La pandemia del nuovo Coronavirus sta scuotendo l’ordine mondiale, che è ancora lontano da un nuovo assestamento. Si può tentare una panoramica, senza alcuna pretesa di completezza. Un dato che sembra certo, almeno fino a oggi: la pandemia ha permesso alle potenze autoritarie dominanti di guadagnare peso e prestigio. L’Europa fatica a imporsi su questi scenari e continuerà a faticare.
Quest’anno è molto difficile scegliere un evento significativo con il quale congedarci verso la pausa estiva, mai così desiderata. La pandemia del nuovo Coronavirus sta scuotendo l’ordine mondiale, che non ha ancora finito di vibrare. Anche i maggiori analisti sono in attesa di fatti che permettano di riconoscere delle direttrici di assestamento. Alcuni focolai, per utilizzare un termine diventato tristemente celebre, si possono riconoscere. Si può tentare una panoramica, senza alcuna pretesa di completezza.
Sulla situazione a Hong Kong ho già scritto di recente, l’articolo e l’audio rispettivo si trovano >qui. Sta succedendo tutto ciò che si prevedeva, puntualmente. Altrettanto tempista la comprensione fraterna espressa verso la Cina da funzionari governativi italiani dei quali preferisco non citare il nome, già distintisi per le loro dichiarazioni di fedeltà alla Russia. Non si parla di qualche sparuto parlamentare con percentuali da prefisso telefonico, ma di esponenti di governo. I cittadini di Hong Kong mettono il resto del mondo di fronte alle ipocrisie e infedeltà del regime autoritario cinese, mentre molti, in Occidente, lo incensano con le loro adulazioni.
Alcune settimane or sono si è svolto in Russia l’inutile referendum sulla riforma costituzionale voluta da Vladimir Putin. L’esito era previsto. La riforma ha effetto anche sui rapporti internazionali della Russia. Le modifiche alla Costituzione sono un passo ulteriore, ben chiaro nella sua fondazione giuridica e filosofico-politica, verso la realizzazione del progetto egemonico della Russia in Europa di cui parlo in dettaglio nel mio ultimo libro «Il progetto della Russia su di noi» (>qui). Nei giorni scorsi le manovre della Russia hanno trovato ulteriori conferme nella pubblicazione di una relazione parlamentare sulle influenze russe nei processi democratici del Regno unito. Limitarsi ad affermare che le riforme costituzionali volute dal Cremlino siano un modo per consentire a Putin di ricandidarsi a vita significa metterne in luce solo il punto più vistoso, non il più essenziale. Ci ritornerò in autunno, con l’approfondimento, già promesso e poi forzatamente rinviato a causa dell’emergenza sanitaria. Non è un lavoro da poco, se non si vuol scadere nella chiacchiera.
Un dato sembra certo, almeno fino a oggi: la pandemia ha permesso alle potenze autoritarie attualmente dominanti – Russia, Cina, Turchia – di guadagnare peso e prestigio, anche agli occhi dei cittadini, particolarmente in Italia. Gli Stati autoritari mostrano, oggi, di permettersi cose che prima, forse, avrebbero fatto lo stesso, ma con meno strafottenza. Sono bastate poche azioni di maquillage mediatico, come le campagne di aiuto sanitario, per alimentare il loro credito in Occidente, mentre al loro interno giocavano e giocano tuttora con i morti e l’opacità delle informazioni. L’obiettivo è mostrare che i regimi autoritari hanno saputo gestire meglio l’emergenza, rispetto alle democrazie. Non importa quante vite umane costa, questa parata: le madri partoriranno altri figli, come ha affermato un dirigente russo nelle scorse settimane, prego i lettori di risparmiarmi la pena di tornare indietro a cercare chi fosse, tanto fa poca differenza: se non l’ha detto il signor Ivan l’avrà detto il signor Boris, la cultura è quella. Si vedrà quanto potrà durare, questo gioco al massacro.
Un grande contributo al trionfo delle potenze autoritarie l’hanno dato gli Stati uniti d’America. Guidati da un presidente ammiratore dei peggiori autocrati del nostro tempo, che nelle scorse settimane ha impiegato il suo potere di grazia per far scarcerare un proprio amico e collaboratore, hanno perso altre quote della loro già traballante leadership globale. A esercitare la guida oggi, negli USA, non è un presidente, non un vicepresidente, non un segretario di Stato, ma un mite e stimato virologo, di fronte al quale la nudità di Trump, Pompeo e tutti gli altri si svela senza pietà. Gli interessati, novelli Adamo ed Eva colti sul fatto, sembra che non se ne vergognino neppure.
