Attentato: perché la Russia non è diversa

San Pietroburgo, stazione metropolitana «Istituto tecnologico» | Dal blog d'informazione in lingua russa Meduza.io
San Pietroburgo, stazione metropolitana «Istituto tecnologico» | Dal blog d’informazione in lingua russa Meduza.io

Un attentato, compiuto con una bomba, ha paralizzato lunedì 3 aprile la metropolitana della città russa di San Pietroburgo. Nelle immagini televisive dei primi minuti successivi all’attacco si riconoscevano, nel fumo denso, un treno con le porte sventrate, fermo al marciapiede della stazione Istituto tecnologico, cadaveri a terra e viaggiatori impauriti.


L’attentato è avvenuto intorno alle 14:40 ora locale nella galleria verso la precedente stazione di Piazza Sennaja. L’esplosione ha colpito 56 persone, 14 delle quali sono decedute. I feriti, alcuni dei quali gravi, sono stati ricoverati in due ospedali cittadini. In queste ore ci si chiede chi ci sia dietro l’organizzazione dell’attentato, e le risposte che si leggono sono le più disparate. La spiegazione, pur piuttosto diffusa, secondo cui il regime russo avrebbe organizzato da sé questo e altri attentati degli ultimi anni, allo scopo di giustificare il giro di vite repressivo verso un’opposizione che si rafforza, è una teoria che affascina, ma che sinora non trova sostegno scientificamente e metodologicamente fondato. Da questi tentativi di interpretazione, che assomigliano piuttosto a teorie cospirative, sarebbe meglio mantenere le distanze, quale che sia l’opinione che si ha della Russia di oggi.

Naturalmente non si può escludere che i servizi segreti o altri centri di potere di uno Stato autoritario incarichino una cellula terroristica di commettere attentati sul proprio territorio. Un regime che si sente in pericolo non risparmia certo poche decine di morti e feriti, se si tratta di mantenere il potere. Una tale spiegazione, tuttavia, richiede prove decisamente più convincenti di quelle disponibili in questo e in altri casi analoghi. Teorie simili godono di una certa diffusione non solo in Russia: in Italia, gli storici e gli inquirenti si chiedono ancora oggi se e in quale misura i servizi segreti, e quali, avrebbero contribuito a provocare l’ondata terroristica degli anni Settanta e Ottanta. Se questo sia il caso oggi in Russia, non saremo noi a stabilirlo qui e ora.

Rispetto all’Occidente, la Russia di Putin pretende di essere diversa, ma non lo è, o non è così diversa come vorrebbe. E’ più grande e complicata, racchiude in sé e nello spazio geografico ex sovietico tante contraddizioni e insoddisfazioni che bastano a farle partorire da sola i suoi terroristi. Il presunto attentatore suicida di San Pietroburgo era un cittadino russo avente origine nella repubblica ex sovietica del Kirghizistan. Dopo ogni attentato, gli investigatori russi puntano i loro riflettori sul Caucaso e sull’Asia centrale: non è un caso. La rete di frontiere tra Stati in quella regione, un tempo confini interni dell’Unione sovietica e diventate oggi in parte confini internazionali, ha maglie troppo larghe per impedire l’esistenza in quei luoghi di un autoproclamato califfato islamista, ispirato al modello del cosiddetto «Stato islamico.» Dopo la caduta dell’Unione sovietica, entrambe le regioni sono diventate la culla di organizzazioni terroristiche di matrice islamista con programmi separatisti. Questi raggruppamenti minacciano la Russia direttamente al suo fianco sud. Anche con le repubbliche confederate russe della Cecenia e del Daghestan i conti non sono ancora completamente chiusi.

Su una quantità di teatri internazionali, la Russia ha deciso di andare per la sua strada. In Ucraina, in Georgia, Siria e Medio oriente, e ora, sembra, anche in Libia, Putin vuole mostrare che può fare di testa sua. Di fronte alle norme del diritto internazionale e del diritto di guerra, ora le interpreta a suo modo, ora le rifiuta tout court. Ebbene, la partita Russia contro il resto del mondo non la sta vincendo né il resto del mondo, né la Russia stessa. I vincitori sono quegli attori statali e non statali che gestiscono direttamente le organizzazioni terroristiche, oppure forniscono loro di nascosto denaro e logistica.

Contro il terrorismo servono cooperazione internazionale, coesione e aiuto allo sviluppo. Gli europei hanno imparato la lezione: sin dagli attentati di Parigi, si registrano progressi certo lenti, ma decisivi, sul piano dello scambio delle informazioni e della collaborazione per la prevenzione del maggior numero possibile di attentati terroristici nell’Unione europea. Sono stati iniziati progetti di cooperazione, con lo scopo di sostenere i Paesi in via di sviluppo nel combattere la povertà e la mancanza di speranza, che sono tra le cause del terrorismo e dell’insicurezza globale. La Russia non c’è, o non c’è nella misura in cui il mondo ne avrebbe bisogno. Ha scelto la politica dell’uno contro tutti. L’America di Trump rischia un destino simile, sempre che il nuovo Presidente USA sappia esattamente cosa vuole per il suo Paese.

