Accade fra Siria e Turchia: perché ci riguarda

Lo scontro tra Turchia e Russia su Idlib
Trasporto di truppe | © Diego González

Le ragioni per le quali dobbiamo prestare attenzione a ciò che accade nella provincia siriana di Idlib. Gli aspetti globali dell’innalzamento della tensione, che si riflettono anche su di noi. Non solo gli USA, ma anche gli europei hanno commesso errori dalle durature conseguenze, sullo scenario siriano. Migliaia di migranti si stanno accalcando alla frontiera tra Turchia e Grecia, per entrare in Europa.


Si è alzata oltre la media la tensione in un luogo cruciale del conflitto siriano, la provincia di Idlib, confinante con la Turchia meridionale. Vi sono ragioni per le quali dovremmo prestare attenzione a ciò che sta accadendo in quei luoghi. Lo scenario siriano è difficile, complicato e complesso: questi tre aggettivi, spesso usati impropriamente come sinonimi, sui fatti di Siria mostrano tutta la loro diversità. Complesso, per il numero di attori che interagiscono su tale scenario; complicato, per la molteplicità di interessi implicati nel conflitto; difficile, perché forma un intreccio che richiederebbe capacità e impegno, per essere affrontato e risolto, mentre è in mano ad autocrati di corte vedute o politici di scarso coraggio.

Rimandando ad analisti specializzati in quello scenario chi è interessato ad aspetti di dettaglio, mi concentro qui sugli aspetti globali, che si riflettono anche su di noi: l’atteggiamento dell’Occidente, i flussi di migranti provenienti da quella regione, la posizione dell’Europa, della NATO e dell’Italia; infine, l’operato dei protagonisti (principalmente: al-Asad, Erdoğan e Putin), che in Europa godono di un considerevole numero di sostenitori.

I fatti e l’atteggiamento dell’Occidente

In breve: la provincia siriana di Idlib è contesa fra il regime siriano, che vuole riconquistarla, e la Turchia, che vuole utilizzarla per rimandarci gli oltre tre milioni di fuggiaschi siriani che hanno trovato riparo sul territorio turco. Nella provincia si trovano anche combattenti estremisti islamici, che la Turchia condanna formalmente, mentre ha dato molti segni di tollerarli e sostenerli, per usarli a propri fini anche altrove. Il regime siriano di al-Asad è sostenuto dalla Russia, oltre che dall’Iran. Per questo motivo, il confronto sulla provincia di Idlib avviene, di fatto, tra Turchia e Russia. Questi due Paesi, però, sul teatro siriano sono alleati. Nei momenti di scontro hanno sempre trovato un accordo, in nome dei numerosi interessi comuni. E’ possibile che lo troveranno anche su Idlib, ma questa volta è più difficile: il confronto militare è salito d’intensità. Insistendo su Idlib, Erdoğan si è messo in un vicolo cieco. Salvo imprevisti, a breve vedrà Putin e si saprà cosa sortirà dal loro colloquio.

Ciò che sta accadendo a Idlib ci ammonisce sulle conseguenze del disimpegno occidentale nelle crisi globali maggiori. Nel 2012, gli Stati uniti di Barack Obama promisero un intervento militare occidentale in Siria, se al-Asad avesse usato armi chimiche. Asad le usò, ma l’Occidente non intervenne. Ancora oggi, a distanza di otto anni, si parla di quel clamoroso errore della politica estera statunitense come punto di svolta della crisi siriana, e non solo: indebolì la credibilità dell’intero Occidente e aprì le porte all’intervento russo in Medioriente. Nacque da lì l’attuale duopolio russo-turco sulla Siria, con la stampella iraniana.

I flussi di migranti e l’errore europeo

Sul territorio turco si trovano milioni di siriani fuggiti dal conflitto in corso nel loro Paese. La Turchia vuole rimandarveli, perciò intende mantenere il controllo su alcune fasce di territorio siriano confinante (tra cui Idlib) e chiede il sostegno europeo a questo scopo. Il ricatto è: se non ci spalleggiate in quest’azione, i rifugiati li mandiamo da voi. E’ ciò che sta accadendo, in piccola parte, in queste ore.

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Non solo Obama, ma anche gli europei hanno commesso un errore dalle durature conseguenze: nel 2016 hanno concluso un accordo in forza del quale Erdoğan doveva trattenere i migranti sul suo territorio, in cambio di una cospicua somma di denaro versata dall’Europa. Così, sul capitolo migrazione dalla rotta balcanica, l’Europa si è totalmente piegata all’autocrate turco, che ora pilota la politica interna dei Paesi europei attraverso il controllo su quella via migratoria. In ciò, va ricordato che i migranti originano in buona parte dalla guerra siriana. Non è la Turchia che li genera, bisogna riconoscerlo, ma Erdoğan sa usarli con grande abilità.

