Perché la «lettera ai tedeschi» è un fatto grave

L'annuncio pubblicato da politici italiani in Germania
Berlino, Porta di Brandeburgo | © Ansgar Scheffold

Non si tratta di essere «pro o contro l’Europa» ma di rilevare i fatti e i danni causati da disinformazione e piccolezza degli uomini. Un gruppo di politici italiani di diversi partiti pubblica un annuncio su uno dei massimi quotidiani tedeschi. Il gesto è errato nel merito e nel metodo. Le trattative sono ancora in corso. Interventi a gamba tesa sono distruttivi. Nel 1953 il debito tedesco non fu ridotto per buon cuore.


Sul fronte «Italia contro Europa» si registra un episodio molto penoso. Mi ripeto: non si tratta di essere «pro o contro l’Europa» o di «difendere l’Unione europea e la Germania» e altre scemenze, ma di rilevare i fatti e i danni causati dalla disinformazione e dalla piccolezza degli uomini. Un gruppo eterogeneo di politici italiani di diversi partiti, anche opposti, sindaci e governatori che in questi giorni avrebbero altro da fare, ha pubblicato ieri, 31 marzo, su una pagina intera di uno dei massimi quotidiani tedeschi, un annuncio in grande evidenza.

Insieme ad altre amenità che non voglio commentare per rispetto dell’intelligenza dei miei lettori, il punto chiave del messaggio si lascia sintetizzare così: «Poiché molti Stati nel 1953 accettarono di ridurre e rateizzare il debito pubblico della Germania uscita disfatta dalla Seconda guerra mondiale, ora voi tedeschi dovete accettare forme di debito comune con l’Italia e gli altri Paesi, pur non condividendo i debiti passati.»

Questo goffo annuncio, che contiene anche un’aperta accusa all’Olanda, è errato nel merito e nel metodo. Analizziamo le ragioni.

L’annuncio è errato nel metodo, perché politici italiani che fuori dal loro Paese, con la sola eccezione di un eurodeputato, rappresentano solo se stessi, cioè nulla, si sono rivolti direttamente all’opinione pubblica di un altro Paese su una materia che è oggetto di contrasto e negoziazione tra i rispettivi governi. Se i Paesi contrari all’emissione di titoli di debito comuni modificheranno la loro posizione, dovranno renderne conto alle loro opinioni pubbliche: interventi a gamba tesa di questo genere sono distruttivi. Le trattative sono ancora in corso e nessuno ha detto no ad aiuti ai Paesi più colpiti dal contagio, anche se la narrazione data dai media italiani trasmette questa lettura. Si discute sulle forme, non sulla sostanza. Il messaggio è errato nel metodo anche perché accosta eventi privi di relazione, se non all’apparenza: è ingenuo e superficiale, da chiacchiera di portineria, derivare conclusioni per gli eventi di oggi da fatti di settant’anni fa che ebbero natura, dimensione e contesto del tutto differenti.

Il messaggio è poi errato nel merito, perché nel 1953 il debito tedesco non fu ridotto per «solidarietà» e buon cuore. Fu sì dimezzato, ma a fronte di pesanti e concrete contropartite, tenendo conto che: a) dopo la guerra la Germania aveva già subito la perdita di settori chiave d’infrastruttura industriale, i suoi stabilimenti erano stati smontati e trasferiti nei Paesi vincitori, insieme a brevetti industriali tedeschi per un valore di miliardi; b) milioni di tedeschi caduti prigionieri di guerra avevano prestato per anni lavoro forzato nei Paesi aggrediti, anche dopo la fine del conflitto e c) la Germania era stata spartita in quattro zone di controllo, pertanto aveva perso la sovranità; inoltre, era stata privata di intere province, annesse definitivamente a Paesi confinanti, e, dal 1949, era stata divisa in due Stati, perciò aveva perso anche l’integrità territoriale, situazione perdurata sino al 1991.

Preso atto di tutto ciò, nella Conferenza di Londra del 1953 si decise che il risarcimento del debito pubblico della Germania poteva essere ridotto: ciò fatto, sull’importo rimanente furono accordate alla Germania rate di pagamento che fossero concretamente sopportabili in tale condizione, che non le impedissero di risollevarsi e di contribuire alla ripresa dell’economia europea. Il ricalcolo, inoltre, non fu senza condizioni: nel 1953 la Germania, pur formalmente indipendente e governata da civili sin dal 1949, era ancora sotto stretto controllo militare ed economico di Stati uniti, Francia e Regno unito, che vigilavano minutamente sulla condotta del Paese. La vigilanza della «trojka» di oggi, rispetto a quella, sarebbe una carezza.

