
La giornalista tedesca Christine Hamel, della Radio bavarese, ha avuto la rara opportunità di realizzare un lungo servizio di documentazione sulla situazione della penisola della Crimea, territorio ucraino annesso di fatto dalla Russia nel 2014 e molto difficilmente accessibile ai visitatori occidentali, a maggior ragione se giornalisti.
L’operazione, estesa a parti del Donbass e della Russia meridionale, è stata possibile grazie a un fondo di finanziamento della ricerca messo a disposizione dalla Fondazione Robert Bosch. Riassumo brevemente i contenuti del documentario, per chi non ha familiarità con la lingua tedesca, poiché contiene elementi di notevole interesse. Il servizio si concentra sulla deformazione delle coscienze causata dall’informazione preconfezionata diffusa dai media russi in Crimea e nelle altre regioni dell’Ucraina orientale sottoposte al controllo di fatto della Russia. Dice un intervistato a Slavjansk: «La gente rifugiata in cantina, a causa dei bombardamenti, senza sapere da dove arrivano le bombe, senza radio e senza TV… l’unica emittente è quella della cosiddetta Repubblica popolare di Donec’k: le trasmissioni cominciano con l’inno, segue l’elenco dei successi militari.» Il 90% dei cittadini del Donbass non ha alternative all’informazione proveniente dai media di Stato russi. Il messaggio che viene trasmesso segue una narrazione ispirata a un rigido conservatorismo: il calore slavo, la fede cristiana ortodossa, la grandezza imperiale e un curioso ibrido nostalgico nutrito di pezzi di memoria dell’Unione sovietica e della Russia zarista, che viene opposto alla decadenza dei valori delle società occidentali.
I media hanno un ruolo essenziale, nel seminare incomprensione fra russi e ucraini, che in Crimea convivevano senza problemi. I cartelloni della propaganda, per le strade, incitano da parte loro alla costruzione di una nuova Crimea russa, «La Crimea è nostra.» Le vie di Sinferopoli hanno conservato i nomi degli eroi dei comunismo e dell’Unione sovietica.
Christine Hamel realizza due interviste con personaggi emblematici della vicenda della Crimea e del Donbass, collocati su due fronti opposti. Leonid Pilunsky, membro ucraino del parlamento della Crimea, oggi è considerato dai russi un «nemico del popolo.» Vive confinato nella sua casa, privato del saluto dei vicini. Per evitare i rischi derivanti da eventuali perquisizioni, ha bruciato il suo archivio di documenti. La popolazione della Crimea, dice al microfono della giornalista tedesca, si è fatta blandire da una grande favola, che i media moltiplicano all’infinito, attirando le persone come il pifferaio di Hamelin.
L’altra campana del servizio è Lyubov A. Korsakova, insegnante di Lugansk oggi riparata a Novočerkassk, in Russia meridionale. In Ucraina è considerata una terrorista, per le sue attività collaborazioniste con i russi. Il suo argomentare è intriso di difesa della patria e della fede ortodossa. Ha subìto un’aggressione che le ha lasciato conseguenze permanenti. Poco più che cinquantenne, vive in un piccolo appartamento con la figlia e la nipote. Questa violenza, dice, le è stata usata per «aver detto la verità:» la sua verità, però, è quella della TV russa. E’ convinta che due settimane prima, vicino a Monaco di Baviera, vi siano state dimostrazioni hitleriane, che in Germania i «fascisti» oggi uccidano e violentino le donne, occultando le informazioni. La Russia non può non intervenire, in un mondo così, per salvare i suoi figli. Christine Hamel cerca di convincerla dell’insensatezza di queste affermazioni: la Korsakova insiste e accusa la giornalista tedesca di non sapere quel che dice. La forza della bugia che sovrasta i fatti: dalla verità costruita è sorta una nuova realtà, annota sconsolatamente l’autrice del servizio.
«L’informazione è armata,» continua Timur Olevsky, giornalista del canale TV Dožd’, uno dei pochi media russi indipendenti. Il tenore dei notiziari che arrivano in Crimea è tutto emotivo, non conosce mezzi toni. Ogni fatto deve essere frutto di un complotto o di una congiura. Gli standard di un’informazione completa e di un corretto rapporto con le fonti non contano. Si punta sull’emozione teatrale, sull’orgoglio per la grandeur russa secondo le categorie dell’eroismo missionario. I media danno agli ascoltatori le informazioni che gli ascoltatori vogliono sentire. Una narrazione della quale possiamo facilmente renderci conto anche noi, aggiungo io qui, sintonizzandoci via satellite su qualunque emittente statale TV di Mosca: la Seconda guerra mondiale non è ancora finita, la Russia deve vincere i nuovi «fascisti,» termine che, come in passato, in Ucraina orientale designa i nazionalisti ucraini occidentali. Lo Stato ucraino è fallito, non ha più speranza, è preda di una congrega di sfegatati.
Conclude il servizio l’intervento di Gleb Pavlovsky, politologo un tempo stretto collaboratore di Putin e oggi critico della linea di Mosca. Sottolinea le sue preoccupazioni per la classe politica che sta nascendo in Russia sull’onda di questi eventi, una schiera di dirigenti guidati da una visione quasi mitologica del mondo e del ruolo della Russia sullo scenario internazionale. La confezione del servizio, che alterna interviste, citazioni di fonti d’informazione e musica, ha offerto rari squarci di quotidianità di una penisola che sembra ormai dimenticata dalla cronaca, scelti con una misura e un equilibrio ormai rari, nella produzione giornalistica di oggi.