In questi giorni, Erdoğan ha annunciato di non attenersi più all’accordo con l’Europa. Migliaia di migranti si stanno accalcando alla frontiera tra Turchia e Grecia, per entrare nell’Unione europea. E’ difficile che siano già i profughi di Idlib, famiglie in fuga su mezzi di fortuna che possono impiegare giorni, per arrivare alla frontiera europea (i veri «disperati»). A detta dei cronisti che seguono gli eventi sul posto, si tratta di pakistani, afgani e altre nazionalità, la cui composizione anagrafica è simile a quella che giunge in Italia sui cosiddetti «barconi,» con il sistema dei procurati naufragi, abusando delle norme internazionali sugli obblighi di salvataggio. Masse di migranti movimentate più da passatori e mercanti di uomini, che da reali esigenze di protezione. A questi si aggiungono siriani già presenti da tempo in Turchia.

I veri profughi di Idlib, se riusciranno a muoversi da sotto le bombe sganciate dagli stessi turchi, dai russi e dal regime di al-Asad, tosto o tardi comunque arriveranno, se non si farà qualcosa. Troveranno le frontiere europee chiuse, anche se con ogni probabilità hanno reale diritto a protezione. Non entreranno, perché nessun politico è disponibile a sollecitare ulteriormente una cittadinanza europea esasperata dai flussi migratori degli ultimi nove anni e a sovraccaricare strutture di ricezione ormai allo spasmo. Il governo greco sta tentando di costruire nuovi centri di accoglienza sulle isole dell’Egeo, per sgravare quelli esistenti, in condizioni pietose. Si scontra con gli abitanti, che non vogliono più saperne e reagiscono con violenze da guerriglia. E’ partito puntualmente il battage di media, Chiesa e altre correnti che accusano più o meno velatamente le popolazioni locali e lo stesso governo greco di razzismo e di ogni peggiore epiteto, senza considerare neppure un attimo che i problemi sul posto potrebbero essere reali. Si accentua così uno scollamento con la realtà che ha conseguenze ben note.

I riflessi sull’Europa, la Russia

Coloro che in Europa hanno sostenuto per anni una malintesa «solidarietà» e accoglienza per chiunque, anche per chi entrava in Europa facendo manifesto abuso di istituti sacrosanti come il diritto alla protezione internazionale, dovrebbero ora farsi qualche domanda. Al possibile arrivo di profughi autentici, non solo non ci sono più posti e risorse di accoglienza, ma la popolazione europea fa muro, con motivazioni in molti casi largamente comprensibili, per il malgoverno e la retorica in cui è stata abbandonata per anni la questione migratoria.

Su questo fuoco soffia la Russia: alimentando la questione migratoria, guadagnano voti i partiti che lavorano a fianco di Mosca per l’indebolimento e la disgregazione dell’Unione europea. Quando, nel 2015, la signora Merkel fece entrare in Germania più di un milione di migranti, il partito filorusso di estrema destra «AfD» schizzò dal 4,7% al 12,6%, portò cento deputati in Parlamento e ancora oggi determina la politica di molte regioni della Germania orientale (si veda ad esempio >qui). Lo stesso deve dirsi per l’andamento della Lega – Salvini premier in Italia, del Rassemblement National francese e di altre formazioni europee simili, fedeli fiancheggiatrici di Mosca. I migranti sono un’arma potentissima non solo nelle mani di Erdoğan, ma anche in quelle di Putin, per influire sulle vicende interne europee. E’ molto probabile che la Turchia utilizzi la leva dei migranti per ottenere dagli europei altro denaro. Che si fa, si paga ancora?

La posizione della NATO e dell’Italia

Alcuni mesi fa, il Presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron definì la NATO in «morte cerebrale.» Fu subissato di critiche e ironie. La vicenda di questi giorni tra la Turchia (Paese NATO) e la Siria dovrebbe indurre a considerare con meno leggerezza le espressioni di Macron. La NATO, oggi, è stretta in un cuneo inaccettabile, per un’alleanza tra Paesi che si propongono come patrie dello Stato di diritto. Da una parte, mantiene al suo interno la Turchia, governata secondo principi autoritari, che agisce ormai in modo largamente autonomo sul proprio scenario d’interesse, al punto da acquistare sistemi d’armamento dalla Russia; dall’altra, se espelle la Turchia, la NATO offre a Erdoğan un argomento geniale per sottrarsi anche ai suoi residuali obblighi di cooperazione con l’Occidente («sono loro che non ci vogliono più!»). Da parte sua, poi, la NATO perderebbe un elemento essenziale sullo scacchiere tra Caucaso e Medioriente. Il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg, non fa che ripetere che l’Alleanza è salda. Un’insistenza che non rassicura sulla realtà. Le sue calde espressioni di solidarietà alla Turchia, nei giorni scorsi, suscitano sconcerto.