Inoltre, la questione del debito era solo l’ultima tappa di un processo di ristrutturazione che permetteva di avere fiducia nella ripresa della Germania, come effettivamente fu. Su questa base, i tedeschi hanno pagato e finito di saldare le rate del loro debito nel 2010. Non vi è stata, pertanto, alcuna riduzione bonaria del debito tedesco, se non nelle menti di chi non legge i manuali di storia. Una fonte tra le tante? AAVV. – The economic consequences of the 1953 London Debt Agreement. European Review of Economic History, 23/1, febbraio 2019 (>qui).

L’Italia, oggi, non ha condizioni che creino una tale fiducia nella sua capacità di gestire il debito, per tacere di tutto il resto del contesto storico ed economico di allora, neppur lontanamente paragonabile all’oggi. Ricalcolato il debito, la Germania si riprese. E’ vero che oggi la costituzione di debito comune europeo per contrastare la crisi del Coronavirus varrebbe per il futuro e non per i debiti esistenti, ma condividere con l’Italia un debito, pur solo futuro, significherebbe che Roma tapperebbe un buco, ma tra non molto tornerebbe a chiedere altri soldi, poiché dimostrabilmente incapace e non intenzionata a rimuovere gli ostacoli amministrativi, politici e sociali al suo sviluppo, non da ieri ma da decenni.

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Infine, come ognuno ricorda, tranne forse i baldanzosi italiani autori di quel pistolotto sul giornale tedesco, fino all’otto settembre 1943 l’Italia, in guerra, della Germania fu stretta alleata: della disfatta tedesca postbellica, perciò, l’Italia fu almeno in parte corresponsabile. Ragioni di opportunità avrebbero consigliato di non rivangare quella pagina di storia comune, che non fa onore a nessuno. Immaginarsi spararla su un quotidiano a tutta pagina.

I tedeschi conoscono la storia del loro debito e quella della guerra. La pubblicazione dell’annuncio degli inavveduti politici italiani sta suscitando reazioni tra l’incredulo e lo sbalordito. S’immagini che domattina, sul Corriere della sera, compaia a caratteri cubitali un testo scritto da politici tedeschi emeriti sconosciuti che discettano di storia d’Italia confondendo Giuseppe Garibaldi con Giuseppe Verdi. Una delle prime testate tedesche a reagire alla trovata italiana è stata la Bild, un giornale scandalistico che stampa quasi un milione e mezzo di copie e non perde occasione per premere sull’acceleratore dei sentimenti più truci. Staremo a vedere cosa accadrà nei prossimi giorni.

In un momento in cui l’Italia ha massimo bisogno di fiducia presso i governi e le opinioni pubbliche europee, dinanzi a un intervento pubblico come questo gli altri europei si chiedono, a ragione, quali uomini siano al timone a Roma, se di uomini politici si può parlare. Altro, che condividere debito, passato o futuro che sia. Gli italiani sono convinti di essere oggetto di discriminazione e odio in Europa: se ne sono autoconvinti a forza di guardare i servizi delle televisioni italiane intrisi di propaganda filorussa e di passare ore su Facebook e WhatsApp, ma questo è un loro problema, la realtà per fortuna è diversa. Un messaggio così, nato da impreparazione e vittimismo autoindotto, fuori dai confini italiani è inspiegabile e dannoso. Ridicolizza non solo i suoi autori, ma un Paese intero, mentre sono in corso negoziati delicatissimi.

Questo episodio è da ricondurre a politici che si sono anche fatti apprezzare, per le loro capacità organizzative e tecniche, indipendentemente dal loro schieramento di partito. Il Coronavirus sta mettendo in luce tutta la piccolezza degli uomini cresciuti e istruiti negli anni Ottanta, all’insegna della superficialità, del disprezzo per un pensiero saldamente radicato nella cultura, a vantaggio dell’efficienza e dell’arrivismo. Essere bravi a fare interviste, a organizzare letti d’ospedale, a dirigere un municipio o un ministero non significa ancora essere uomini politici e ancor meno essere uomini di cultura. In tempi di ordinaria amministrazione, forse può bastare. Quando il gioco si fa duro, i duri cominciano a giocare, ma i duri non ci sono.

Non è l’efficienza, non è l’abilità tecnica, ma la cultura, che permette di pesare atti e parole, se si deve guidare una collettività quando il gioco si fa durissimo. Se l’Europa dovesse davvero cadere per effetto del Coronavirus, lasciando i suoi Stati in balia di potenze autoritarie che non aspettano altro, la causa non andrà cercata nelle sue istituzioni, che hanno molti difetti ma si possono migliorare.

A causarne la fine saranno i nanerottoli della Storia che gli elettori hanno votato a governarli, figli, gli uni e gli altri, di decenni di incuria intellettuale.

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Il mio corso «Capire l'attualità internazionale» accompagna chi desidera comprendere meglio i fatti del mondo. Con il corso «Il diritto per tradurre» comunico le competenze giuridiche necessarie per tradurre testi legali da o verso la lingua italiana.

