazionali russe, è un fatto. Tutti questi raggruppamenti italiani ed europei, siano essi di sinistra, destra, estrema sinistra o destra, populisti o non importa cosa, hanno in comune un intento: puntano all’indebolimento o scioglimento dell’Unione europea e dell’euro, a favore di un contemporaneo avvicinamento dei loro Paesi a Mosca e all’Unione eurasiatica. Tutti i partiti della campagna del «no» in Italia sostengono, con diverse sfumature, questa medesima tesi. Un tale stato di cose si rispecchia fedelmente ogni giorno nei media russi: leader di partiti italiani che finora hanno raccolto percentuali minime e novellini della politica privi di formazione vengono elevati, nei notiziari di Mosca, a candidati a capo del Governo o a portatori delle speranze dell’Italia nel nuovo ordine mondiale. Se Renzi cade, Putin punterà su questi uomini: incauti arrivisti della politica italiana che non riconoscono i rischi di tali loro condotte, per insufficienza di istruzione.
In Europa, le votazioni diventano sempre più delle scelte di campo tra il mantenimento dell’autodeterminazione dei nostri Paesi all’interno dell’Unione europea e la rinuncia all’Unione europea, a favore dell’attrazione, come satelliti deboli e isolati, nell’orbita della Russia. Gli elettori non decidono tra un candidato presidente e un altro, fra il partito A e il partito B, a favore o contro una riforma costituzionale. Decidono, nei fatti, il campo geopolitico al quale il loro Paese apparterrà a lungo termine. Se si colloca il referendum italiano nella prospettiva europea, si riconosce che esso, cronologicamente, è in realtà il primo grande appuntamento elettorale nell’Europa occidentale con questo chiaro sfondo geopolitico. La stessa fattispecie si è osservata alcune settimane or sono durante le elezioni in Moldova e in Bulgaria. Dietro alle maschere scolorite dei simboli tradizionali di partito, vi erano dei candidati apertamente schierati come filorussi o filoeuropei. I filorussi, dotati di stabili connessioni con Mosca, hanno vinto. Il referendum italiano è un’altra puntata di questa serie: dietro al «no» ci sono i filorussi, dietro al «sì» i filoeuropei. La prossima, maggiore tappa di questo percorso saranno le elezioni presidenziali in Francia, nel 2017. La signora Le Pen e i suoi colleghi di partito sono ospiti fissi in Russia. Che il partito dell’estrema destra francese abbia ricevuto prestiti di denaro da Mosca è dimostrato. Il partito stesso ha dovuto ammettere i suoi legami con fonti di finanziamento russe.
Concludendo: per riformare la Costituzione, in Italia, non è obbligatorio un referendum. Ci si sarebbe attesi da Parlamento e Governo il coraggio necessario per approvare le riforme che ritenevano necessarie, attuarle nel più breve tempo possibile e assumersene una chiara responsabilità. Tutto il contrario. Come già avvenuto per la Brexit, anche in Italia un Capo di governo asceso troppo rapidamente ha affidato questioni di notevole importanza interna e di portata geopolitica difficilmente valutabile alla decisione dei cittadini, la cui opinione si formerà in gran parte secondo criteri estranei all’oggetto della votazione. L’attività di manipolazione del consenso tramite i social media è in pieno svolgimento. L’esito del referendum suscita apprensione in Italia e fuori.
I capi dei Governi possono dimettersi e scomparire dalla scena politica. I Paesi rovinati dal malgoverno restano dove sono. I loro cittadini dovranno convivere per generazioni con le conseguenze di strategie fallimentari. Non potranno neppure lamentarsene, perché, con il voto, avranno messo «democraticamente» il sigillo sul proprio destino.
| >Originale in lingua tedesca (traduzione italiana dell’autore)
Paola says:
Finalmente un’analisi lucida, completa e obiettiva della situazione. È un peccato non trovarne del genere sui giornali italiani. Importante e inedita, per quanto mi riguarda, la rivelazione delle frequenti visite in Russia di aspiranti scalatori della nostra scena politica: sinceramente lo ignoravo.
Fausto says:
Salve Luca,
Per cambiare la Costituzione è obbligatorio il referendum se il parlamento non approva la riforma con la maggioranza qualificata. Questo per impedire che il governo di turno cambi a piacimento la Costituzione. Detto questo, se c’è un Paese che non è immobile è proprio l’Italia, dove sono più di vent’anni che si fanno riforme: leggi elettorali, mutamenti dei poteri di sindaci e presidenti di Regione, Province elettive già abolite e soprattutto tanta «flessibilità» sul lavoro che ha abolito l’art. 18 senza abolirlo. Poi l’impoverimento dovuto al raddoppio dei prezzi con l’avvento dell’euro e infine la crisi, che sta per compiere 10 anni e che non si risolverà portando l’IVA al 25% nel 2018 per rispettare gli assurdi parametri dell’euro.
Concordo con lei sull’eccessiva vicinanza alla Russia, anche del Movimento 5 Stelle cui sono iscritto (ma non sono un troll!), che è più trasparente degli altri ma che nondimeno mi lascia perplesso su questo punto. L’attività della Russia citata anche nella «Relazione sulla comunicazione strategica dell’Ue per contrastare la propaganda nei suoi confronti da parte di terzi» esisterà pure, ma a me non sembra che la propaganda pro-Europa sia da meno, solo che avviene in modo più sottile. Ad esempio, ogni volta che c’è un voto democratico in un Paese i media si preoccupano di come reagiranno «i mercati,» ovviamente una decisione contraria a quella dei governi è sempre preoccupante per investitori ecc.
Il voler mettere il referendum italiano sullo sfondo geopolitico (per quanto possa esistere), non è anch’esso formare un’opinione «secondo criteri estranei all’oggetto della votazione?»
Caro Luca, nel tempo ho purtroppo visto la differenza di punti di vista che ci separa, tuttavia continuo a leggerla perché penso che i suoi ragionamenti siano un’ottima disciplina mentale (per dirla così). Spero che pubblicherà il mio commento, che ho cercato di sintetizzare al massimo. Cordiali saluti.
Francesco Toscano says:
Egregio sig. Lovisolo,
La leggo da tempo e La ringrazio per questa analisi, sia per quanto riguarda il testo centrale che il commento in risposta al lettore. Lei ha fatto luce su un aspetto, quello geopolitico, di straordinaria importanza. Grazie.
Paolo Troiani says:
La ringrazio veramente tanto del suo commento […], quasi spietato direi. […] Le scrivo da italiano esterofilo e traduttore economico-giuridico che si confronta spesso con le analisi macroeconomiche globali e che già ha constatato ripetutamente quanta attenzione ci sia verso il referendum e quanta paura faccia la Quitaly o Italexit. […] Perché mai un acuto osservatore internazionale come l’Economist […] ci viene a dire in prima pagina, a quasi una settimana dal 4 dicembre: «Why Italy should vote no to its referendum,» salvo poi rimangiarsi a metà quello che ha scritto […]?
I fautori del «sì» sanno benissimo che se si entra nel merito hanno gioco facile a dimostrare quanto meno le buone intenzioni di una riforma che, seppur perfettibile, è l’unica che possiamo ora approvare. I fautori del «no» lo sanno altrettanto bene, e malgrado mi sforzi di convincermi del contrario, le loro argomentazioni si possono, in sintesi ricondurre a: 1) la potevate fare meglio ‘sta riforma […] 2) arriva l’uomo forte […] 3) Renzi vai casa che voglio prendere il tuo posto. No comment.
Paola Petrino - Torino says:
La tua analisi è puntuale e coerente e scritta davvero bene. Tornerò a leggerti! Paola