Italia-Cina e Via della seta: ecco cosa non va

Xi'an, l'esercito di terracotta | © Aaron Greenwood
Xi’an, l’esercito di terracotta | © Aaron Greenwood

Il momento più alto della visita di Stato del presidente cinese Xi Jinping a Roma non è stata la firma della dichiarazione d’intenti per l’aggregazione dell’Italia alla Nuova via della seta. Pechino investe all’estero, ma vuole che il suo denaro resti prioritariamente nel proprio ciclo economico. Maggiori esportazioni verso la Cina presuppongono degli imprenditori competenti e lungimiranti.


Il momento più alto della visita di Stato del presidente cinese Xi Jinping a Roma non è stata la firma della dichiarazione d’intenti per l’aggregazione dell’Italia al maxiprogetto della Nuova via della seta. E’ giunto nel Palazzo del Quirinale, a margine dell’incontro con il capo di Stato italiano, Sergio Mattarella, quando la giornalista ed esperta di Paesi orientali Giulia Pompili ha incontrato il funzionario dell’ambasciata cinese in Italia Yang Han. Non lo conosceva, ma lui conosceva lei. «Devi smettere di parlare male della Cina,» dice alla giornalista. Le dà del tu e parla correttamente italiano.

La giornalista pensa che si tratti di una battuta ironica, allunga la mano destra sorridendo per presentarsi al funzionario cinese. Lui rifiuta il gesto e rimarca: «Devi smettere di parlare male della Cina» poi aggiunge: «Non devi ridere. La presentazione non serve, so benissimo chi sei.» Quando la giornalista prova a estrarre dalla tasca il proprio cellulare, il funzionario le si avvicina ulteriormente e le intima di rimettere via l’apparecchio. Ho preso contatto personalmente con la signora Pompili, mi ha confermato nei dettagli l’accaduto (per chi vuole il racconto dalla sua voce: >qui e >qui).

Questo è lo stile degli uomini con i quali l’Italia si sta mettendo. Da questi, molto probabilmente e in un futuro non lontanissimo, dipenderà economicamente. Non per una fornitura di qualche scatola di piselli, ma per importanti investimenti in infrastrutture strategiche sul proprio territorio. L’errata valutazione degli italiani poggia essenzialmente sui punti seguenti.

«Gli investimenti cinesi ricadranno sulle imprese italiane e l’economia italiana fiorirà.» – Ciò avverrà in misura minima o non avverrà affatto. Nella costruzione delle infrastrutture che la Cina finanzia in Africa e America latina, a fare la parte del leone sono le imprese cinesi. Pechino investe all’estero, ma vuole che il suo denaro resti prioritariamente nel proprio ciclo economico. Ciò che di queste risorse ricade sull’economia locale sono briciole dalla tavola del padrone. L’Italia non è l’Africa e nemmeno l’America latina, ma nel testo della dichiarazione d’intenti non è regolata alcuna attribuzione dei ruoli: chi costruirà cosa e come?

«L’Italia non esporta abbastanza in Cina, l’export verso l’Oriente deve essere sviluppato.» – Ciò può essere più o meno vero, ma non dipende dalla Nuova via della seta. Maggiori esportazioni verso la Cina presuppongono degli imprenditori competenti e lungimiranti, che l’Italia non ha e nessuna Via della seta potrà mai partorire. Altri Paesi europei investono ed esportano da decenni molto più dell’Italia, verso Pechino, il progetto Nuova via della seta non ha un ruolo chiave, da questo punto di vista.

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«Altri Paesi Ue hanno firmato una simile dichiarazione d’intenti, la Svizzera ha siglato con la Cina addirittura un accordo di libero scambio.» – Gli Stati europei che hanno firmato la partecipazione al progetto Nuova via della seta sono molto più piccoli. L’Italia è il primo Paese industrializzato del G7 che entra nel progetto cinese. Il peso del Paese è maggiore e il governo di Roma suscita preoccupazioni a causa dell’inesperienza e della competenza forse non sufficiente dei suoi decisori. Il progetto Nuova via della seta non è un accordo di libero scambio: gli Stati partecipanti si impegnano in investimenti infrastrutturali sul proprio territorio, finanziati da crediti cinesi. Pechino attenderà il rimborso delle somme prestate.

«Non ci stiamo impegnando a niente: la dichiarazione d’intenti ha solo valore commerciale, non ha scopi vincolanti di carattere politico o giuridico.» Chiacchiere. Un accordo internazionale di tale dimensione è un fatto politico di per sé. Il documento è proprio ciò che nessuno vorrebbe leggere: un accordo senza alcuna cornice giuridica che stabilisca limiti chiari. Tutto resta sospeso nella vaghezza della chiacchiera politica.