Per quanto concerne l’Italia, nei giorni scorsi si è letto un tweet nel quale l’ambasciata italiana in Turchia, sul suo profilo ufficiale, esprimeva solidarietà ai turchi per i soldati uccisi a Idlib. Avete letto bene: solidarietà ai turchi, non, semmai, a coloro che stanno sotto le loro bombe in questi giorni. Il tweet è stato cancellato poche ore dopo, forse a seguito del profluvio di critiche che vi hanno fatto seguito. Questi «incidenti» sono rivelatori: qual è la vera posizione del governo italiano, rispetto al regime turco? A meno che Ankara non tocchi i curdi, totem culturale della politica italiana, la condiscendenza verso la Turchia e verso altri regimi autocratici, in primis quello russo, è ben radicata in Italia, dietro le dichiarazioni rassicuranti , trasversalmente alle divisioni di partito.

Con chi abbiamo a che fare?

La piccola provincia di Idlib, in queste ore, è uno specchio della divisione tra mondo libero – quello occidentale, che appare in arretramento – e un congiunto sempre più forte di Stati autoritari, rissosi fra loro, ma sempre più influenti e in grado di condizionare l’Europa. Lo fanno, ad esempio, usando i flussi migratori, con i quali determinano gli scenari politici interni dei singoli Paesi.

Vi è da attendersi che Russia e Turchia trovino un accordo anche questa volta: sono legate da interessi su forniture militari e infrastrutture energetiche in forma di gas, petrolio e nucleare: s’imporrà ancora una rational choice (>cosa significa). Il caso Idlib, però, dimostra nuovamente la natura dei suoi protagonisti: si atteggiano a grandi strateghi, escogitano soluzioni dall‘apparenza pomposa come il «formato di Astana,» promosso dalla Russia, a fianco di Turchia e Iran, per risolvere il conflitto siriano con le zone di deescalazione. Nella realtà, anche in questo caso, gli autocrati come Putin, Erdoğan, al-Asad, gli iraniani e tutti gli altri, mostrano incapacità di risolvere le cause dei problemi e attitudine a rimuovere ostacoli minori lasciando irrisolte le contraddizioni di fondo, che riemergono a ogni giro di giostra. Sul fronte opposto, i governanti occidentali offrono un pietoso spettacolo di pavidità.

La crisi siriana si risolverà quando si riuscirà a rimuovere la dittatura degli al-Asad e a instaurare in quel Paese una società aperta e uno Stato di diritto: cammino lungo e difficile, ma che non ha alternative, se si vogliono rimuovere le cause. E’ altrettanto chiaro che né Putin né Erdoğan, immaginarsi gli iraniani, hanno interesse a questa evoluzione. L’Occidente ripete da nove anni che il conflitto siriano, esploso con le Primavere arabe del 2011 contro la dittatura di al-Asad, può cessare solo cacciando quest’ultimo e il suo regime.

L’Occidente parla ma non agisce, anzi: ha permesso che in Libia, all’inizio di quest’anno, nel silente consenso generale, si creasse una situazione del tutto analoga a quella siriana, che promette gli stessi, sciagurati sviluppi futuri.

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Il mio corso «Capire l'attualità internazionale» accompagna chi desidera comprendere meglio i fatti del mondo. Con il corso «Il diritto per tradurre» comunico le competenze giuridiche necessarie per tradurre testi legali da o verso la lingua italiana.

Commenti

  1. Martina Schonig ha detto:

    Grazie per questa sintesi chiara e comprensibile. Anche se mi informo regolarmente su vari giornali e settimanali italiani e tedeschi, trovo sempre molto utile seguire i Suoi approfondimenti.

    • Luca Lovisolo ha detto:

      Molte grazie. LL

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Luca Lovisolo

Lavoro come ricercatore indipendente in diritto e relazioni internazionali. Con le mie analisi e i miei corsi accompagno a comprendere l'attualità globale chi vive e lavora in contesti internazionali.

Tengo corsi di traduzione giuridica rivolti a chi traduce, da o verso la lingua italiana, i testi legali utilizzati nelle relazioni internazionali fra persone, imprese e organi di giustizia.

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