Si aspetta novembre, per un cambio di presidenza che solo pochi mesi fa sembrava impossibile. Se a Washington arriverà un nuovo presidente, qualcosa cambierà, ma è bene non farsi illusioni. Gli Stati uniti si stanno ripiegando su se stessi, in balia di politici dai profili sempre più bassi e di una popolazione descolarizzata e inebetita dai media. Non accade da ieri, i segni erano già chiari sotto la presidenza Obama e persino prima. È un errore credere che dietro alla battaglia dei consolati, in corso in questi giorni fra Stati uniti e Cina, vi siano dissensi su valori fondamentali. È una lotta per determinare l’ordine mondiale del dopo-coronavirus: in questo contesto sembra sempre più difficile considerare gli Stati uniti come guida per l’Occidente e i suoi valori.
La Libia, ormai, è terreno di scontro fra Russia e Turchia, alleate però su altri fronti. Chi domina oggi il terreno libico non esita a utilizzare l’arma dei flussi migratori per assoggettare Italia ed Europa al proprio controllo sul Mediterraneo orientale, che sembra cosa ormai data per acquisita con animo rassegnato, senza che nessuno alzi un dito. L’inquietudine suscitata nella popolazione europea dal malgoverno dei flussi migratori, aggravata dalle nuove preoccupazioni sanitarie, è uno degli terreni più fertili per la propaganda filorussa e filoautoritaria in Europa. La Turchia controllava già il corridoio migratorio balcanico. Lasciare ai turchi e ai russi anche il controllo della rotta mediterranea significa permettere loro di regolare la quantità di individui che giungono nel Sud Italia, e perciò di dosare il disorientamento della popolazione su cui innestare le loro attività di propaganda. La debolezza della reazione dell’Europa culturale alla riconversione a moschea della monumentale basilica di Santa Sofia, a Istanbul, è un’altra dimostrazione che si preferisce lasciar fare.
Intanto, in una basilica francese, un incendio doloso distrugge due preziosi organi storici e danneggia parte dell’edificio: è già difficile accettare che la cura di un tale monumento sia lasciata a un volontario, anziché a un custode stipendiato; ancor meno si riesce ad accettare che questa ricchezza sia affidata a un soggetto capace di concepire un tale atto, non nato e cresciuto nella cultura europea, difficilmente in grado di percepire il valore di ciò che gli era stato incautamente affidato e del quale forse non si conosceranno mai a fondo relazioni e motivazioni.
Quando si tocca questo tema, però, si viene tacitati dagli zelanti che vedono razzismo ovunque: razzismo è discriminare a causa della provenienza, della cultura o del colore della pelle. Essere antirazzisti non deve far negare l’esistenza di differenze fra uomini che appartengono a culture diverse, perciò chi è nato e cresciuto in una cultura ne assimila i valori, mentre chi non vi è nato non li assimila o vi riesce molto meno, salvo casi eccezionali. Alcune differenze tra le culture sono elementi soggettivi superabili con la volontà, ma altre sono elementi oggettivi di antropologia culturale e vanno accettate, non nascoste con la retorica del politicamente corretto. Confondere l’antirazzismo con la cancellazione delle differenze non rende un servizio all’integrazione e alla conoscenza, rende tutti più poveri. Serve più coraggio, o l’antirazzismo da parata genererà nuovo e peggior razzismo, magari sotto altro nome.
L’Europa fatica a imporsi sugli scenari globali e continuerà a faticare: la sua debolezza è dovuta anche, in modo non irrilevante, al fatto che l’Italia, uno dei suoi Stati fondatori, non esprima posizioni nette su questioni fondamentali come Hong Kong, la Russia, la Turchia, la Cina, la Libia. I risultati raggiunti dalle istituzioni europee nella costruzione di strumenti economici comuni per combattere la crisi pandemica sono eccellenti: restano poca cosa, però, se non sono sostenuti da una visione chiara del ruolo dell’Europa nel mondo, fondata sui valori dello Stato di diritto, non solo al proprio interno, ma anche e particolarmente verso le potenze concorrenti, inclusi gli Stati uniti.
Il mese scorso un’emittente italiana ha replicato lo sceneggiato televisivo dedicato alla catastrofe di Černobyl’ (i miei due articoli di analisi della produzione si trovano >qui e >qui). Černobyl’ e la pandemia del nuovo Coronavirus sono catastrofi nate dalle presunzioni e dalle prepotenze di regimi totalitari. Pur nella loro differenza, presentano sconcertanti elementi comuni.
Mentre Černobyl’ fu il primo colpo assestato all’edificio già barcollante dei regimi dell’Europa dell’est, che caddero pochi anni dopo per una catena di eventi successivi, il nuovo Coronavirus sembra diventare la svolta verso l’egemonia delle potenze autoritarie, con viva soddisfazione di molti occidentali, viziati come ragazzetti di provincia dal benessere e dalla libertà ereditati dai loro genitori. Buone vacanze a tutti i Lettori.
Luigi TESIO ha detto:
Visione del tutto condivisibile. I valori liberali sono facilmente vittime del pensiero debole, quando incontra pseudo-pensieri forti. Il secolo breve ne sa qualcosa. Ci risiamo?
Luca Lovisolo ha detto:
Checché ne dica la facile retorica, la Storia, per fortuna, non si ripete mai davvero uguale. Cordiali saluti. LL