«La Cina è sì una potenza autoritaria, ma con i cinesi si può parlare. Faremo in modo che le nostre norme ambientali vengano rispettate e siano garantiti i nostri interessi.» – Tornare al punto di partenza: chiedere alla signora Pompili con quanta facilità «si può parlare» con i cinesi.

In Italia si discute senza fine sulla costruzione di un tunnel ferroviario fra Torino e Lione: sottilizzazioni politiche, riserve ecologiche più o meno fondate, perizie dubbie emesse da periti ancor più dubbi. L’opera collegherebbe il nord industriale italiano al corridoio Lisbona-Kiev e poi all’Asia. Ora, questa struttura è rimessa in discussione, sebbene l‘Italia, per la sua costruzione, abbia diritto a finanziamenti europei (ne parlo >qui). Si accetta la possibilità di rinunciare a fondi europei già attribuiti, mentre con la Cina si contraggono debiti con obbligo di restituzione.

Nessuno contesta che la Nuova via della seta offra anche delle opportunità. La Germania e la Francia discuteranno prima insieme l’adesione al progetto. Ad aprile si discuterà della Nuova via della seta a livello europeo. Non vi è alcun motivo logico per il quale l’Italia debba scostarsi dai maggiori Stati dell’Unione europea e associarsi alla Cina da sola.

L’unica intenzione riconoscibile di un tale nonsenso è lo spostamento dell’asse della politica estera italiana. Il governo di Roma sta attuando il programma che i suoi ministri cercano di dissimulare sin dall’inizio del loro mandato con un infinito cumulo di parole: dividere passo dopo passo l’Italia dall’Unione europea e associarla al club delle potenze orientali autoritarie, Russia e Cina. Un bisogno malato d’imporsi, in una classe politica che minaccia di precipitare il Paese in un futuro da incubo. Restano aperte, tra le tante, le domande seguenti, molto concrete:

– Chi avrà il controllo delle infrastrutture, l’Italia o la Cina? Non mi riferisco solo al controllo economico o alla proprietà privatisticamente intesa. Le infrastrutture sono parte del territorio di uno Stato ed elementi irrinunciabili del suo funzionamento. Chi comanderà sui porti, sulle antenne di telecomunicazione, sulle ferrovie, particolarmente nel caso di ritardati o mancati rimborsi dei crediti cinesi da parte dell’Italia? Gli Stati che si sono trovati in difficoltà nei pagamenti possono raccontare qualcosa.

– Qualcuno crede sul serio che l’Italia, piccolo Paese in costante carenza finanziaria con governanti ancora più piccoli, riuscirà vincente su Pechino, in caso di controversie, ad esempio sul rispetto di norme ambientali? La Cina di oggi non è più quella di alcuni anni fa, ma resta pur sempre un colosso di quasi un miliardo e mezzo di persone, nel quale lo Stato pompa denaro senza limiti nelle proprie industrie. Dall’altra parte c’è un Paese in difficoltà, con 60 milioni di abitanti e un tessuto industriale fatto di piccole e medie imprese. E’ difficile immaginare che su una tale relazione possa regnare l’equità: «Non devi ridere, devi smettere di parlare male della Cina, so benissimo chi sei» [citazione, v. sopra].

– Il governo in carica in Italia si è imposto sulla base di un programma elettorale nazionalista. Come si giustifica l’aggregazione alla Nuova via della seta cinese, considerato che il progetto mette in potenziale pericolo, con tutta evidenza, ampie porzioni di sovranità economica e persino territoriale?

Ho cercato invano una risposta a queste domande, nel testo della dichiarazione d’intenti firmata con la Cina. Il vicepremier italiano Matteo Salvini ha voluto tirare il freno a mano, nelle ultime ore, e prendere le distanze dall’accordo con Pechino. Le sue affermazioni non sono credibili. Autore dell’indegno teatrino cinese è un viceministro dello sviluppo economico che si riconosce proprio nel partito di Salvini. Tale viceministro ha vissuto come docente in Cina e parla un buon cinese. Ciò non sembra essere bastato a farne un politico lungimirante.

Allo stesso giochino si è assistito per le votazioni sul Venezuela e intorno al dibattito sulla TAV: Salvini osserva che questa o quella mossa del governo inquieta i suoi elettori. Compare allora in tutti i canali con le sue blandizie, come se tutto il mondo giri senza che lui se ne accorga: «Non mi dite che abbiamo fatto una cosa del genere… Questa è una cosa che non possiamo accettare…» e così via. Se però si controlla come i suoi parlamentari e ministri votano nei parlamenti e nelle sedute di governo, si constata che approvano esattamente ciò che il loro capopartito dice di disapprovare.