Commenti

  1. Mario Rusca ha detto:

    Complimenti per l’esposizione chiara, sintetica e precisa che una volta di più ci fa sentire orgogliosi di avere connazionali preparati ed onesti nel saper collocare le pedine della Storia al giusto posto. Questo Suo articolo dovrebbe essere tradotto in tedesco e pubblicato sulle principali testate tedesche e anche sulla Bild che tanto risalto (scandalistico) ha dato al malaugurato articolo che improvvidi italiani hanno fatto con la loro invasione di campo. Complimenti a Lei! Mario Rusca

  2. Silvio ha detto:

    Perfetto, come sempre. Grazie

  3. Maria Agnese Pistoia ha detto:

    La ringrazio di questo articolo, denso di fatti, che mi ha insegnato molto; esemplifica tre doti che mancano a molti rappresentanti del popolo, pur dando per scontato che siano guidati da ideali democratici e non da interessi personali: la cultura storica, la capacità di presentare con chiarezza le proprie opinioni e le buone maniere nell’esporre le critiche. Spero che i firmatari della “lettera ai tedeschi” e molti altri nostri politici leggano il Suo articolo.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie per l’apprezzamento. LL

  4. Sandro Savagnone ha detto:

    Avevo letto sulla Treccani molti anni fa la storia dei debiti di guerra della Germania. Una storia molto complessa e lunga, difficile da spiegare in due parole. Invece lei è riuscito a sintetizzare il tutto in modo chiaro, comprensibile e allo stesso tempo esauriente. Ho condiviso il suo articolo sul mio profilo facebook. Un’ottima soluzione anche quella di disporre dell’articolo in versione audio. Le faccio i miei complimenti.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie. Si tratta effettivamente di una questione molto ampia. Non la si può certo riassumere in un articolo. Qui, almeno i dati angolari che servono allo scopo ci sono, senza aggiunta di interpretazioni fantasiose che non stanno da nessuna parte. Cordiali saluti. LL

  5. Lorenzo ha detto:

    Lucidissima analisi, complimenti.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie.

  6. Michele Pin ha detto:

    Ho scoperto, purtroppo, il suo sito solo un paio di giorni fa, ed è stata l’iscrizione più veloce della luce! Complimenti per la professionalità e l’ottima capacità di comunicazione scritta.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie per il Suo apprezzamento. LL

  7. Andrea Santangelo ha detto:

    Gentile Signor Lovisolo,

    Condivido la sua analisi, precisa, puntuale. Grazie della chiarezza.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie a Lei.

  8. Massimo ha detto:

    Complimenti: mi ha chiarito molte cose.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie.

      • Sylvia Christina ha detto:

        Finalmente un analisi al di sopra delle solite manipolazioni. Complimenti.

      • Luca Lovisolo ha detto:

        Grazie. LL

  9. Emilio ha detto:

    Peccato che certa stampa e non solo… offra intere praterie al seme del nazionalismo. Possibile che una generazione sia passata o quasi per dimenticare la storia!

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Sembra così.

  10. Sergio Nicola Dr Erne ha detto:

    Molto ben fatto, spero che ottenga l’attenzione dovuta

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie.

  11. Sabatino ha detto:

    Eccellente analisi assolutamente condivisibile. Complimenti.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie.

  12. Carmine Forcella ha detto:

    Ottima spoiegazione per i superficiali, ma anche per quelli che sanno poco e non vogliono approfondire.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie

  13. Luca Lovisolo ha detto:

    Alcuni lettori segnalano che questo articolo non terrebbe conto di una fantomatica cancellazione del debito tedesco, che sarebbe avvenuta con la riunificazione della Germania nel 1991. Nel 1991 non vi fu alcuna cancellazione. Come spiegato nell’articolo, nel 1953 il debito tedesco era stato in parte ridotto perché la Germania era stata divisa in due Stati. Fu, appunto, ridotto, non condonato. La quota di riduzione fu congelata e i tedeschi avrebbero dovuto pagarla al momento di una futura riunificazione. Avvenuta la riunificazione tedesca nel 1991, la Germania ha riconosciuto quella parte di debito e l’ha rateata in 20 anni. Questa è la quota di cui ha saldato l’ultima rata nell’ottobre del 2010 e a cui ci si riferisce anche nel testo. La materia è complessa, perché è necessario distinguere numerose partite, periodi storici e nature di debito, tenendo conto delle successioni giuridiche fra i diversi Stati tedeschi dal 1919 a oggi. I riferimenti vanno ricercati esclusivamente in fonti ufficiali, fonti giornalistiche o non professionali sono spesso imprecise e parziali.

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Con le mie analisi e i miei corsi accompagno a comprendere l'attualità globale chi vive e lavora in contesti internazionali.

Tengo corsi di traduzione giuridica rivolti a chi traduce, da o verso la lingua italiana, i testi legali utilizzati nelle relazioni internazionali fra persone, imprese e organi di giustizia.

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