La bomba di ieri è esplosa in una metropoli europea che deve la sua pianta e i suoi primi progetti di costruzione, che la caratterizzano ancora oggi, a un architetto della Svizzera italiana, la sua successiva fioritura a innumerevoli artisti, giuristi e artigiani italiani, francesi e tedeschi. Ci si imbatte nelle tracce di queste presenze ogni due passi, nella lingua russa, che proprio per questo ha ripreso così tanti termini dal francese e dal tedesco. Chiunque, da qualche parte al mondo, abbia letto il capolavoro di Dostoevskij Delitto e castigo, avrà immediatamente riconosciuto il luogo dell’attentato, la piazza Sennaja.

San Pietroburgo, 3.4.2017 h 14:40 ca. | © sconosciuto
San Pietroburgo, 3.4.2017 h 14:40 ca. | © sconosciuto

A dispetto del divieto di dimostrare, domenica 26 marzo a Mosca, sulla piazza del Maneggio, si sono radunati molti cittadini. Si sono avuti nuovamente fermi da parte della Polizia. La rete televisiva privata non ufficiale Dožd’ trasmetteva in diretta gli eventi dalla piazza. Un giornalista dell’emittente ha chiesto a un giovane partecipante della manifestazione il motivo per il quale stava manifestando: «Vorrei che la Russia diventasse un normale Paese europeo.» Questo desiderio non sembra un’espressione isolata, presso i russi più giovani. Ci sono video che mostrano come gli insegnanti debbano di nuovo impiegare i vecchi metodi di convincimento dell’era sovietica, ma questa volta con degli studenti che non fanno più mistero delle loro simpatie per i movimenti di opposizione, e contrastano con coraggio i tentativi di indottrinamento.

Può diventare difficile rendere credibili per le generazioni più giovani gli argomenti a favore dell’isolamento della Russia dall’Occidente, motivare la martellante propaganda antioccidentale dei media ufficiali russi, talvolta spinta fino al ridicolo. Vladimir V. Putin definisce con l’espressione russkij mir, «mondo russo,» un ampio spazio geografico che corrisponde grosso modo all’ex Unione sovietica. Quella è la sua Russia. Per alcuni rappresentanti più estremi del nuovo imperialismo di Mosca, il russkij mir – che, per una delle molte particolarità della lingua russa, significa anche «pace russa» – comprende tutti i territori che furono dell’Impero russo, tra i quali la Polonia, la Finlandia e l’Alaska. Ora, il tanto desiderato russkij mir si sta rivelando una realtà parallela, un altrove, un’alterità che offre ai media di Stato di Mosca uno stucchevole copione da recitare e alla popolazione nessuna speranza di un’esistenza migliore.

L’attentato di San Pietroburgo ha mostrato ancora una volta che la Russia non è per niente diversa: le urla nella stazione della metropolitana piena di fumo, i cadaveri, i cittadini che chiedono aiuto usando il cellulare, che filmano l’accaduto e lo trasmettono in diretta via Facebook, i taxisti che portano al sicuro gratuitamente i loro concittadini. I fiori e le candele sul luogo dell’attentato. Gli stessi fatti, le stesse storie e gli stessi volti li abbiamo visti a Parigi, Bruxelles o Berlino.

L’ultima ora di Putin suonerà forse nel momento in cui questi cittadini cominceranno seriamente a rifiutare la narrazione del regime, perché non accetteranno più che la loro storia debba essere per forza diversa, ma, quando si trovano in una guerra o subiscono un attentato terroristico, devono versare lo stesso sangue che versano tutti gli altri Uomini.

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Il mio corso «Capire l'attualità internazionale» accompagna chi desidera comprendere meglio i fatti del mondo. Con il corso «Il diritto per tradurre» comunico le competenze giuridiche necessarie per tradurre testi legali da o verso la lingua italiana.

Commenti

  1. Olga ha detto:

    Grazie dell’articolo, Sig. Luca. Sono di San Pietroburgo e apprezzo molto le Sue valutazioni dei vari eventi che accadono sul territorio russo e dell’ex Unione sovietica, e i fenomeni di vita presenti nelle nostre zone. E’ molto bello anche il Suo stile di scrivere.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Grazie per il Suo commento, che apprezzo particolarmente perché proveniente da chi conosce direttamente quelle realtà. Cordiali saluti. LL

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Con le mie analisi e i miei corsi accompagno a comprendere l'attualità globale chi vive e lavora in contesti internazionali.

Tengo corsi di traduzione giuridica rivolti a chi traduce, da o verso la lingua italiana, i testi legali utilizzati nelle relazioni internazionali fra persone, imprese e organi di giustizia.

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