Quanti cittadini si prendono il tempo e la pazienza per ricontare i voti nelle assemblee europee e nazionali? E’ l’urlo del generale, non l’alzata di mano della truppa, che (de)forma l’opinione pubblica. Sarà duro, per le prossime generazioni, il risveglio nella dipendenza russo-cinese.

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Il mio corso «Capire l'attualità internazionale» accompagna chi desidera comprendere meglio i fatti del mondo. Con il corso «Il diritto per tradurre» comunico le competenze giuridiche necessarie per tradurre testi legali da o verso la lingua italiana.

Commenti

  1. Chiara ha detto:

    Grazie per il suo articolo, professor Lovisolo, veramente chiaro – e purtroppo agghiacciante nel suo delineare la situazione in cui l’Italia si sta cacciando. Fin dal 2008 seguo, sebbene un po’ a singhiozzo, gli esiti degli «investimenti» della Cina in Africa e quando ho sentito la notizia della firma di questo trattato, mi sono inquietata non poco.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie a Lei per l’apprezzamento (anche se non sono professore). E’ vero, le azioni della Cina nei Paesi africani sono un precedente significativo del modus operandi di Pechino, ripetutosi anche in altri luoghi che hanno ceduto alle lusinghe cinesi. I Paesi europei non sono l’Africa, ma, tanto per cominciare, nella famosa dichiarazione d’intenti non c’è mezza parola che tuteli l’Italia come parte debole dell’intesa. Pur di ottenere l’accordo, Roma ha rinunciato a ogni tutela, lasciando tutto a formulazioni generiche che il partner forte interpreterà a proprio piacimento. Cordiali saluti. LL

  2. Blanka Černá ha detto:

    Buongiorno Luca.
    Ho letto con molto interesse la Sua chiarissima analisi degli accordi firmati durante la visita del presidente cinese in Italia. Ieri è stato pubblicato nel giornale Lidove noviny un articolo intitolato Na Evropu přes Itálii (liberamente tradotto: «l’Europa Nel mirino, passando per l’Italia») che arriva alle conclusioni simili. Ho inviato alla redazione l’indirizzo del Suo sito in versione tedesca nel caso d’interesse. Purtroppo tanta gente non vuole riconoscere i fatti nonostante le prove accertate in vari Paesi. Noi in Repubblica Ceca ne sappiamo qualcosa con il presidente filorusso e filocinese Zeman il quale durante la prima visita ufficiale in Cina aveva dichiarato nella TV cinese di non esser venuto in Cina a predicare i diritti umani ma in contrario ad imparare come stabilizzare la società. Vedremo quale sarà l’esito del vertice UE-Cina che dovrebbe tenersi la settimana prossima.

    La ringrazio per tutti i suoi articoli che leggo sempre con molto interesse.
    Cordiali saluti da Praga

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie per l’attenzione e per le Sue considerazioni. Le popolazioni ormai sembrano preferire governanti del tutto inconsapevoli: non è più una questione di appartenenza a una dottrina politica, che si può condividere o meno. In coloro che compiono certi atti di governo sembra sempre più evidente la mancanza della competenza tecnica e della necessaria capacità di giudizio verso la portata delle loro azioni. Fin quando gli elettori non smetteranno di farsi abbindolare da personaggi del tutto improvvisati, quale che sia il loro partito di appartenenza, la situazione non è destinata a migliorare. Cordiali saluti. LL

  3. Ornella Vecchio ha detto:

    Buonasera Luca e grazie. Sono assolutamente d’accordo con il suo punto di vista.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie a Lei. LL

  4. valerio fornasari ha detto:

    Grazie, come sempre, per la chiarezza-
    Codeste osservazioni andrebbero pubblicate, senza riassunti e commenti, sui quotidiani anche i più piccoli di tutta Italia e nelle news dei telegiornali .

  5. giulia corazza ha detto:

    Grazie Luca

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie a Lei per l’apprezzamento. LL

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Con le mie analisi e i miei corsi accompagno a comprendere l'attualità globale chi vive e lavora in contesti internazionali.

Tengo corsi di traduzione giuridica rivolti a chi traduce, da o verso la lingua italiana, i testi legali utilizzati nelle relazioni internazionali fra persone, imprese e organi di giustizia.

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